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Cpa di Cagliari, 3 rivolte in 11 giorni

Di Marzia Pitirra il . Sardegna

Tre rivolte di migranti in undici giorni, questo il bollettino del Centro di Prima Accoglienza di Elmas, Cagliari. Negli antecedenti episodi, il primo ed il sei di ottobre, le proteste erano passate in sordina, ma l’ 11 ottobre scorso gli immigrati “ospiti” del centro hanno pensato a tutto. Dopo aver appiccato incendi e iniziato simultaneamente a distruggere i mobili e i sanitari dello stabile sono passati all’occupazione del CPA.
Alcuni hanno tentato la fuga dirigendosi verso le piste del vicino aeroporto Mario Mameli di Elmas, il principale del capoluogo sardo. Il pericolo che gli uomini in fuga venissero investiti da un aereo o che si insinuassero tra i carrelli dei velivoli in partenza per tentare una estrema fuga ha fatto si che l’aeroporto venisse temporaneamente chiuso, tutti i voli venissero cancellati fino al nuovo ordine e rimanesse a terra un esercito di passeggeri adirati. In due ore i fuggiaschi sono stati recuperati e l’emergenza è rientrata.

A questo punto, con il blocco dell’aeroporto di Elmas,  la terza protesta del Centro di Prima Accoglienza di Cagliari ha meritato l’attenzione dei media.

“ Con l’ultimo sbarco erano arrivati dei soggetti un po’ troppo agitati, credo siano stati loro a dar vita alle proteste – cosi ha commentato Carlo Tedde, presidente del Consorzio Solidarietà, che ha gestito il CPA fino al 30 settembre, lasciando poi la gestione al consorzio palermitano SISIFO – noi abbiamo sempre cercato di restituire dignità ai clandestini, con un servizio di mediatori culturali, psicologi, volontari, ma il centro è molto piccolo, gli spazi esigui ed era difficile avere libertà di azione. Inoltre quando si è detenuti per molto tempo è inevitabile che nascano tensioni tra immigrati con i gestori e con le forze dell’ordine, ma anche fra di loro”.

La storia si ripete, sempre uguale. reclusione forzata, disperazione, malessere, e i “clandestini” nei vari centri  Italiani si ribellano. Rimarrà nella storia il tragico episodio di Trapani, con sei migranti morti nel 1999, ai quali si uniscono nel 2009 i 70 feriti tra forze dell’ordine e reclusi a al CIE di Lampedusa, più i numerosi focolai degli altri centri. Risale al 5 ottobre scorso la dichiarazione del prefetto di Roma Pecoraro che giudicava poco rispettoso per la dignità umana il CIE di Ponte Galeria. Alcuni di questi episodi hanno avuto risalto in prima pagina, con immagini e testimonianze sulla situazione, mentre altri contesti non riescono ad avere lo stesso risalto. Ad esempio il CPA di Cagliari si trova in zona militare, dove l’accesso agli esterni è rigidamente controllato, così sapere cosa sia successo con precisione l’ 11 ottobre rimane estremamente difficile.

Le poche informazioni sulla vicenda le acquisiamo attraverso i media, ed il messaggio più immediato è stato quello di immigrati che hanno invaso l’aeroporto, bloccato i voli e creato caos tra i viaggiatori in partenza e in arrivo a Elmas.  In pochi avranno cercato di analizzare le cause e solo qualche mosca bianca avrà guardato questi fuggitivi disperati come uomini che alla terza rivolta in 10 giorni sono finiti proprio sulle piste, riuscendo ad attirare almeno in questo caso un minimo di attenzione (per lo più negativa) dai media nazionali.
Il coordinatore di Libera Sardegna, Giampiero Farru, dà una sua interpretazione della vicenda “non voglio trovare cause nel cambio di gestione avvenuto proprio nelle ultime settimane, in questo caso i problemi sono altri e la mala gestione potrebbe avere un ruolo marginale. In primo luogo – continua Farru – la struttura è peggio di una prigione, con sbarre, ringhiere alte 3 metri, telecamere di sorveglianza. Dispone di spazi irrisori e anche l’ora d’aria, concessa ai detenuti nelle galere normali, qui è quasi impraticabile. In più sono da mettere sotto accusa le procedure a cui deve sottostare l’immigrato. Arrivano sperduti, senza mezzi e senza nessuna consapevolezza dei loro diritti. Rimangono rinchiusi in questi centri anche sei mesi senza sapere bene quale reato abbiano commesso e aumentando giorno dopo giorno la loro esasperazione. Col tempo capiscono che il loro destino è essere rimpatriati e vivono gli ultimi mesi nell’attesa dell’inevitabile. È quando non hanno più nulla da perdere che arrivano ad atti estremi, autolesionismo, tentativi di fuga, sommosse e nel peggiore dei casi suicidio”.

Tanti, troppi i tentativi di suicidio, troppo il disagio nel quale versano questi uomini dimenticati, dei quali ci ricordiamo solo nelle circostanze più estreme. Una non vita, quella del clandestino, fuggito da un contesto di guerra e dolore con la speranza di ridisegnare il proprio futuro nel nostro paese e catapultato nuovamente in una realtà di solitudine  e abbandono quale è quella dei Centri di Accoglienza, di Identificazione, di Espulsione.

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