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Mafia a Roma, condanne per il clan Fasciani

di redazione il . Lazio

Pesanti condanne per la “mafia di Ostia”. La sentenza emessa oggi dalla X sezione penale del Tribunale di Roma ha condannato 14 imputati del processo nato dall’inchiesta “Nuova Alba” contro il clan Fasciani. Si tratta di una sentenza storica perché sancisce l’esistenza di una organizzazione criminale autoctona che operava con modalità mafiose sul territorio romano, in particolare ad Ostia. I giudici hanno, dunque, accolto l’impianto accusatorio dei pm riconoscendo al gruppo criminale l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Il pubblico ministero Ilaria Calò, insieme al procuratore della Dda Michele Prestipino (presente oggi nell’aula Occorsio durante la lettura del verdetto) ha istruito il processo, a partire dalle indagini della squadra mobile guidata da Renato Cortese.

Le condanne. Circa 200 anni per i boss del litorale romano. In particolare è stato riconosciuto il ruolo centrale di Carmine Fasciani nell’organizzazione, per lui disposti 28 anni di reclusione. Condanne anche per: suo fratello Terenzio (17 anni), le figlie Sabrina Fasciani (25 anni e 10 mesi) e Azzurra (11 anni). Inoltre, sono stati condannati il nipote Alessandro Fasciani a 26 anni di reclusione, la moglie di Carmine Fasciani Silvia Bartoli (16 anni e 9 mesi). Insieme con loro quelli che sono considerati gli appartenenti al clan sono Riccardo Sibio (25 anni e 3 mesi), Gilberto Colabella (13 anni), Luciano Bitti (13 anni e 3 mesi), Eugenio Ferramo (10 anni), Danilo Anselmi (7 anni), Mirko Mazzoni (12 anni), Ennio Ciolli (3 anni) e Emanuele Coci (2 anni). Ad essere assolti sono stati Nazareno Fasciani, fratello di Carmine, Gilberto Inno, Fabio Guarino nonchè Vito e Vincenzo Triassi. Questi ultimi appartenevano all’omonimo clan che secondo gli investigatori agiva nella zona di Ostia e del litorale in pieno contrasto con il gruppo Fasciani

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FASCIANI –  dispositivo di sentenza 30.1.2015

L’assoluzione dei Triassi. I giudici hanno, invece, assolto con la formula «perché il fatto non sussiste» Vito Triassi e Vincenzo Triassi, che secondo l’impianto accusatorio rappresentavano i referenti della mafia siciliana nella zona costiera della capitale. «I Triassi comandavano a Ostia» negli anni ’90, aveva detto nella sua deposizione al processo a febbraio 2014 il super pentito di Cosa Nostra Gaspare Spatuzza. Le prove di questa attività criminale – mafiosa  sul territorio, gestita in accordo con i Fasciani, non hanno retto al vaglio dei giudici.

L’associazione Libera parte civile al processo.  “Si tratta di un sistema mafioso che è nato, cresciuto e si è sviluppato ad Ostia – dichiara Gabriella Stramaccioni, dell’Ufficio di presidenza di Libera, a margine della sentenza – ed è importante che sia stato riconosciuto dai giudici del Tribunale di Roma in questa sentenza”. “Non siamo qui  – sottolinea la Stramaccioni – per gioire delle condanne, ci interessa, invece, affrontare un problema molto grave che questa città sta vivendo da anni. Ovvero, la presenza  su Roma di un vero e proprio sistema criminale, che – in particolare a Ostia, come confermato dalle condanne di oggi – condiziona il territorio da molti anni”. Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie è stata – insieme ad altre associazioni e agli enti locali – parte civile nel processo.  “Lo abbiamo fatto  –  come spiega Stramaccioni – in rappresentanza di quella società civile responsabile che ha subito e subisce  pesanti angherie da parte del sistema mafioso. Costituirsi parte civile è una azione di civiltà fondamentale per veder risorgere la legalità e affermare verità e giustizia nel nostro paese . E’ importante farlo in tanti luoghi, non solo al Sud; anche a Ostia i clan, grazie a importanti coperture, per molto tempo l’hanno fatta da padrone. La nostra scommessa  è creare una nuova generazione di cittadini in grado di contrastare l’avanzata di questi sistemi criminali”. I giudici hanno disposto risarcimenti, da liquidare in separata sede, in favore anche della Regione Lazio, Roma Capitale, Associazione Libera, Lotta contro le illegalità e le mafie «Antonino Caponnetto», Sos Impresa e Ambulatorio Antiusura e Volare Onlus.

