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Viaggio nel Lazio delle mafie invisibili

Di Norma Ferrara il . Lazio

Quando il 22 settembre scorso da Latina ha intrapreso il suo viaggio con  Libera Informazione e la Casa della legalità (con il
prezioso aiuto di Cinzia Iannuzzo, Marianna Battaglia, MariaGloria Lorenti, animatrici del percorso
legalità della Regione Lazio) non pensava probabilmente di incontrare
una regione dove informazione e mafie assomigliano sempre più a due facce della
stessa medaglia: la negazione di una aumenta la forza dell’altra. Francesco Forgione, ex presidente della Commissione parlamentare
antimafia,  relatore oggi insieme a Roberto Morrione, presidente di
Libera Informazione, al magistrato Luigi De Ficchy, Roberto Natale
presidente della Fnsi e Luigina Di Liegro, assessore Regione Lazio,
nella giornata conclusiva di “Parole&mafie”, Informazione, silenzi e omertà, ha
parlato a lungo di giornalisti precari, delle inchieste che mancano, di
un’antimafia sociale da ricostruire, a  partire anche dall’informazione
locale. E con  Libera Informazione un commento su questo viaggio nel Lazio
delle mafie e dei giornalisti invisibili, e delle mafie nel mondo.


Informazione, mafie e Lazio. Quale il bilancio di  questo viaggio nella regione con Libera Informazione?

E’ stato un viaggio che ci ha permesso di incontrare tanti giovani giornalisti che, quotidianamente sul territorio, raccontano le tante realtà che incontrano. Lo fanno troppo spesso senza tutele, nè garanzie, in giornali di provincia, proprio quelle testate che  forniscono gli strumenti per poter fare un ragionamento più ampio, sulla presenza delle mafie nelle singole realtà locali. Sono stati incontri importanti, quelli di “Parole&mafie” perchè ci hanno consentito di provare a rintracciare e stimolare delle antenne sul territorio, dei riferimenti attendibili e nuovi, che non rispondono solo ad un bisogno di una informazione libera e attenta ma anche alla necessità di ricostruire dal basso un’antimafia sociale che diventi strumento fondamentale e quotidiano di lotta alle mafie.

Nel dibattito di oggi  a Roma molti interventi, compreso il suo, hanno fatto riferimento alla necessità di guardare alle mafie dove non si vedono … cosa si intende e come può farlo l’informazione nel Lazio?

Si tratta dei cosiddetti “colletti bianchi” ed è il vero cuore del problema mafie oggi, anche nel Lazio. A  tal proposito faccio spesso l’esempio del “Cafè de Paris” sequestrato a Roma, poco tempo fa, e controllato economicamente da una ‘ndrina calabrese che ha origine in un paesino di 900 abitanti. Da questo piccolo centro ai piedi dell’aspromonte è davvero difficile immaginare che dei pastori, prima sequestratori e poi narcotrafficanti, siano arrivati da soli a comprare un pezzo importante dell’economia romana come questo  rinomato cafè. Senza un tessuto professionale di notai, immobiliaristi, commercialisti e tanto altro, questo non sarebbe stato possibile.  Quindi è proprio su questo aspetto che dobbiamo ragionare, insistere. Serve capire come questa organizzazione si sia infiltrata nel tessuto sociale a tal punto da diventare un soggetto economico, imprenditoriale, politico. Si anche politico..  perchè questa forza economica consente di contrattare e condizionare i rapporti con la politica. Nel Lazio abbiamo avuto casi ormai noti come Fondi, ma prima di questo Nettuno e ancora oggi Ardea, tutte situazioni che testimoniano quanto  il basso lazio sia condizionato da camorra e ‘ndrangheta. Non siamo quindi di fronte a casi isolati, ma a vere e proprie di controllo del territorio.

Nella scorsa commissione parlamentare antimafia avevate ragionato sulla necessità di un codice etico per i partiti, si potrebbe pensare a qualcosa di simile in relazione agli ordini professionali che forniscono la “base operativa” per l’ingresso di capitali sporchi nel mercato legale?

Gli ordini professionali sono l’altra faccia di questo sistema di relazioni borghesi delle mafie. Purtroppo non ho visto espulsioni da ordini professionali di avvocati, commercialisti, medici, per questioni relative a condanne o contatti con organizzazioni criminali di stampo mafioso (solo qualche caso in Sicilia). Quando si parla di ricostruzione di un’etica pubblica bisogna pensare all’etica individuale e collettiva, alle professioni, va quindi ricostruita la dimensione dello spazio pubblico e la trasparenza delle funzioni pubbliche. E questi tena riguarda il mondo politico, tanto quanto quello economico e sociale.

Mentre in Italia si faticano a trovare strumenti di contrasto alla “zona grigia”, le mafie si sono globalizzate e lei lo racconta anche nell’ultimo libro Mafia Export… come è accaduto e cosa è possibile fare oggi?

Sembrerà una risposta intrisa di ideologia la mia,  ma credo che la sbornia degli ultimi vent’anni di politiche neo liberiste e di globalizzazione capitalistica che ha preso tutti, da sinistra a destra,  non ha fatto vedere che dentro questa grande trasformazione del mercato, la globalizzazione, c’era dentro questa componente criminale. Il primato del mercato sui diritti, sulla situazione in cui versano i paesi poveri, sui diritti, sull’ambiente, ha imposto una assolutizzazione del profitto, come unico valore egemone all’interno delle quali è quello delle organizzazioni mafiose. Ma anche volendo uscire fuori da questo tipo di visione, si continua a vivere in una grande ipocrisia: quando arrivano i capitali dei mafiosi non arrivino i mafiosi. Invece non è cosi: arrivano loro ma anche i soldi sporchi da investire e riciclare, si insediano e radicano nel territorio, permeano con i loro capitali interi settori strategici dell’economia e della finanza. Purtroppo i governi fanno finta di non vedere, non solo quelli esteri ma anche quello italiano, in particolare nel nord italia, pensando di ridurre la questione ad un problema del sud. Spero che Mafia Export possa dare un contributo a smontare questa ipocrisia di chi vuole ridurre la questione delle mafie ad una questione meridionale. Quello che serve invece è convertire questa ipocrisia in indignazione di massa.
 
E la stampa estera come racconta di mafie nei propri paesi?

Spesso purtroppo come un fatto di  folklore, riducendo la questione delle mafie ad un fatto antropologicamente legato alla cultura del meridione d’Italia. Serve far capire che i fenomeni della corruzione,della criminalità organizzata, e dei grandi traffici della droga, sono elementi strutturali,  sono l’altra faccia di questo modello economico e sociale. Serve soprattutto far capire che per contrastarle c’è bisogno di un surplus di analisi e di denuncia, ma anche di legislazione: non possiamo più combattere fenomeni transnazionali con strumenti normativi che si fermano alle singole frontiere.

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