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Come cambia il mercato del sesso in Lombardia

Di Lorenzo Frigerio il . Lombardia

In un periodo
storico quale è quello attuale, contrassegnato da flussi migratori
epocali, il fenomeno delle prostituzione in Lombardia vede un significato
passaggio di testimone al vertice della classifica stilata in base alla
provenienza geografica delle lucciole.

È questo il
dato più significativo che emerge da una ricerca presentata nei giorni
scorsi dalla Caritas Ambrosiana e che si basa su un significativo campione
di oltre 2.000 soggetti dediti alla prostituzione, di cui il 94% donne,
che i volontari e gli operatori delle tredici unità di strada del “Coordinamento
Tratta e prostituzione Caritas”

della regione Lombardia hanno incontrato nell’arco degli ultimi sei
mesi. Questa mappatura, iniziata sette anni fa, consente di cogliere
i mutamenti non solo del business della prostituzione, ma anche della
tratta degli esseri umani ad essa inevitabilmente collegata.

Al primo posto
del mercato del sesso in Lombardia si trovano quest’anno le romene:
con il loro 32,3% vedono quasi decuplicarsi la loro presenza, a distanza
di soli sette anni dall’inizio della rilevazione. Drastico calo delle
albanesi, scalzate dalla prima piazza, in ragione del brusco calo di
presenze; con l’11,4% scendono infatti al terzo posto. Restano invece
saldamente al secondo posto le donne nigeriane con il 30,7%. Le tre
provenienze geografiche esauriscono nel loro complesso i tre quarti
del mercato della prostituzione sulle strade lombarde.

La libera circolazione
all’interno dell’Unione Europea dei cittadini romeni a partire dal
2007 è un elemento che ha sicuramente contribuito al boom di presenze
su strada delle lucciole provenienti dalla Romania. Ad essere soprattutto
cambiato è lo scenario storico ed economico complessivo e, alla ricerca
di emancipazione e futuro, in fuga da povertà e disperazione, non si
disdegna neppure il ricorso alla vendita del proprio corpo a pagamento.
Infatti, dalle interviste fatte nel corso della ricerca condotta dalla
Caritas, emerge come, soprattutto dalla Romania arrivino donne pronte
a prostituirsi per un ridotto numero di anni, alla ricerca di uno stile
di vita e di consumi quale quello in voga nei paesi europei più sviluppati,
che – a torto o ragione diventa difficile stabilirlo a questo punto
senza cadere in facili moralismi – resta il primo miraggio, l’unica
possibilità che hanno.

Quindi un primo
elemento importante sul quale riflettere è la raggiunta consapevolezza
che la metà finale, seppure transitoria – nessuna di loro pensa di
fare il mestiere sulla strada per sempre – è quella di vendere il
proprio corpo. Un investimento su sé stesse che dovrebbe produrre come
risultato la raggiunta emancipazione e un livello minimo di sussistenza.

Secondariamente,
se ne deduce che la modalità di relazione con i trafficanti è cambiata,
perché sempre più è oggi quella della contrattazione e sempre meno
quella della minaccia fisica, anche nei riguardi della famiglia di origine.
In alcuni casi si stipulano dei veri e propri contratti verbali, che
prevedono, una volta raggiunta la metà, la corresponsione di un minimo
stipendio, parametrato alla capacità di vendersi con profitto in relazione
al numero di clienti e alle prestazioni offerte.

Detto questo,
non siamo in presenza di un libero esercizio della prostituzione su
strada. Protezione e aiuto nelle più disparate situazioni restano garantite
dal racket, anche questo gestito su base etnica. E in alcuni casi basta
la pressione delle minacce, prima ancora che l’esercizio della violenza
ai danni di quante non rispettano i patti.

La pratica
della violenza come strumento di coercizione resta, viceversa, la regola
impiegata con ferocia all’interno dei clan che gestiscono la prostituzione
delle nigeriane, che rappresentano la maggioranza delle donne provenienti
dal continente africano che si prostituiscono in Lombardia.

