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Alcamo, così parla un imprenditore che fa il mafioso

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Come parla un imprenditore che agisce da mafioso? La domanda può avere facile risposta dando una lettura ai brogliacci delle intercettazioni dell’operazione antimafia condotta da Polizia e Carabinieri nei giorni scorsi ad Alcamo. Il blitz che ha messo in luce ancora una volta come è il “cemento” l’affare che più interessa Cosa Nostra in Sicilia.

Controllare questo genere di mercato, agire senza andare per il sottile per eliminare qualsiasi scomoda concorrenza, a Trapani i mafiosi si rivolsero ai politici per far mandare via un prefetto che non voleva far vendere una azienda confiscata, è la storia che dovrebbe essere da esempio per tante cose di Fulvio Sodano e della Calcestruzzi Ericina, comandare in questa maniera significa potere condizionare i cantieri pubblici e privati, farci entrare dentro Cosa Nostra e i suoi picciotti. Liborio “Popò” Pirrone è l’imprenditore che diventato mafioso secondo la Procura antimafia di Palermo dettava legge nel mercato del calcestruzzo nella vasta zona a cavallo tra le provincie di Trapani e Palermo, nei territori dove comandano i boss mafiosi latitanti Matteo Messina Denaro e Mimmo Raccuglia.

Quelli di Castellammare del Golfo e di Alcamo, perchè di questi si è interessata l’ultima delle indagini antimafia sul fronte trapanese, sono territori che nel tempo hanno visto ascesa e discesa di capi mafia, ma in sostanza i “ceppi” familiari a comandare sono stati sempre gli stessi, Melodia, Milazzo, Asaro. Ecco in questo contesto Pirrone ad un certo punto per far capire ad uno dei suoi interlocutori che “c’era altra aria”, gli si presentò in questa maniera:  “Una volta c’erano altri discorsi, ora ci sono questi discorsi ed è finita!…”. Dietro Popò Pirrone uno degli anziani capi mafia di Alcamo, Diego Melodia che con Pirrone era socio nell’impresa Medi Cementi quella che in forma esclusiva per qualche tempo è riuscita a fornire cemento nel territorio alcamese. Il cemento qui veniva venduto più caro rispetto ad altre ditte della zona, ma gli affari crescevano ugualmente. Le imprese sapevano che lì lo pagavano di più il calcestruzzo e sapevano anche a cosa serviva quel rincaro, a pareggiare con le richieste estorsive.

Pirrone aveva dietro le spalle Melodia e si sentiva più forte: “Che minchia dici senza Diego, niatri nuddu semo” ..”. Nel suo ambiente di Pirrone si parlava con rispetto ma anche ridendo delle sue gesta. Lo appellavano Johnny Stecchino, le sue mosse venivano paragonate a quelle del personaggio cinematografico impersonato da Roberto Benigni, come quel buffo personaggio Pirrone andava in giro e la gente si sentiva minacciata solo a trovarselo dinanzi. Lui aveva da fare sempre la stssa richiesta, il cemento andava comprato da lui e non da altri Pirrone non era uno che si fermava davanti a qualcosa. andò a trattare anche a Partinico con la “famiglia” di Vito “Fardazza” Vitale quando ad un certo punto una impresa di produzione di cemento di quella zona venne nella vicina Alcamo a piazzare le sue forniture: “Impossibile che questi qui vengano a togliere il lavoro ad Alcamo! …”.

Non è stato facile raggiungere l’obiettivo prefissato, ma Liborio Pirrone, ancora intercettato veniva sentito dire mentre discuteva con i “suoi” subalterni che bisognava avere pasienza: “Non bisogna avere alcuna fretta“… ci rissi lu surci a la nuci, dammi tempu che ti spirtusu… (disse il topo alla noce, dammi il tempo che ti buco). Ed ebbe ragione anche in questa situazione.
L’acquisto del cemento o il pagamento della quota estorsiva erano cose che Pirrone assolutamente non era disposto a mettere in discussione. La “tassa” del racket lui poi la definiva in modo particolare: “Gioia mia, u tributu a Cesare … u tributu a Cesare dunné?”.

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