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Tracce di ecomafie nel Lazio

di Antonio Iafano il . Lazio

L’approfondimento// – Mafie nel Lazio, traffico di rifiuti e illegalità: cosa è accaduto negli ultimi vent’anni? Lo raccontano le inchieste giudiziarie e i verbali dei vecchi e nuovi collaboratori di giustizia. Cominciamo dal  23 ottobre 1997 . Luigi De Fichy, all’epoca Sostituto Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, quel giorno venne sentito in audizione presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e fu uno dei primi rappresentanti istituzionali a lanciare l’allarme sulle attività della criminalità organizzata di tipo mafioso nel basso Lazio. In particolare specificò che secondo alcune indagini in corso alcuni gruppi criminali avrebbero un controllo del territorio nelle zone di Cassino, Latina, Formia, Pomezia, Anzio, Nettuno e Ardea tale da consentire l’abbandono dei rifiuti in aperta campagna. Secondo le sue dichiarazioni la presenza delle mafie nel basso Lazio si può far risalire già dalla fine degli anni ’70. Dopo queste parole il presidente della commissione, Massimo Scalia, decise di spegnere gli impianti audiovisivi e secretare l’audizione per gli approfondimenti del caso. Nella stessa seduta Angelo Bonelli, all’epoca Presidente della commissione criminalità della Regione Lazio, parlò di alcune comunicazioni che erano giunte alla commissione che presiedeva da cittadini e dai loro comitati. Le comunicazioni riguardavano, in particolare, siti e discariche localizzati lungo la tratta dell’alta velocità Roma-Napoli. Bonelli raccontò un evento accaduto nel 1996 in cui due vigili notturni furono testimoni di un interramento di bidoni e di sversamento di liquido presumibilmente tossico lungo la strada provinciale n. 11, angolo via Tomacelli, nel comune di Patrica. L’operazione avvenne a notte inoltrata, vi era un escavatore e il cantiere era coperto da teloni e tralicci. I vigili annotarono i numeri di targa dei camion provenienti dalla Gran Bretagna e dalla Croazia e comunicarono verbalmente l’accaduto alla Questura di Frosinone. Bidoni dello stesso tipo furono ritrovati in zone limitrofe al cantiere Tav. Nella stessa seduta l’ex Assessore all’ambiente della Regione Lazio aggiunse: “…sembra esservi un certo legame fra le ditte dei sub-appalti per la costruzioni di cantieri per l’alta velocità e l’attività di smaltimento abusivo « mordi e fuggi »…”.

Il giorno dopo la commissione si recò in missione a Frosinone per verificare il funzionamento dell’impianto di Colfelice amministrato dall’impresa pubblica S.a.f.. L’ex Prefetto di Frosinone Marino, riferendosi ad uno studio svolto da Legambiente, spiegò che in sede di comitato provinciale per l’ordine e per la sicurezza pubblica fecero degli accertamenti e rilevarono che una società di Cassino, la RETIMA, risultava coinvolta in un’azione di smaltimento abusivo presso le discariche del casertano gestite da società di cui facevano parte soggetti plurinquisiti, risultati affiliati al clan camorristico dei Casalesi. L’ex Prefetto fece riferimento anche a un’indagine della Guardia di finanzia di Pavia e di Frosinone dal quale si evinse che vi era uno sito non autorizzato di stoccaggio di rifiuti tossico-nocivi ubicato nel comune di Ceprano e di alcuni rinvenimenti di rifiuti pericolosi nei comuni di Pontecorvo (vicino la linea Tav) e Arpino. In seguito si scoprì che i rifiuti provenivano da aziende del Nord.