A raccontare
il loro dramma è Suor Claudia Biondi, responsabile del settore di Caritas
Ambrosiana: “Sono ragazze molto giovani, pochissimo scolarizzate,
provenienti dai villaggi rurali. Spesso raccontano di avere attraversato
il deserto a piedi, di essersi imbarcate in Libia e di essere poi finite
nei centri di identificazione di Crotone o Lampedusa dove hanno chiesto
asilo politico. Ciò ci fa supporre che il racket abbia mutato strategia
e stia cercando di sfruttare i percorsi previsti per i rifugiati politici
per introdurre nel nostro Paese donne da avviare alla prostituzione.
Probabilmente esistono collegamenti tra le organizzazioni che reclutano
le donne nelle campagne nigeriane e organizzano il viaggio, e quelle
che poi le contattano nei centri di identificazione italiani per poi
portarle sulle strade di Milano e delle altre piazze del sesso a pagamento”.

Un viaggio
difficile e un percorso umano, dove la speranza cammina al fianco della
miseria, che un valido giornalista Fabrizio Gatti ha ricostruito nel
corso di alcune importanti inchieste per Corriere della Sera e L’Espresso
e che oggi sono pubblicate in un bellissimo libro dal titolo “Bilal.
Il mio viaggio da infiltrato nel mercato dei nuovi schiavi”
(Rizzoli,
Milano)

A causa della
costante violenza a cui sono sottoposte, sono proprio le donne nigeriane
quelle che chiedono per lo più di essere aiutate ad uscire dal circuito
del sesso a pagamento. Rumene e albanesi, invece, preferiscono sacrificare
la propria vita e la propria dignità, avendo un orizzonte temporale
limitato per l’esercizio di questo vero e proprio mercimonio del proprio
corpo. Un dato esemplificativo è dato dal numero delle albanesi che
vogliono uscire: sono in netto calo e attualmente non superano

Infatti, proviene
dalla Nigeria il 50% circa delle donne ospitate nelle case protette
situate in Lombardia e destinate a ricevere quante decidono di avvalersi
dell’art. 18 del Testo Unico sull’immigrazione. Ulteriori dati confermano
la pressione continua della violenza ai loro danni: il 46% di loro ha
chiesto di essere aiutate dopo un anno, il 30% nell’arco di tre anni.
A restare alla mercé dei loro aguzzini sono le meno scolarizzate e
le più impaurite. 

Ulteriori elementi
di riflessione importante vengono dall’analisi di altri fattori, quali
l’età media, la scolarizzazione e le condizioni personali e familiari.
Ad allarmare è l’abbassamento dell’età media – ad esempio, le
rumene incontrate sulle strade lombarde dagli operatori della Caritas
hanno una età media inferiore ai 24 anni – e i fattori di privazione
culturale e sociale, come spiega ancora Suor Claudia Biondi: “I
dati del 2008 confermano alcune costanti che riscontriamo da anni: le
donne che si prostituiscono sono soprattutto nubili, poco istruite,
disoccupate o con lavori precari. Dal che si deduce che
è la necessità economica a spingerle sulla strada. Ciò
è particolarmente vero per le rumene”
.

Ultimi elementi
offerti dalla ricerca riguardano la quota di prostituzione maschile.
Dei duemila soggetti incontrati, poco meno del 5% era un uomo. Sono
ben sedici i paesi di provenienza censiti dalla ricerca. Ancora una
volta è la Romania a primeggiare, ma non è un primato consolante ovviamente:
oltre la metà degli uomini incontrati su strada sono rumeni, al secondo
posto si trovano gli egiziani (16%) e al terzo gli italiani (13%). Lavorano
soprattutto nel capoluogo milanese e i loro clienti sono soprattutto
altri uomini. Le donne invece che chiedono sesso a pagamento ad altri
uomini non si rivolgono a quanti si vendono su strada. Altri sono i
canali di incontro e ben più mascherati agli occhi dell’opinione
pubblica e delle forze dell’ordine.

La ricerca
non riesce a focalizzare il fenomeno dei trans, per lo più di origine
sudamericana e italiana, per la mancanza di numeri significativi raccolti
durante la ricerca.

Altro capitolo
è ovviamente il discorso che riguarda la prostituzione in casa, le
agenzie di escort a pagamento: su questo tuttavia mancano dei riscontri
precisi.

La presentazione
di questi interessanti dati sull’evoluzione della prostituzione in
Lombardia sono serviti a lanciare una campagna all’interno della Diocesi
di Milano di indumenti usati intitolata “Mai più
vittime”
in programma il prossimo 9 maggio. Il ricavato serve
al finanziamento delle case protette per l’accoglienza delle vittime
di tratta e delle donne che fuggono dalla strada o da situazioni di
violenza.

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