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La valle del Sacco:dai veleni della grande industria allo scandalo della gestione dei rifiuti

Di Mino Massimei il . Lazio

La storia della Valle del Sacco è una
storia complessa, affascinante e dolorosa. Complessa, perché è
complessa la storia della grande industria di questo paese che è
finita male. Affascinante, con la sua idea di dare un futuro
occupazionale certo a una larga fascia della popolazione, con i posti
di lavoro per tutta la famiglia, di padre in figlio. Dolorosa, perché
finita male, con un intera zona inquinata irrimediabilmente con i più
alti tassi di malattie da inquinamento.


Dalla fine all’inizio

Partiamo dalla fine. Tutto comincia-
soprattutto a livello mediatico- nel 2005 quando una sostanza molto
velenosa( il beta- esaclorocicloesano) viene trovata nel latte delle
mucche di alcune aziende di Gavignano, Colleferro, Segni, Paliano,
Anagni e altri comuni della zona. Il Governo, con l’allora
ministro dell’Agricoltura Gianni Alemanno, dichiara lo stato di
emergenza. I terreni inquinati vengono dichiarati no-food e
migliaia di capi di bestiame vengono abbattuti. Si inizia la bonifica
del sito Arpa 1 (che è stata la discarica all’interno dell’aria
industriale di Colleferro) dove hanno scaricato rifiuti tossici un
po’ tutte le aziende di Colleferro, ad iniziare dalla Bpd. Il
Dipartimento di Epidemiologia dell’Asl RM/E, nel corso di
un’analisi volta ad accertare lo stato di contaminazione causato
dai rifiuti tossici degli insediamenti industriali esistenti nella
valle del Sacco a partire dagli anni ’50, ha verificato che con
tutta probabilità almeno cinquecento cittadini residenti a ridosso
del fiume Sacco presentano livelli nel sangue di beta-
esaclorocicloesano di molto superiori alla media. Delle 440 persone
individuate e contattate, i test sono stati finora condotti su 246
persone. Si stima che ne restino ancora circa 700 da analizzare ma,
secondo le prime proiezioni, il 55 per cento dei casi potrebbe
risultare contaminato. Una testimonianza interessante è quella di
Luigi Mattei, operaio della zona di Colleferro, dal 1962 al 1981, che
racconta come rifiuti di ogni tipo venivano condotti nelle discariche
Arpa 1 e 2. Ricorda di avere lui stesso portato alle discariche fusti
contenenti materiali liquidi tossici, non sigillati, in molti casi
arrugginiti e lesionati che venivano usati come semplici contenitori
al solo scopo di trasportare i rifiuti di lavorazione, ma anche
amianto, piombo, rame, zinco e resina. Il tutto veniva poi coperto da
terreno preso dalle colline circostanti. Ricorda inoltre che molti
rifiuti interrati venivano anche da altre fabbriche. Il signor Mattei
sostiene, inoltre, che almeno fino al 1981 accanto ad ogni reparto di
produzione (ad esempio il reparto insetticida, agricolo, delle
resine, dell’amianto) esistevano piccole discariche a cielo aperto
dove venivano buttati i rifiuti di quella singola produzione. Oggi
pare che quelle aree siano state coperte da nuove costruzioni ma il
signor Mattei, intervistato, non si sente di escludere che lì sotto
possano trovarsi ancora resti di quei materiali tossici.

Lo sviluppo industriale

Dagli anni ’50 in poi la zona della
valle del Sacco ha avuto uno sviluppo industriale non adeguatamente
controllato, aiutato dal suo inserimento nelle aree finanziate dalla
Cassa per il Mezzogiorno. Il grande afflusso di capitali e
finanziamenti verso quelle aree indusse molte imprese chimiche e
farmaceutiche a costruire impianti in quella zona. Già prima
un’antica industria nazionale, la Snia Bdp, aveva lì il proprio
stabilimento dove si mescolavano al fine di produrre esplosivi,
pesticidi e altro, sostanze chimiche molto dannose e amianto. Nel
1990 la Procura di Velletri ordina la perimetrazione e il sequestro
dell’area industriale ex Bpd (oggi Secosvim) di Colleferro,
scoprendo centinaia di fusti tossici interrati nelle discariche Arpa
1, Arpa 2 e Cava di Pozzolana.

Nel 1992 inizia il processo a carico
della Bpd Difesa e Spazio e della Chimica del Friuli con l’accusa
di « stoccaggio e smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali»,
unito al timore che le sostanze tossiche interrate potessero aver
contaminato la falda acquifera. Il procedimento si concluse con la
condanna alla bonifica della zona. Dopo la chiusura della Snia Bpd
diverse altre industrie catalogate come pericolose sulla base della
direttiva europea Seveso 2 hanno continuato ad operare nella zona.
L’area oggi proprietà della Secosvim è interessata da un progetto
di speculazione edilizia così da risolvere il problema mettendo
tutto sotto una colata di cemento.

Questo è l’antefatto della nostra
storia e anche la fine tragica, con 256 persone monitorate dalla Asl
RmE del dipartimento di epidemiologia, di cui 160 presentano livelli
altissimi di beta-esacolrocicloesano nel sangue. Sostanza che non
scompare con il tempo nell’organismo, che ognuno si porta per tutta
la vita, e i cui effetti possono essere la morte. L’indagine del
dott. Perucci è solo all’inizio, intervistato dalla rivista Carta
nel numero di gennaio 2009 aveva dichiarato che l’indagine
epidemiologica sarà estesa ad almeno altre 700 persone. Quindi un
territorio compromesso per le prossime generazioni, una catena
alimentare tossica, una zona economicamente abbattuta(fosse solo per
il comparto agricolo). Ed è la storia di un fallimento industriale,
che pure ha dato tanto a molte famiglie. Per offrire una prima
soluzione occupazionale alla crisi del comparto industriale di
Colleferro e del Valle del Sacco viene fondato nel 1997 il Gaia
(gestione associata interventi ambientali), un ente pubblico che
aveva il compito di gestire il ciclo dei rifiuti. All’inizio
aderiscono nove comuni (fra cui Colleferro, Segni, Artena,
Valmontone, Carpineto , Labico etc.), ma dal 1999 i comuni che
arrivano ad essere soci del Gaia sono quasi cinquanta. Essendo un
consorzio pubblico la politica ha molto potere: i ruoli dirigenziali
sono di nomina politica e questo sarà molto importante per le
vicende successive. 