Nella stessa audizione, intervenne anche l’ex questore Antonio Mastrocinque. Quest’ultimo spiegò che erano in corso accertamenti nei riguardi di alcuni nominativi legati all’impresa Consortium. Questi nominativi erano già stati oggetto di altre investigazioni condotte dalla Criminalpol di Roma. Aggiunse l’ex questore: “….sicuramente, ci sono passaggi, contatti e presenze di elementi della malavita organizzata, soprattutto provenienti dal casertano (segnatamente, dal clan dei Casalesi), che hanno instaurato rapporti con le aziende locali: sono state costituite aziende poi subito sciolte o che comunque hanno cessato di vivere. Molte di queste vicende sono descritte in un rapporto che, se non sbaglio nel dicembre scorso, è stato predisposto dalla Criminalpol di Roma, con riferimento a tutta la zona di competenza della DDA di Napoli, trattandosi di episodi che riguardano soprattutto il casertano….”. Il presidente Scalia pregò il dott. Mastrocinque di verificare l’operato di un’azienda tuttora attiva nel cassinate e in altri comuni del Lazio e della Campania in modo da avere una situazione chiara e trasparente della stessa; la stessa azienda di cui il titolare è stato raggiunto da più ordinanze di custodia cautelare per alcuni indagini riguardanti appalti pubblici presso più comuni della provincia di Latina. Lo stesso giorno la commissione conferì con un ispettore della squadra mobile di Frosinone. Quest’ultimo accennò ad una nota indagine della Criminalpol in cui si evidenziava un’attività di raccolta e smistamento di rifiuti gestita da un “sedicente avvocato di Parete” descritto da diversi collaboratori di giustizia come “referente di alcuni clan della zona”. Dopo questa dichiarazione il presidente decise di segretare anche l’audizione dell’ispettore.

Alla luce delle recenti indagini antimafia non è difficile supporre – secondo gli investigatori – che l’avvocato di cui si parlava nel 1997 potesse essere Cipriano Chianese, raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare nel 2005 per concorso esterno in associazione di stampo mafioso per i suoi legami con il clan dei Casalesi. Il percorso imprenditoriale dell’avvocato – raccontano le inchieste – ebbe inizio nella metà degli anni ‘80 quando costruì a Giugliano le discariche della sua società, la Setri, che poi si “evolverà” in Resit. In queste discariche, secondo gli inquirenti, sarebbero stati seppelliti per quasi venti anni le scorie tossiche di moltissime imprese settentrionali. Sono stati accertati i legami con Licio Gelli (fondatore e gran maestro della loggia più famosa d’Italia… la P2) e il coinvolgimento in una delle prime indagini sull’ecomafie denominata Adelphi. Non sarebbero mancati – secondo i magistrati – nemmeno i legami con uomini delle istituzioni come il Sisde (ora sostituito con l’Aisi) e nel 1994 si candidò con Forza Italia per la Camera dei deputati. Il collaboratore di giustizia Gaetano Vassallo, ha dichiarato che fu Chianese a spiegare ai capoclan Francesco Bidognetti e Francesco Schiavone che le discariche potevano diventare una vera ricchezza: Ecologia 89, l’Ecotrasp, la Cicagel, la Novambiente ecc. tutte imprese riconducibili a lui e al clan dei casalesi. Le sue imprese hanno lavorato anche per il commissariato per l’emergenza rifiuti. Nel 2010 è stato raggiunto da un’ulteriore ordinanza di custodia cautelare per una presunta estorsione nei confronti del commissariato di governo per l’emergenza rifiuti in Campania: secondo la procura Chianese attuava “una pluralità di comportamenti intimidatori per esigere pagamenti non dovuti”. Infine il 6 aprile la Dia ha effettuato un sequestro di beni stimabili in circa 13 milioni di euro riconducibili a Cipriano Chianese e ad un padovano che si era prestato al ruolo di prestanome.

In tempi più recenti, la commissione parlamentare ha ascoltato l’attuale Procuratore della Repubblica di Cassino. Questo ha posto l’attenzione della commissione sul procedimento n. 3355/08 in cui al momento vi è il dibattimento in corso. Il procedimento riguarda il sequestro di diverse aeree e di diversi autocarri e mezzi presso le note cave di Coreno Ausonia, un piccolo comune della provincia di Frosinone al confine con quella di Latina. Il Corpo Forestale e la Procura accertarono che nelle cave in questione venivano scaricati rifiuti soldi urbani e rifiuti speciali che provenivano dal napoletano. Inizialmente emersero implicazioni anche per alcuni sindaci napoletani. Secondo la Procura non  ci furono  dei collegamenti diretti con la criminalità organizzata ma  in quegli stessi territori in passato vi era un gruppo di persone che operavano sul territorio per conto del clan dei Casalesi e le cave in questione erano state in passato oggetto di richieste estorsive.