 

Cioffredi, Osservatorio per la legalità Regione Lazio: “Sentenza storica”. “Confermato impianto accusatorio, importante sentenza che riconosce l’esistenza di una associazione mafiosa a Roma. Una mafia nata, cresciuta e vissuta, in particolare, sul territorio di Ostia” commenta Gianpiero Cioffredi, presidente dell’Osservatorio  tecnico sulla sicurezza e per la legalità della Regione Lazio, commentando la sentenza  contro il clan Fasciani. “Si tratta – aggiunge – della prima sentenza che conferma a pieno l’esistenza di una organizzazione mafiosa – diversa dalle tradizionali presenze mafiose – e che negli ultimi 20 anni ha impresso un predominio sul territorio, una capacità di soggezione molto importante, riconosciuto in questa sentenza”. “La parola – conclude – adesso passa alla società romana, agli imprenditori in particolare, poiché il processo fra le altre cose ci consegna un dato allarmante: tutti le attività commerciali taglieggiate hanno pagato il pizzo, e nessuno ha testimoniato e ammesso il fatto nel processo”. Cioffredi annuncia l’avvio di una “grande campagna” di sensibilizzazione su questa sentenza che definisce “storica”  della società civile romana, il mondo dell’economia e della politica.

 

Il clan Fasciani e il processo alla “mafia di Ostia”.   Estorsioni, minacce, incendi, intimidazioni e un rigoroso rispetto del silenzio. Così i Fasciani – secondo le accuse confermate oggi dalla sentenza – avevano imposto il loro “controllo del territorio” su un intero quartiere di Ostia, il litorale della Capitale.  Le modalità di azione del gruppo criminale – come spiegato nell’ordinanza di custodia cautelare dell’inchiesta “Nuova Alba” “ricalcano” il modello delle mafie classiche, quelle del sud. Il sistema criminale di Ostia gestiva il traffico di droga, le estorsioni,  riciclava i capitali illeciti e era coinvolta nel possesso di armi.   Per gran parte degli imputati condannati i giudici hanno previsto, tra le pene accessorie,  l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, quella legale per la durata della pena e l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.  La sentenza oggi dispone anche la richiesta di confisca per attività, come ristoranti, concessionarie, pescherie, uno stabilimento balneare e altre aziende riconducibili alla famiglia Fasciani: fra le altre, la “Doctor Fish” e lo stabilimento balneare “Malibu Beach”.   La famiglia Fasciani – lo ricordiamo – è originaria di Capistrello, un piccolo paesino in provincia dell’Aquila – ed è  al centro di indagini della magistratura sin dagli anni Ottanta. Il processo ai boss di Ostia ha seguito diversi filoni giudiziari: la sentenza con rito abbreviato del giugno scorso aveva già sancito l’associazione mafiosa per alcuni componenti del clan. Nel provvedimento del  gup di Roma Alessandra Tudino si sottolinea l’agire mafioso del gruppo Fasciani “deve ritenersi delineata l’esistenza di una associazione di tipo mafioso facente capo a Fasciani Carmine e radicata nel territorio ostiense [..] – si legge – il metodo adottato dall’associazione appare connotato da stili comportamentali da stili comportamentali tali da conseguire, in concreto e nell’ambiente nel quale l’associazione ha operato, una effettiva capacità”. Importante contributo al processo anche dal collaboratore di giustizia, Sebastiano Cassia. In un passaggio delle sue deposizioni si legge: “Se c’hai bisogno di soldi te li presto, se non c’hai bisogno di soldi, ti costringo a vendermela, e ti dico cercati un amico […] se quello c’ha intenzione glielo vende sennò se aspetta un po’ fino a che si mette sotto strozzo. Se dà fuoco, quello che sia. Come glielo devo spiegà? Gli si fa l’estorsione”“Se vuoi campare tranquillo mi devi dare, che ne so, 500 o 1.000 euro al mese – racconta Cassia – soldi destinati alle famiglie dei detenuti, di chi gli sta vicino, dei carcerati, di chi li accompagna generalmente. Che ne so, come me, quando io mi accompagnavo a loro a me non sono mai mancati i 5/600 euro dentro la tasca”.

 

Il procuratore aggiunto di Roma, Michele Prestipino “Mafia, porte aperte e chi vuole denunciare”/L’intervista

 

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