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Termovalorizzatori e rifiuti, la storia della valle del Sacco

Di Mino Massimei il . Lazio



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Gestioni allegre delle controllate
pubbliche, mancanze di controlli, e una scia di veleni sul
territorio: veleni veri, reali che uccidono.

“Se mescola, se brucia”

E’ giunta l’ora del
termovalorizzatore di Colleferro, anzi dei due termovalorizzatori.
Iniziamo dalla fine. «Dottorè ….. non è roba buona …. L’ha
vista la chiamata»? E dall’altra parte della cornetta «lo so, non
fa niente. Se mescola se brucia …. Punto!». Questa è una delle
intercettazioni dell’inchiesta sull’inceneritore di Colleferro,
stralci di una conversazione fra una dipendente e Stefania Brida,
responsabile della gestione dei rifiuti dell’impianto. Le
intercettazioni fanno parte dell’operazione del Noe di Roma che ha
portato all’arresto di tredici persone su disposizione del Gip di
Velletri Alessandra Ilari. Le accuse sono associazione per traffico
illecito di rifiuti e truffa allo stato. Gli indagati in concorso fra
loro per incrementare la produzione energetica e dunque i profitti
avrebbero smaltito rifiuti non qualificabili come Cdr (combustibile
da rifiuti) inducendo in errore il gestore dei servizi elettrici per
ottenere gli incentivi previsti dal Cip6.

Un’ ipotesi di frode da 43 milioni di
euro dal 2006 al 2008. I rifiuti arrivavano a due termovalorizzatori
gestiti del consorzio Gaia (gestiti dalla Mobil service srl e dalla
Ep sistemi spa) accompagnati da certificazioni false. Tutti
lavoravano allo stesso piano, chi faceva da intermediario, chi stava
nell’inceneritore, chi aspettava la “monnezza”, i laboratori di
analisi che certificavano tutto in regola. Il sistema Sick  di
controllo delle emissioni  veniva manomesso manualmente, così
che le emissioni risultavano tutte in regola.

L’indagine prende avvio in seguito ad
una denuncia sporta dal direttore degli impianti Paolo Meaglia nei
confronti del Consigliere comunale Leone del Ferraro. Del Ferraro nel
corso di una riunione del Consiglio comunale nel gennaio 2007
denunciò alcune anomalie nella gestione dei termovalorizzatori. Il
consigliere aveva scoperto che ogni qual volta sullo schermo che
monitora le emissioni si sforavano i limiti di legge, questo veniva
oscurato e poi i dati venivano cambiati manualmente. L’ingegnere
Nicolino Celli e il capoturno Piero Basso collaborano con i
carabinieri. E viene fuori il delirio.

Si bruciava tutto: tubi, radiatori,
“monnezza” allo stato puro.  I rifiuti provenivano
dall’impianto Ama del Salario e questo è uno degli aspetti
fondamentali della storia. Gaia avrebbe dovuto creare un ciclo
integrale dei rifiuti, ma manca l’impianto per il trattamento del
cdr, e così i rifiuti devono essere presi da fuori.

La costruzione dell’inceneritore

Torniamo all’inizio, a quando tutto
inizia con la costruzione dell’inceneritore. Di particolare
interesse risulta un documento: il parere igienico-sanitario della
ASL RMG sui termovalorizzatori. Il documento porta data 1-03-1999. Il
documento metteva subito in evidenza l’inopportunità di costruire
un impianto del genere “a ridosso dell’agglomerato urbano di
Colleferro ove vivono circa 900 persone ed è ubicato un edificio
scolastico con classi di scuola materna ed elementare”.  Il
documento passa poi ad analizzare  la zona industriale vicino
dove sarà ubicato l’inceneritore con la sottolineatura della “
presenza, all’interno dello stabilimento di quantità enormi di
rifiuti industriali abbandonati in modo diffuso ( gallerie, impianti
dismessi, grotte, terreni ….). le zone dello smaltimento dei fusti
tossici sono attaccati al luogo dove sorge l’impianto di
incenerimento. L’operazione di controllo degli anni 90-92 ha
evidenziato l’inquinamento delle falde acquifere di Colleferro così
che l’uso dell’acqua potabile è condizionato ad un periodico
controllo”.

