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Mafia in Lombardia: 8 arresti, tra loro anche parenti di Vittorio Mangano lo “stalliere” di Arcore

di redazione il . Lombardia

 La Direzione distrettuale antimafia di Milano ha colpito un’organizzazione criminale di stampo mafioso attiva in Lombardia. Otto gli arresti, tra cui ci sono anche il genero e la figlia di Vittorio Mangano, l’ex stalliere di Arcore condannato per omicidio e considerato collegato alla mafia siciliana. Al centro dell’operazione la cosca ritenuta emanazione diretta di «cosa nostra» siciliana che gestiva una rete di società cooperative attive nella logistica e nei servizi. Mediante false fatturazioni e sfruttamento di manodopera, questo sistema portava a realizzare profitti «in nero» almeno dal 2007. Parte di questi guadagni è stata poi utilizzata per sostenere, dal punto di vista logistico ed economico, importanti esponenti di «cosa nostra» detenuti o latitanti; altro denaro è stato invece investito in nuove attività imprenditoriali, infiltrando ulteriormente l’economia lombarda.

L’inchiesta.  «L’associazione contestata corrisponde alla mafia imprenditoriale – dicono i magistrati della Dda nel dispositivo che ha portato all’emissione dei provvedimenti di custodia cautelare – cioè a un’associazione che si avvale della forza dalla storia e dalla fama della realtà criminale a cui appartiene (…) non per realizzare in via esclusiva evidenti azioni illegali bensì per entrare nel tessuto economico della zona d’appartenenza e trarne un beneficio economico». Inoltre, sarebbero stati in molti gli imprenditori sottoposti a estorsione e intimidiazione. L’attività veniva gestita anche grazie ad un “patto”, una sorta di alleanza «strategica» fra mafia calabrese e siciliana per «perseguire comuni interessi economici». In particolare, l’appoggio arrivava dalla cosca Morabito.

 Mangano “eredità criminale”. Mangano è l”uomo che Marcello Dell’Utri definì  “un eroe” e che Borsellino pensava fosse una sorta di ‘chiave’ del riciclaggio di denaro sporco in Lombardia. Mangano è deceduto nel luglio del 2000, gli investigatori lo ritenevano al vertice del mandamento mafioso di ‘Porta Nuova’. Vittorio Mangano, al vertice del mandamento di Pagliarelli, è deceduto agli arresti domiciliari nel luglio del 2000. Tra il 1999 ed il 2000 avrà ben quattro condanne dai giudici di Palermo: una all’ergastolo per duplice omicidio, altre due per mafia ed estorsione ed ancora una per traffico di droga. Ma facciamo un passo indietro:  Mangano entra come un ciclone nelle cronache giudiziarie quando si scopre che l’esponente di Cosa Nostra lavora come  “stalliere” (in realtà è un amministratore) nella villa di Arcore (Milano), assunto da Silvio Berlusconi cui l’ha presentato Marcello Dell’Utri. Cinzia Mangano, sua figlia, e il genero, Enrico Di Grusa, secondo le risultanze della Dda avrebbero «raccolto la sua eredità criminale» aiutati da Giuseppe Porto, uomo di fiducia a Milano. Vittorio Mangano era già stato tre volte in carcere, nel ’67 era stato diffidato come «persona pericolosa», poi era finito sotto inchiesta per reati che vanno dalla ricettazione alla tentata estorsione e nel ’72 era stato fermato in auto con un mafioso trafficante di droga. A Marcello Dell’Utri, secondo le risultanze processuali, l’aveva raccomandato Gaetano Cinà, imparentato per tramite della moglie con due boss allora seduti nella ‘cupolà di Cosa nostra, Bontade e Teresi. La Digos di Milano scrive in un rapporto del 1984 che Mangano restò ad Arcore due anni, durante i quali fu arrestato altre due volte per scontare condanne per truffa, possesso di un coltello e ricettazione. L’allora imprenditore e futuro presidente del consiglio, lasciava affidata a lui la sicurezza della villa e dei suoi figli piccoli, che Mangano accompagnava personalmente a scuola. Mangano lasciò Arcore nel 1976, ma continuò a gravitare su Milano, dove curava un traffico di droga per conto della mafia per il quale verrà arrestato nel 1980 e condannato.

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