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La ‘ndrangheta borghese e i centri commerciali

Di g.t. il . Calabria

Tre grandi centri commerciali in soli 20 chilometri, quelli della statale 106 che da Siderno conducono a Bovalino, in provincia di Reggio Calabria. Grandi costruzioni di cemento armato che si affacciano sul mare blu dello Ionio. Il bacino d’utenti della zona può essere calcolato, approssimativamente e per eccesso, in centomila consumatori. Una cifra che tiene conto dei paesi costieri e anche dei centri dell’entroterra, quelli ai piedi dell’Aspromonte.

La zona ionica per le sue bellezze naturali potrebbe aspirare a divenire un centro turistico di prestigio, se avesse strutture turistiche decenti e gli imprenditori reggini considerassero il turismo un affare abbastanza lucroso. Ma così non è. Si preferisce edificare, costruire cattedrali nel deserto, avviare centri commerciali. Il tutto nel nome della questione occupazionale, dando per scontato che la via della cementificazione sia l’unica in grado di far diminuire la forte disoccupazione giovanile del Reggino. Le strutture turistiche non creano occupazione forse?

La prima iperstruttura la incontriamo a Siderno. E’il centro commerciale “La Gru” di proprietà del Gruppo Ferrigno. Ma chi è costui? Ferrigno è un imprenditore di Bovalino che negli anni ’80 ha subito, da parte della ‘ndrangheta, il sequestro della moglie a scopo estorsivo. Esperienza che, per sua fortuna, non sembra aver intaccato la solidità economica dell’azienda, visto il boom economico che ha conosciuto negli anni a seguire. Partito da un negozio di giocattoli e casalinghi, oggi possiede col suo gruppo ventiquattro Center Gross tra Calabria, Sicilia e Campania. E’ presente con alcuni negozi nel “Centro Guadagna” di Palermo, finito sotto la lente degli investigatori per i legami con cosa nostra. Dopo la realizzazione del “Centro Guadagna”, gli immobili – si legge nella nota dei carabinieri pubblicata anche dall’Espresso – sono stati ceduti al gruppo commerciale della Solidea, azienda di cui è socio anche Ettore Artioli, vicepresidente di Confindustria Sicilia. Il nome stesso di Artioli viene pronunciato più volte dai pentiti Franzese, Campanella, Nuccio e Pulizzi in merito alla sua vicinanza al sottobosco mafioso.

“La Gru” si trova entro i confini di Siderno, che è il fortino della ’ndrina dei Commisso. La cosca ha creato  un vero e proprio impero commerciale. Da veri imprenditori moderni hanno saputo stringere alleanze strategiche con diversi impresari legati alle ‘ndrine della Locride. Secondo gli investigatori, le “teste di legno” pronte a prestare il nome ai boss di certo non mancano nella provincia di Reggio. La potenza dei Commisso è direttamente  proporzionale alla loro capacità di insabbiarsi, di mimetizzarsi nel circuito legale delle imprese. Grazie all’invisibilità accumulano ricchezza e prestigio, all’ombra dei comitati d’affari stringono patti ed elaborano progetti di espansione economica e di controllo del territorio.

L’ispettore capo Sortino, da 26 anni in servizio al commissariato Siderno, al processo Congiusta  ha  descritto chiaramente lo status quo sidernese dopo la faida tra la ‘ndrina dei Costa e quella de Commisso: “Non è più esistito il racket, nessuno se ne andava a estorcere quattrini agli esercenti. Molte attività commerciali, parecchie anzi, erano di proprietà di soggetti che avevano partecipato alla faida. Il commercio era monopolizzato dai Commisso. Non ricordo denunce presentate a seguito di richieste di denaro”.

Un monopolio che soffoca la libera iniziativa a Siderno come negli altri paesi del Reggino. Eppure a Bovalino, paese natale dello scrittore Mario La Cava, sembra che degli imprenditori abbiano trovato il coraggio di industriarsi finanziando la costruzione di un altro centro commerciale: “I Gelsomini”, inaugurato a fine luglio 2008. Adesso Bovalino, ottomila abitanti e natura mozzafiato, può godersi ben due centri commerciali: il “Center Gross” del Gruppo Ferrigno e il parco commerciale “I Gelsomini” proprietà di un nutrito gruppo di imprenditori provenienti dalle zone con la più alta densità mafiosa della Calabria. La società si chiama “Commerciando srl”, dei dieci soci tre sono di Platì, due di San Luca (tra cui una donna), due di Bianco, due di Ardore (tra cui il marito di una figlia di Commisso già proprietario di un market “Sisa” proprio nel centro di Ardore), uno di Bovalino. La residenza non è una prova di colpevolezza, come è ovvio. Ma gli investigatori osservano.

Secondo la classifica del Sole 24Ore sulla ricchezza dei comuni la Calabria risulta all’ultimo posto, occupando una posizione peggiore della Basilicata. Gli imprenditori che hanno realizzato la costruzione del nuovo centro commerciale provengono proprio da quei comuni del Reggino dove il reddito per contribuente non supera i 9. 384 euro. Fanalino di coda è Platì, il paese aspromontano regno dei Barbaro e dei loro fedeli alleati, maglia nera della classifica con 4.152 euro per contribuente. I redditi sono estremamente bassi, ma gli imprenditori investono.

A Bovalino non c’è un cinema, non c’è un teatro, non c’è una libreria (neanche nei due centri commerciali), e di locali dove i giovani possano ritrovarsi la sera nemmeno l’ombra, ma in compenso ci sono due centri commerciali praticamente identici.  Un altro inusuale primato per Bovalino, dopo il triste record in fatto di sequestri di persona: ottomila anime e 18 rapimenti subiti dagli anni ’70 al 1993, con l’ultimo tragico fatto, quello che ha portato alla morte di Lollò Cartisano.

Una buona fetta degli abitanti del paese è convinta che il centro commerciale porti sviluppo, occupazione e dinamicità. Nessun dubbio, nessun timore che potrebbe ancora una volta imporsi la legge delle amicizie: lavora chi ha conoscenze. Quasi nessuno si pone minimamente la questione etica: chi investe, perché, con quali soldi?

Durante una delle tante presentazioni del suo libro, “Fratelli di sangue”, il sostituto Nicola Gratteri disse chiaramente che “la proliferazione di supermercati nel reggino è connessa il più delle volte ad attività di riciclaggio”. Si pensi al “Parco degli Ulivi” di Rizziconi del quale era socio l’imprenditore Nino Princi, ucciso nel maggio 2008, e nel quale riciclava il denaro per conto della ‘ndrina dei Rugolo. I centri commerciali, è dunque risaputo,  funzionano a volte da lavatrici di denaro sporco proprio per la loro capacità di muovere grosse quantità di denaro contante e di emettere scontrini a raffica. Dubitare in terra di Calabria è lecito, soprattutto se i progetti degli imprenditori locali risultano in contrasto con le necessità oggettive del paese.

Una forma di progresso armonico della Calabria rimane una “chimera”, come si sostiene nell’ultima relazione della commissione antimafia presieduta da Forgione, perché finché le pressioni della ‘ndrangheta spingeranno in una direzione ben precisa, la liberta di scegliere quale attività intraprendere rimarrà sempre subordinata alle logiche mafiose. Fino a quando i calabresi onesti non faranno sentire la loro voce.

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