Il documento concludeva che “l’area
individuata per la realizzazione dell’impianto è situata nell’ex
comprensorio BPD ed è confinante con estese aree utilizzate per
decenni come discarica incontrollata di rifiuti industriali.  Si
sottolinea che il nuovo insediamento andrebbe ad inserirsi in un area
ad elevatissimo inquinamento atmosferico[…]. Si ritiene inopportuno
la installazione di ulteriore fonti di inquinamento che possano
aggravare la già critica situazione dell’area di Colleferro
Scalo”. E’ finita come abbiamo detto all’inizio, ad una
situazione già grave di inquinamento e violazione della legge,
abbiamo aggiunto un altro tassello nelle nostre scatole cinesi. Un
altro pezzo della storia è la mancanza di autorizzazione dei due
impianti, infatti queste lavoravano in “procedura semplificata”,
cioè avevano un nulla osta a bruciare cdr a tempo fino al 2007 ma
hanno continuato senza che la Regione  gli concedesse “il
regime ordinario autorizzativo” per impianti come quelli di
Colleferro che bruciano 110000 tonnellate di cdr all’anno(25000
tonnellate possono bruciare gli impianti in procedura semplificata.

L’ex presidente di Consorzio Gaia,
Roberto Scaglione, è stato rinviato a giudizio dal Gup della Procura
di Bolzano nell’inchiesta «Gaia waste connection» per un presunto
giro di tangenti di oltre 2 milioni e di consulenze per il
termovalorizzatore di Colleferro. A giudizio è stato rinviato anche
Pierangelo Moroni, membro del cda di Pianimpianti (società che ha
costruito il termovalorizzatore) mentre hanno patteggiato: Francesco
Call, legale rappresentante della società Isos, tre anni e 15 giorni
e 200 mila euro di risarcimento; il lussemburghese Jean Francois
Rizzon, responsabile settore vendite della Lurgi (società di
costruzione di parti di ricambio per termovalorizzatori) 3 anni di
reclusione; Alberto Jampaglia, presidente Pianimpianti, e Luigi
Valeriani, direttore sezione energia di Pianimpianti, un anno. È
stato assolto, invece, il tedesco Theodor Risse, presidente cda di
Lurgi. Il magistrato punta a far recuperare allo Stato 7 milioni.
Scaglione era stato arrestato nel 2005 con l’accusa di corruzione,
truffa aggravata ai danni dell’ente pubblico, emissione e
utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti: il Gip di
Bolzano, Isabella Martin, su richiesta del pm Guido Rispoli, emise
due ordini di custodia cautelare nei confronti suoi e di Francesco
Call, albergatore di San Vigilio di Marebbe. L’indagine era partita
durante i controlli della Guardia di Finanza di Brunico (Bolzano),
che avrebbero accertato nella contabilità di due aziende facenti
capo a Call, la «Isos» di Brunico e la «Ecoplanet» con sede in
Lussemburgo, e di una terza società, la «Tecnical Associates»,
registrata a Dubai, fatture false per un importo di un milione e
mezzo di euro, che si sospetta sia stato distratto per pagare
tangenti per l’aggiudicazione dell’appalto da 32 milioni per la
costruzione del termovalorizzatore di Colleferro, realizzato dalle
società «Pianimpianti» e dalla tedesca «Lurgi», che ha già
patteggiato 4 milioni di risarcimento e 2 milioni per Consorzio Gaia,
per eventuali ulteriori danni che emergessero durante il processo.Un
impianto del genere per le mafie è una preda molto appetitosa,
soprattutto se vuole bruciare tutto: dall’amianto alla “monnezza”
dura e pura.

Non è un caso che Pietro Grasso
procuratore nazionale antimafia ha affermato ad un convegno che
l’ecomafia è anche qui –   la scoperta della centrale di
termovalorizzazione di Colleferro che utilizzava rifiuti speciali
anziché normali ne è una prova».Questo dimostra che “L’ecomafia
non è solo in Campania ma in tutta Italia. – ha poi continuato
Grasso – In tutto questo traffico le organizzazioni criminali si sono
infiltrate insieme ad altre persone che le favoriscono perché
occorrono anche tecnici che falsificano i risultati delle analisi,
occorrono trasportatori, c’e’ dietro quindi un’organizzazione che
lucra. Noi dobbiamo contrastarli e per farlo abbiamo bisogno di tutti
gli strumenti idonei, quindi anche le intercettazioni, senza le quali
nel caso di Colleferro non si sarebbe potuti arrivare ad accertare le
responsabilità”.

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