Processo “anni 90”; Il verbale di Carmine Schiavone

Era il 13 marzo del 1996 quando Carmine Schiavone, collaboratore di giustizia nonché cugino di “Sandokan”, verbalizzò quanto segue al colonnello Tomasone, l’allora comandante provinciale dei carabinieri di Latina: “il clan dei casalesi da moltissimi anni ha avviato nella provincia di Latina un’opera di infiltrazione e di investimento degli introiti illeciti. Non era solo il mio gruppo ad avere interessi in terra pontina perché parlando con i capi zona nostri avevo notizia della presenza di esponenti di tutte le mafie nazionali che fungevano da referenti locali dei gruppi da cui provenivano”. Nel basso Lazio la camorra casalese aveva come referente Antonio Salzillo, nipote del boss Antonio Bardellino. In quegli anni Salzillo era legato all’ala Schiavone in contrasto con i Bidognetti. Il verbale di Schiavone è molto dettagliato: “….mi diceva Antonio Salzillo che lui operava con la discarica ufficiale di Borgo Montello …. da tale struttura lui prendeva una percentuale sui rifiuti smaltiti lecitamente e in tale struttura lui faceva occultare bidoni di rifiuti tossici o nocivi per ognuno dei quali lui mi diceva che prendeva 500mila lire. Il Salzillo mi diceva pure che smaltiva rifiuti tossici pure sul lungomare di Latina in delle buche dalle quali era stata estratta sabbia o in luoghi adibiti ad allevamento di animali. Non mi diceva quale sistema usava per falsificare la documentazione dei rifiuti o come riuscivano gli imprenditori del settore a dimostrare l’avvenuto smaltimento…”. Nelle decine di pagine del verbale c’è anche altro: i nomi e i cognomi degli affiliati, imprese e gli affari del clan nel Lazio. Salzillo poteva gestire un gruppo di 30 “soldati” pagati 3 milioni al mese – si legge.  Antonio Salzillo è stato, per conto del clan, il referente nel Lazio sino a quando alla fine degli anni ’80 la famiglia Bardellino non fu cacciata e costretta ad emigrare a Formia. Rientrò nel casertano molti anni dopo, avrebbe potuto confermare le dichiarazioni di Schiavone nel processo “Anni 90” del Tribunale di Latina ma fu ammazzato nel marzo 2009 in un agguato insieme a Clemente Prisco, nipote di Raffaele Cutolo.

A pochissimi chilometri della discarica di Borgo Montello fu confiscata un’impresa ai casalesi e proprio il giorno della consegna del terreno ad una cooperativa sociale furono rinvenuti diversi sacchi con residui di ferro delle vecchie monete. Fu sempre Schiavone a riferire che per mezzo di alcune imprese edili di movimento terra il clan riuscì ad inserirsi negli appalti della costruzione della terza corsia dell’autostrada A1. Riuscirono a percepire il 10 per cento sui profitti delle altre imprese. Proprio in questo contesto emersero negli anni ’90 le minacce nei cantieri, attentati ai mezzi di lavoro e richieste estorsive nei confronti di imprese che in regime di appalto lavoravano all’allargamento dell’A1 nel cassinate. Sedici imprese si aggiudicarono i lavori, ma altre 138 lavorarono in regime di sub-appalto. Nel 1989, all’inizio della costruzione del terzo tronco Cassino-Caianello, saltò in aria laCo.Cem.Bit di San Vittore, azienda che  – secondo gli inquirenti – forniva il calcestruzzo alle imprese edili, successivamente estromessa dai lavori. Prima ancora, inoltre, ci fu la gambizzazione del delegato CGIL Michele Russo che aveva denunciato, l’impresa presso cui lavorava, di non rispettare le norme anti-infortunio. Per questo crimine oltre 10 ani dopo verrà condannato Augusto La Torre.

Il territorio compreso fra Garigliano e Terracina, invece, “era affidato” a Gennaro De Angelis che, oltre ad essere tutt’ora rivenditore di autoveicoli, svolgeva la funzione di capo-zona: “rappresentava per noi il punto di riferimento per le attività di penetrazione ed investimento…e si preoccupava di allacciare i contatti politici necessari a conoscere in anticipo le decisioni che sarebbero state prese in materia di urbanizzazione e di edificazione …”. Stando alle dichiarazioni di Schiavone, il clan corrispondeva 50-60 milioni di lire al mese per pagare i “soldati”. In ultimo su Fondi: “Di Fondi conosco personalmente da svariati anni i fratelli Venazio e Carmelo Tripodo .Conoscevo anche il loro genitore Domenico Tripodo, detto Mico.Quest’ultimo era un personaggio di spicco della ‘ndrangheta calabrese…entrambi i Tripodo si sono interessati di stupefacenti e non hanno mai interrotto i legami con la terra di origine…il mio gruppo ha ceduto al Carmelo Tripodo dai 15 ai 30 Kg. al mese di cocaina, dall’anno 81- 82 al 1992…trattava non solo cocaina ma anche eroina grazie ad appoggi a Torino e in Calabria”.

