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Il coraggio di Cettina Saita

di Gaetano Liardo il . Progetti e iniziative, Sicilia, Toscana

Firenze,  15 marzo, Palazzo Vecchio. E’ la giornata in cui i familiari delle vittime innocenti delle mafie si incontrano, si raccontano. Tra gli affreschi che abbelliscono la sala, sede del Parlamento italiano quando il capoluogo toscano fu capitale, si incrociano storie, testimonianze di memoria e impegno. Come quella di Cettina Saita, moglie di Saverio Liardo, ucciso il 18 ottobre del 1994. «Ha pagato con la vita i valori in cui credeva», racconta così la signora Saita la storia del marito. Saverio era un imprenditore, titolare di un distributore di benzina lungo la strada che da Niscemi porta a Vittoria, nel ragusano. Due comuni, questi, che con Gela fanno parte del triangolo della morte. Qui, tra la fin degli anni ’80 e i primi anni ’90 si è combattuta una violenta faida tra Cosa nostra e la Stidda. Per finanziare lo scontro le due organizzazioni mafiose impongono il proprio dominio con l’imposizione scientifica del racket delle estorsioni.

I boss battono cassa. Commercianti e imprenditori pagano tutti, o quasi. Tra quelli che scelgono di mantenere la schiena dritta c’è Saverio Liardo. Decide di non pagare e di cacciare gli estorsori delle cosche. Ha moglie e due figli, Francesco e Ignazio. Lo uccidono la sera del 18 ottobre mentre sta per chiudere il distributore di benzina. Un’esecuzione in piena regola che per i boss vuole essere un messaggio chiaro per chi volesse seguire l’esempio di Saverio.  Omicidio di mafia che viene fatto passare per una storia passionale. A svelare come sono andati veramente i fatti ci penserà un pentito, che si autoaccusa. E’ il 2009, dopo 15 anni giustizia sembra essere fatta.

«Dopo 19 anni – si sfoga la signora Saita non nascondendo il suo sconforto – nulla  è cambiato. Siamo stati ingiustamente puniti una seconda volta. Dopo la sentenza, divenuta definitiva, non si è sbloccato nulla. Ho bisogno di aiuto e di dare un senso di giustizia ai miei figli». Lentezze e problemi burocratici impediscono ai familiari di Saverio Liardo di ottenere i benefici di legge, lasciando la signora Saita nell’attesa estenuante di una decisione che possa fare giustizia a chi ha subito un torto enorme. «Proviamo rabbia, tanta rabbia», è tutto quello che, con grande dignità riesce a dire la signora Saita. Poi si asciuga una lacrima e torna a sentire le storie di quei tanti che, come lei hanno perso un marito, un figlio, un fratello. Uccisi perché hanno saputo dire di no alla violenza dei boss.

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