Gaia e l’inceneritore

Gaia e inceneritore di Colleferro: due
storie legate da un filo comune. La prima prende i rifiuti che la
seconda dovrebbe smaltire. Smaltire i rifiuti prodotti nella zona, un
modello per tutti i territori. Ma così non è nemmeno lontanamente.
Andiamo sempre con ordine: prima il Gaia poi l’inceneritore.
L’operazione «cash
cow» (mucca da
soldi) del 2008, condotta da quasi 200 uomini della Guardia di
Finanza e dal Pm della procura di Velletri Giuseppe Travaglini, porta
a sequestri e ispezioni in tutta Italia a carico di 24 persone:
membri del Cda, consiglieri, membri del collegio dei sindaci, ovvero
il nucleo dirigente del consorzio. Le accuse: bancarotta fraudolenta,
peculato, truffa aggravata, falsa fatturazione. Bloccati conti
bancari, sequestrati immobili per circa 53 milioni di euro. Roberto
Scaglione (ex presidente del Cda), Livio Fantei (ex direttore
generale), Pinuccio Colleo (ex direttore gestione servizi), Loreto
Ruggeri (ex consigliere Cda), Luigi Sposi (ex consigliere), Maurizio
De Cinti (ex revisore dei conti e presidente del collegio dei
sindaci), Alberto Ciaschi (ex sindaco del Consorzio) e Mattia Papaleo
(ex sindaco) «si sarebbero appropriati di 8 milioni e 255 mila euro,
il residuo di un mutuo di 33 milioni e 300 mila, erogato al Consorzio
Gaia dalla Cassa Deposito e Prestiti nel 2002 per l’acquisto
dell’impianto di termovalorizzazione Mobil Service». In concorso
tra loro, dopo aver ottenuto finanziamenti della Cassa Depositi e
Prestiti a Gaia con false fatturazioni e la duplicazione delle spese
«avrebbero indotto in errore la stessa Cdp sulla reale e occulta
destinazione delle somme erogate, legittimando la richiesta di nuove
erogazioni, impedendo le procedure di recupero, procurandosi un
profitto di circa 35 milioni di euro, con danno di pari importo per
l’ente pubblico». In particolare si parla di un mutuo di 33
milioni e 450 mila euro erogato per il completamento di MobilService
(il termovalorizzatore) stornato dai conti del MobilService alle
casse del GAIA e di altre fatture che non avrebbero inerenza con
l’oggetto del finanziamento o che non trovano affatto riscontro nei
libri contabili. A questo va aggiunto un altro finanziamento di 31
milioni e 250 mila euro concesso per la costruzione di un impianto
per lo smaltimento dei rifiuti per la realizzazione del ciclo
integrato dei rifiuti solidi urbani che è tuttora inesistente. A ciò
si aggiungono 450 mila euro come parte di un finanziamento concesso
per un impianto di aspirazione e utilizzo di biogas e 413 mila euro
per la costruzione della centrale elettrica di termovalorizzazione di
E.P. Sistemi, che non trovano riscontro contabile. Roberto Scaglione
e Leopoldo Di Bonito (amministratore unico della Gepuind) avrebbero
ottenuto dalla Regione un finanziamento di 12 milioni e 800 mila euro
per l’accordo quadro del 2005 tra il Gaia e la Fiuggi Terme, ma ne
avrebbero utilizzato solo una parte appropriandosi dei rimanenti 9
milioni e 100 mila euro. Domenico Frasca (consulente contabile di
Consorzio Gaia) «per aver redatto una falsa perizia la quale
apportava rivalutazioni alle poste patrimoniali sovrastimate al fine
di compensare il risultato negativo della gestione» mentre era
esperto designato dal presidente del Tribunale di Velletri per la
redazione della perizia di stima del patrimonio aziendale di Gaia. A
Scaglione, inoltre, viene contestato di aver versato, o promesso di
versare, 1 milione e 100 mila euro a Frasca come parcella per
prestazioni professionali al fine di indurre Frasca al compimento di
atti contrari al suo dovere di pubblico ufficiale. A tutti i 24
indagati, la Procura di Velletri contesta «di aver agito in concorso
tra loro e in tempi diversi per determinare l’applicazione
dell’amministrazione straordinaria del Consorzio Gaia distraendo
oltre alle somme indicate in precedenza la somma di 5 milioni di euro
per un preliminare d’acquisto di immobili; 1 milione e mezzo come
caparra per l’acquisto della sede del Consorzio e 750 mila euro per
l’acquisto di Fema Sud». Il Gaia finisce commissariata con 300
milioni di euro di debito di cui 160 milioni solo con la Cassa
Depositi e Prestiti. Una zona ad alta densità di corruzione. Gli
indagati sono bipartisan tanti riconducibili al centrosinistra e
tanti riconducibili al centrodestra. Una perfetta spartizione del
potere e delle responsabilità e questo vale sia per la vicenda Gaia
che per quella dell’inceneritore. E questa è solo la prima parte.

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