 

La storia di Michele e della BIL1
Negli uffici del comando provinciale dei Carabinieri di Latina, il 13 marzo 1996 Carmine Schiavone non risparmiò commenti precisi sulla zona di Cassino: “Il Chianese è persona ben introdotta negli ambienti imprenditoriali, politici e giurisdizionali. So per certo che è un massone. Per conto nostro, si stava occupando dell’apertura di una banca a Cassino, insieme all’avv. Tibaldi di Sessa Aurunca. In tale banca sarebbero dovuti affluire capitali introitati dal clan. Quando ero cassiere movimentavo circa 2 miliardi e 500 milioni al mese”.Pagati gli stipendi ai “soldati” e soddisfatte le esigenze di tutti i gruppi, restavano comunque dai 300 ai 500 milioni al mese che bisognava investire in qualche modo”. Con “Il Chianese” Schiavone si riferiva al noto avvocato e imprenditore dei rifiuti Cipriano Chianese. Non risultano approfondimenti investigavi su queste dichiarazioni, ma due anni prima si tentò di aprire una banca in Via San Marco a Cassino.

Il 23 maggio 1994 era tutto pronto, sarebbe stata inaugurata la Banca Industriale del Lazio alla presenza delle autorità locali e provinciali. Ma due giorni prima, mentre a Piazza Labriola il Capo dello Stato commemorava l’anniversario della distruzione di Cassino, il Gico di Roma e la Criminalpol sequestrarono i documenti e i bilanci della banca. La Direzione Distrettuale Antimafia di Roma dispose il sequestro del capitale sociale composto da venticinque miliardi di vecchie lire. La banca contava settecentotrentotto soci e numerosi finanziatori influenti tra cui Cipriano Chianese che possedeva cinquemila azioni per seicento milioni di lire; la stessa cifra la possedevano la sorella, la moglie e le finanziarie Finvest, Coin Leasing e Fides. La Procura antimafia emise 6 avvisi di garanzia ipotizzando l’associazione a delinquere di stampo mafioso e riciclaggio. L’intero procedimento partì da Michele D’Alessio, vittima di usura. D’Alessio aveva un supermercato di 480 metri quadri. Era affiliato alla nota catena Crai, una piccola azienda con pochi dipendenti. Un giorno ricevette la richiesta di fallimento a seguito ad uno scoperto di soli 300 mila lire. L’11 aprile 1990 il Tribunale dichiarò il fallimento, solo successivamente prima in camera di consiglio e poi nel secondo grado di giudizio fu revocata la sentenza. Nel frattempo, nei due anni che intercorsero per la revoca del fallimento, Michele si trovò in gravi difficoltà economiche e fu costretto a farsi prestare 27 milioni di euro da un usuraio con la garanzia del figlio che firmò un assegno in bianco. Il debito salì velocemente a 186 milioni e dopo che l’aguzzino gli chiese la licenza del negozio andò a denunciare tutto alle forze dell’ordine. Il 27 aprile 1994 la pretura emise alcune condanne che riguardarono le persone coinvolte nell’inchiesta. Le forze dell’ordine, grazie alle intercettazioni e pedinamenti arrivarono ad un gruppo criminale di Formia e al clan Schiavone di Casal di Principe. Dopo un po’ di tempo la Dda di Roma derubricò l’ipotesi di reato 416 bis, in reati comuni e passò il fascicolo alle procure competenti per territorio:  in sostanza, nulla di fatto. La Banca D’Italia revocò l’autorizzazione della Bil e Michele D’Alessio rimase da solo. Michele aveva toccato persone così in alto che gli fu quasi impossibile trovare un nuovo impiego lavorativo. Fu costretto a ricontattare il suo aguzzino per riavere il denaro non dovuto, ma questo rimborsò solo 200 mila lire a fronte di un debito milionario. Ma Michele D’Alessio non si scoraggiò, dopo qualche tempo fondò l’associazione “S.o.s. Antisura”. Per anni ha assistito decine e decine di vittime, non solo del cassinate ma anche del casertano. Ha permesso l’accesso al credito per milioni di euro a vittime in difficoltà. E’ passato da usurato a combattente, ma dopo anni di attività questo è il suo ultimo comunicato stampa: “Se dalla Regione Lazio non arrivano i fondi, i processi che vedono in aula vittime dell’usura e presunti strozzini rischiano di saltare” – ha spiegato in questi anni.

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