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Lontano dai riflettori

Da Libera Mente il . Sicilia

Legge su Libera Mente (portale d’informazione di Partinico) la pubblicazione di “Ero cosa loro”, il libro-confessione della mafiosa, poi collaboratrice di giustizia, Giusy Vitale, la prima donna boss di Cosa nostra; qualche giorno dopo decide di sfogare la sua inquietudine sul blog, pubblicamente, con schiettezza e coraggio. Libera Mente raccoglie questa testimonianza. Lei si chiama Kathuscia Intravaia, 36 anni, di Partinico; ne aveva solo 15 quando suo padre Giuseppe fu ammazzato.

“La mattina del 10 settembre del 1988 mio padre uscì di casa e non torno mai più. Il suo corpo fu ritrovato carbonizzato dentro la sua auto, dieci giorni dopo l’omicidio”, ricorda Kathuscia. Un delitto inspiegabile per gli investigatori. La vittima era dipendente dell’Enel e gestiva un negozio di giocattoli in corso dei Mille. Estraneo a qualsiasi ambiente criminale, non furono appurate minacce o tentate estorsioni e il caso fu archiviato. Fino a quando, nel 2003, Michele Seidita, spietato killer della cosca dei Vitale, si pente e confessa il delitto.

Parlò di un “favore” fatto al capomafia di Borgetto Salvatore Prainito, contro cui la Magistratura non poté procedere, visto che la rivelazione di Seidita fu ritenuta insufficiente per un’incriminazione.

La pubblicazione del libro di Giusy Vitale vi ha molto colpito. Perché ha deciso di rendere pubblico il suo sentimento?

Da vent’anni vivo con animo inquieto e infelice. Mi sono chiesta se è giusto che i boss pentiti debbano essere trattati da vip, godere di tale risalto mediatico mentre le vittime dei loro delitti soffrono in silenzio.  

 Chi era suo padre?

Era impiegato all’Enel, e a Partinico aveva rilevato da pochi mesi un negozio di giocattoli, Apple bazar, nel corso dei Mille, per garantire un futuro lavoro a mio fratello. Non frequentava ambienti criminali, era incensurato, una persona perbene. La mattina del 10 settembre 1988, all’età di 39 anni, è uscito di casa e non vi è mai più tornato.  E’ stato freddato con un colpo di pistola alla nuca nelle campagne di Mirto. Il suo corpo, insieme alla sua auto, sono stati bruciati; soltanto dieci giorni dopo la sua scomparsa è arrivata a casa una pattuglia dei Carabinieri comunicandoci il ritrovamento di papà. Il riconoscimento è stato fatto da mia madre tramite la protesi dentaria perché era l’unica parte riconoscibile del cadavere carbonizzato.

 Cosa è successo da allora?

Per la nostra famiglia si è aperta una ferita pari al cratere di un vulcano. Continuamente alimentato dalla indifferenza della gente, dei nostri concittadini, e delle istituzioni. Il caso fu archiviato, finito nel dimenticatoio, nessuno ci disse mai niente. Fino a quando nel 2003 leggemmo sul giornale della confessione del killer Seidita al servizio della cosca Vitale. Anche in quel caso nessuno ci ha contattati, non abbiamo avuto un briciolo di solidarietà da nessuno, la notizia non ha avuto alcun seguito.

 Nessun movente ma un assassino in carne e ossa.

Finalmente avevamo un nome a cui affidare le sorti  della nostra infelicità. Su di noi, sulle nostre vite, ricadono il silenzio e l’indifferenza fino al 2007. Il 5 novembre di quell’anno il Tribunale di Palermo ci invita a presentarci come parte lesa insieme ad altre trenta persone, i familiari delle altre vittime. Ebbene, soltanto io e mamma abbiamo scelto di costituirci Parte civile, in nome della civiltà e del diritto di avere giustizia. E’ stata una scelta netta e non priva di conseguenze: noi, le uniche a costituirci Parte civile, siamo passate per quelle “strane”. Mentre tutti gli altri sono normali.

 Credete di avere avuto giustizia?

Michele Seidita, per i cinque delitti che ha confessato, è stato condannato a 20 anni di reclusione, il massimo possibile per un collaboratore di giustizia. L’omicidio di papà è stato archiviato come delitto di mafia, un riconoscimento morale e civile nei confronti di una persona onesta e totalmente estranea a qualsiasi fatto criminale, ucciso da boss spietati che hanno fatto della violenza la loro cifra di vita.

In paese si insinua che adesso facciate vita da nababbi.

Prima l’indifferenza, poi le maldicenze. Ma negli anni ci siamo costruiti una corazza inscalfibile. Io e mia madre tiriamo a campare con la pensione di reversibilità di papà e, anche sei ci è stato riconosciuto, al momento non abbiamo avuto alcun risarcimento economico.

 All’assassino di suo padre è stato riconosciuto un ulteriore sconto di pena di 4 anni e otto mesi. E’ consapevole che un giorno potrebbe ritrovarselo di fronte, incontrarlo per strada?

Non ci avevo pensato fino a ieri, il giorno dell’ultima sentenza. Se accadesse penso che lo guarderei negli occhi, come ho già fatto in Tribunale, e quando abbasserà lo sguardo gli ricorderò come ci si sente quando si perde un affetto familiare senza avere il sostegno e la protezione  dello Stato.

Voi nel silenzio, Giusy Vitale in copertina.

Non mi stupirebbe affatto se le concedessero la purificazione dell’anima se non addirittura la beatificazione, trasformando una criminale in una vittima del sistema.


Leggi qui l’articolo “Donne di mafia”

www.partinico.info

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