Attiviamo la scorta mediatica
E’ allarmante e confortante al tempo stesso, il fatto che sia sempre
più lunga la lista di giornalisti e giornaliste che hanno bisogno di
una protezione. Questa lista dice di una criminalità diffusa e potente,
ma parla di un coraggio civile e professionale almeno altrettanto
tenace. Sì, la “scorta mediatica” che Articolo 21 ha proposto è la
solidarietà minima che dobbiamo a questi colleghi: per restituire loro
almeno parte della capacità che hanno avuto di attivare l’attenzione su
questioni cruciali e taciute, su quei “problemi – dice Roberto Saviano
– che meno fanno rumore, più fanno danno”. Però non è solo un fatto di
solidarietà.
L’impegno a far funzionare la scorta mediatica serve a noi
giornalisti “comuni”, che non corriamo il pericolo di vederci sparare,
ma corriamo il rischio di smarrire la ragione del nostro lavoro. Far
funzionare la scorta significa ricordare le priorità dell’informazione,
buttare all’aria le convenzioni dominanti che hanno stravolto il senso
stesso del fare cronaca. Insomma: perché il processo al clan dei
Casalesi – quello delle minacce a Rosaria Capacchione – non può
diventare un serial di grande ascolto come i processi per Cogne
o per la strage di Erba? Chi può pensare che manchino elementi di
interesse (persino “spettacolare”, verrebbe da dire guardando alle
efferatezze della camorra) nel racconto di vicende che stanno
soffocando intere zone d’Italia?
E perché non si trova modo,
soprattutto negli approfondimenti televisivi delle reti generaliste,
per far capire quello che sta avvenendo in Calabria? Anche in questo
caso, la relazione della Commissione Antimafia o le intercettazioni
riguardanti qualche Asl danno materiale che sembra uscito
dall’inventiva di un bravo autore di fiction. Eppure di questa
drammaticità non c’è traccia, salvo lodevoli eccezioni, nella nostra
informazione. Attiviamo dunque la scorta mediatica. Per aiutare qualche
collega, e per salvare la nostra faccia.
* Presidente Fnsi
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