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Le mafie “delocalizzano” gli affari in Veneto

di Pierpaolo Romani il . Veneto

Nei giorni scorsi, è stata resa pubblica, ed è consultabile su internet, la relazione finale della Commissione parlamentare antimafia della passata legislatura. Nelle 484 pagine che compongono il primo tomo, firmato dal senatore Giuseppe Pisanu, undici sono dedicate al Veneto e riportano il resoconto della missione svolta dall’organismo parlamentare nella nostra regione nell’aprile del 2012. Le considerazioni della Commissione si basano fondamentalmente su quanto emerso durante le audizioni dei prefetti e dei magistrati che operano a Padova e a Venezia, nonché su dati e vicende riportati in inchieste e documenti ufficiali. Cosa emerge da questo quadro? Innanzitutto, che in Veneto è ancora diffusa una certa sottovalutazione della presenza di gruppi criminali mafiosi e della loro pericolosità. In secondo luogo, che quello portato alla nostra regione è un attacco silente: da noi i mafiosi non sparano, ma investono. “Il Veneto – scrive Pisanu – costituisce un’area dinamica dal punto di vista imprenditoriale che consente quel mimetismo delle risorse economiche fortemente ricercato dalle organizzazioni criminali per ripulire il denaro sporco e poterne trarre nuovo profitto”.

La nostra regione si presta ad essere un magnete che attrae ricchezze illecite non soltanto perché diverse piccole-medie aziende in difficoltà economico-finanziaria, pur di non chiudere, sono disposte ad accettare dei capitali illeciti ma, secondo la Commissione antimafia, anche perché nel sistema economico-finanziario non sempre si riscontrano “garanzie di rispetto della legalità e di tenuta del sistema dei controlli”. Alcuni professionisti e operatori bancari, secondo quanto riferito ai parlamentari da uno dei più preparati magistrati della Procura di Venezia, sono più preoccupati di avere clienti piuttosto che verificare la correttezza dei bilanci e l’origine del denaro che affluisce nei nostri istituti di credito e nelle nostre imprese. Un dato deve suscitare una riflessione, senza pregiudizi o giudizi affrettati: delle 250 segnalazioni di operazioni finanziarie sospette registrate in Veneto negli ultimi sei mesi del 2012, solo una è pervenuta dalla categoria dei commercialisti e un’altra da quella dei notai. Nessuna da quella degli avvocati, degli intermediari immobiliari, delle società fiduciarie e di recupero crediti.

In Veneto le mafie, a detta della Commissione, sono interessate e operano nei settori dell’edilizia, dei rifiuti, del gioco d’azzardo, del turismo e lo fanno sia come “agenzie di servizio” sia come “imprese” sapendo di poter contare su una certa “clientela” che, o è disperata, oppure avida e decisa a fare profitto tagliando sui costi e non pagando le tasse. Queste dinamiche di delocalizzazione criminale nel Nord Est d’Italia, come la definisce Pisanu, non sarebbero possibili senza l’esercizio della corruzione, l’omertà, e la complicità di insospettabili colletti bianchi o uomini cerniera, anche autoctoni. È questo il punto che dobbiamo capire ed è su questo versante che dobbiamo intervenire.

Nonostante la carenza di organici e di mezzi denunciata ufficialmente alla Commissione antimafia, negli ultimi anni i magistrati e le forze dell’ordine operanti in Veneto hanno svolto un’opera di contrasto particolarmente efficace. La repressione è necessaria, ma non basta. Bisogna denunciare: chi sa parli. Il controllo sociale è fondamentale nella lotta alle mafie e all’illegalità, così come un cambio di mentalità. Va contrastata con tutte le forze l’idea che l’importante sia fare affari senza preoccuparsi di capire con quali soldi e con quali partner. Serve maggiore attenzione e di responsabilità da parte di tutti, più formazione e più conoscenza sulla natura e sui pericoli delle mafie tanto nelle scuole quanto nelle imprese, negli enti locali, nel mondo finanziario e sul territorio.

[Pierpaolo Romani per il Corriere del Veneto]

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