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Strage del Rapido 904, indagato Totò Riina

Di Gaetano Liardo il . Sicilia

Un’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata recapitata ieri dai carabinieri del Ros al boss corleonese Totò Riina. L’accusa, rivolta dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, è quella di essere stato il mandante della strage del Rapido 904. L’esplosione di un ordigno particolarmente potente nella nona carrozza del treno Napoli-Milano il 23 dicembre 1984. Ci furono 16 morti e 267 feriti. Un attentato feroce che scosse l’opinione pubblica italiana. Le indagini partirono subito ma, come è sempre accaduto in questi casi, sono state particolarmente difficili. La procura di Firenze ordinò l’arresto del boss Pippo Calò, il cassiere di Cosa nostra, uomo di riferimento per i corleonesi nella Capitale. Nel 1989 arrivò la sentenza della Corte di Assise di Appello di Firenze che condannava all’ergastolo proprio Pippo Calò quale mandante della strage. Furono coinvolti, inoltre, il boss Giuseppe Cercola, e Giuseppe Missa, uomo della camorra del rione Sanità di Napoli.

Seguendo il filone dell’esplosivo usato nell’attentato, e dei rapporti tra camorra e Cosa nostra, l’allora procuratore di Firenze Pier Luigi Vigna riuscì ad arrivare, tramite Misso, a Massimo Abbatangelo, all’epoca parlamentare dell’Msi. Abbatangelo fu condannato nel febbraio del 1994 dalla Corte d’Assise di Appello di Firenze a 6 anni di reclusione per aver fornito l’esplosivo a Misso, ma fu assolto dal reato di strage. Nel 1991 la prima sezione della Corte di Cassazione presieduta dal giudice Corrado Carnevale, annullò la condanna nei confronti di Calò, Cercola e Misso. Tuttavia, una nuova sentenza della Suprema corte il 22 novembre 1992 ribaltò il verdetto di Carnevale. Condanne confermate. Ieri, con l’accusa dei pm napoletani rivolta a Totò Riina, è stato aggiunto un nuovo importante tassello. La scelta di Cosa nostra di fare un attentato eclatante sarebbe stata la risposta agli arresti ordinati nel settembre del 1984 dai giudici Giovanni Falcone e Polo Borsellino.

Arresti “pesanti” resi possibili grazie anche alla collaborazione di Tommaso Buscetta, e che saranno al centro del maxiprocesso. Una risposta stragista all’azione dei giudici palermitani. La Dda partenopea, inoltre, aggiunge altri elementi interessanti. Prima di tutto il tentativo di Cosa nostra di far passare la strage come un attentato politico, ripescando nel buio degli anni di piombo. Così facendo si sperava che l’attenzione degli inquirenti si fosse concentrata sui gruppi politici eversivi. Il secondo elemento di notevole importanza è quello dell’esplosivo. Ricordiamo che proprio seguendo le tracce dell’esplosivo è stato condannato Giuseppe Misso, l’ex deputato missino Massimo Abbatangelo e Frederich Shaudinn. Quest’ultimo, condannato a 22 anni di carcere, è stato l’ideatore dell’ingegno radiocomandato che ha innescato l’esplosivo.

Lo stesso che, anni dopo, Cosa nostra utilizzerà per la strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992. Lo stesso tipo di esplosivo, inoltre, utilizzato negli attentati che caratterizzarono gli anni della stagione delle bombe del ’92 – ’93. Si tratta del SemtexH, esplosivo al plastico brevettato nella Repubblica Popolare di Cecoslovacchia sul finire degli anni ’60. Particolarmente “apprezzato” perchè facilmente plasmabile e impermeabile. Il SemtexH ha, tra i vari componenti, l’RDX, un composto esplosivo le cui tracce si trovano in molti degli attentati mai chiariti della storia della Repubblica. Un contesto sicuramente più ampio e che vede una pluralità di attori. Non solo Cosa nostra, quindi, con l’appoggio della camorra napoletana.

Ci sono stati altri attori che hanno “aiutato” i corleonesi? Si tratta degli stessi protagonisti della stagione criminale che ha segnato la fine della Prima Repubblica?

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