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Il Lazio, la mafia e troppi silenzi

Di Valeria Meta il . Lazio

Tempo di bilanci per ‘Parole e mafie’, il seminario itinerante di Libera Informazione che si è concluso questa mattina con il convegno ospitato dalla Federazione Nazionale della Stampa. Non poteva esserci sede miglire, d’altronde, visto che nei due mesi di incontri in otto diverse città del Lazio si è cercato di comprendere meglio il rapporto fra mafia, antimafia e informazione. Coordinato come di consueto da Lorenzo Frigerio, l’ultimo appuntamento è stato aperto dall’intervento di Roberto Morrione, presidente di Libera Informazione: «Nel 2007, quando abbiamo cominciato a progettare un dossier sulla penetrazione mafiosa nel Lazio, il dato che saltava agli occhi era l’indifferenza dell’opinione pubblica rispetto a questo fenomeno. Gli obiettivi che ci siamo posti con questo seminario – ha spiegato – riguardano la sollecitazione dell’opinione pubblica attraverso le energie tanto dei cronisti locali quanto delle redazioni centrali per illuminare i punti oscuri di tante vicende. In secondo luogo ci interessava creare una rete di collegamento fra le associazioni. Da ultimo il rapporto con la Regione Lazio, che a fronte della latitanza del governo (si pensi alla questione del mancato scioglimento di Fondi), rappresenta un’alternativa che non dev’essere tralasciata».

La necessità di un giornalismo etico che imponga ai politici il buon governo è stata invece il richiamo di Luigina Di Liegro, Assessore regionale alle Politiche Sociali delle Sicurezze, mentre a Luigi De Ficchy, già nel pool della Procura di Roma negli anni caldi della banda della Magliana, è toccato il compito di ricostruire la genesi e l’evoluzione della presenza mafiosa nella Capitale e nel Lazio.  Tutto comincia con la Magliana, è vero, ma quando gli arresti del 1984 mettono fine a questo sodalizio criminale, ecco che la mafia si trasforma. Le alleanze con le organizzazioni tradizionali c’erano già, anche se nel Lazio non siamo di fronte al controllo del territorio bensì a infiltrazioni, profonde quanto silenziose, nell’economia, nel controllo degli appalti e nella speculazione edilizia. «E’ indubbio che sin dall’inizio il fenomeno è stato minimizzato, e la responsabilità è anche di chi ha ritenuto che fosse sotto controllo quando è chiaro che così non era».

Ricco di spunti per eventuali inchieste, l’intervento di Francesco Forgione ha preso le mosse dal ruolo dell’informazione nella ricostruzione di una cultura dell’antimafia. Alla base vi è uno dei temi più cari all’ex presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, ossia la necessità di non restringere il fenomeno mafioso alla sua dimensione criminale e giudiziaria. «Il giornalismo d’inchiesta dovrebbe ripartire dai territori e andare a recuperare i fatti là dove hanno avuto inizio. Perché Fondi è diventata un caso nazionale e Nettuno no? Perché nessuno si chiede se vi sia stata una bonifica reale dell’amministrazione? La mafia non è solo quella che, come apprendiamo in questi giorni, sta intrattenendo una trattativa con lo Stato. Per questo bisogna tenere alta l’attenzione».

Ultimo a prendere la parola, il padrone di casa Roberto Natale, che ha insistito sulla necessità per i giornalisti di provare a riscrivere le priorità dell’informazione, così da porre rimedio alle storture della cronaca. Un ritorno ai fatti, insomma, che non sia però esclusivamente descrittivo, ma si impegni a comprenderne le radici profonde. Per fare sì che – come ha chiosato Roberto Morrione – la notizia non resti orfana.

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