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Mamma Calabria

Di Enrico Fierro* il . Calabria

Quella che segue è la storia di una donna, che mi piace chiamare “Mamma Calabria”.  ….Ero appena tornato da Napoli dove avevo vissuto, insieme ad altre decine di migliaia di persone, momenti di commovente partecipazione civile. Nell’Italia divisa, incupita, impaurita dalla crisi, una fiumana di giovani, adulti, donne e uomini, ragazze e ragazze, si era stretta intorno a un prete per dire no alle mafie. A tutte le mafie.

Sul lungomare della città di Gomorra avevo stretto le mani di tantissimi calabresi. Don Pino De Masi e i suoi ragazzi di Polistena, il sindaco di Lamezia Gianni Speranza, Adriana Musella che ha colorato il corteo con le sue gerbere gialle, Mario Congiusta e la sua famiglia. Lui aveva dei guanti bianchi alle mani. Magro, il volto devastato dal dolore, mostrava i palmi con la scritta “certezza della pena”. Ero appena tornato quando ho dato uno sguardo alle agenzie di stampa. Una mi ha colpito: Cristian Galati, il ragazzo rapito e bruciato vivo a Filadelfia alla vigilia di Capodanno, è morto.
Leggevo e la mia memoria riandava a due anni fa, quando con Ruben Oliva ci arrampicammo su per Filadelfia.

Dovevamo realizzare il nostro documentario sulla ‘ndrangheta e ci avevano detto che quel paese in cima ai monti era il luogo dove i ragazzi sparivano. Vittime della lupara bianca. Ci avevano indicato la casa di due donne, una era Anna Fruci. Allora Cristian era vivo, un ragazzo come tanti, un giovane calabrese senza speranze, uno al quale la sua terra aveva negato tutto, anche il diritto di sognare uno straccio di futuro. Anna Fruci ci accolse nella sua casa in campagna in una grande cucina. C’erano i ritratti di santi e madonne e le foto in bianco e nero dei morti. Non c’erano foto di vita. Da troppo tempo la serenità aveva abbandonato quella povera casa. Anna aveva sistemato le foto di Valentino su un tavolo per mostrarcele, parlava e aveva il cuore in gola. Io e Ruben non la interrompemmo mai.

Lasciammo che la telecamera fissasse tutte intere le sue parole. Lei parlava e il racconto della sua tragedia cresceva e diventava il racconto della tragedia di una regione intera, la Calabria. La Calabria dei mammasantissima, della morte e della povertà, delle ingiustizie e del potere. Lei parlava del suo Valentino, ci diceva che il figlio era scomparso pochi mesi prima. Sparito in quell’immenso buco nero fatto di mafia, violenza, omertà, dove si perdono per sempre i giovani di Filadelfia e di altri paesi del Vibonese. Anna sapeva che suo figlio era stato divorato da quella bestia che si chiama ‘ndrangheta, qualcuno in paese aveva messo in giro la voce che la scomparsa del ragazzo fosse dovuta ad una questione di “femmine” e corna. Ma lei sapeva e per questo, fissando l’obiettivo, decise di lanciare un appello ai capi della ‘ndrangheta. “Fatemi ritrovare mio figlio.

Se è morto fatemelo sapere, basta una telefonata anonima. Abbiate pietà, fate in modo che io possa piangere sul suo corpo”. Questo chiedeva Anna Fruci ai clan potentissimi del suo paese. I resoconti delle inchieste giudiziarie dicono che a Filadelfia comandano i Fiumara-Anello, boss potenti alleati con i Mancuso di Limbadi, insomma, pezzi importanti della mafia calabrese. Malacarne, uomini del disonore, assassini senza vergogna e senza scrupoli. Feccia dell’umanità, rovina della Calabria. Uomini senza pietà che hanno privato una madre dell’ultimo diritto, quello di piangere sulle spoglie del figlio.
Povera Anna Fruci, per lei la bestialità e la violenza che affonda i suoi artigli nel cuore della sua disgraziata terra, non hanno fine. Valentino è un desaparecido, Cristian lo hanno attirato in una trappola e ammazzato come neppure un cane si ammazza. L’ho rivista, Anna, nelle immagini tv. E ho pensato che ci sono figure sui cui volti puoi leggere il dramma di un intero popolo. Parlava e piangeva e le rughe le attraversavano il viso come per raccontare lo strazio di una vita intera e quel suo unico imperdonabile errore, aver preteso di vivere e concepire figli in una terra maledetta. Pier Paolo Pasolini scelse il volto di una donna bellissima, Anna Magnani, per raccontare l’Italia uscita stremata dalla guerra. “Mamma Roma” camminava per le strade polverose della capitale sfregiata dai bombardamenti trascinando il suo carretto di “fruttarola” e muta riusciva a parlarti delle ferite di una intera vita.

Miriam Makeba cantava e la sua faccia, più delle parole delle sue canzoni, ti raccontava l’Africa, la fame, la morte, il dolore nero. Miriam ha scelto di morire a Castelvolturno nel novembre scorso, in una plaga d’Europa dove vive un pezzo della sua Africa. Miriam Makeba era “Mama Africa”. Anna Fruci non sa cantare, non ha dalla sua la forza della scrittura, ma il dramma che sta vivendo si incarica di parlare per lei. Anna, il suo volto, la sua storia, sono il simbolo della Calabria dolente. Anna Fruci è “Mamma Calabria”. Una mamma moderna e ferita a morte.

Una mamma dimenticata dai media. Nessuna tv, nessun giornale ha parlato della sua storia. L’Italia non sa che in un angolo sperduto del Sud si vive e si muore come in una zona di guerra. Quando la intervistai Anna mi disse “in casa mia si vive di malinconia. Non c’è più niente”. Parole dure come la pietra. Povera “Mamma Calabria”.

*dal blog di Enrico Fierro – MalItalia

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