Dietro quella pace
C’è un indubbio merito di Donald Trump nella tregua conseguita dopo due anni di massacri nella Striscia di Gaza.
Forse il risultato è stato ottenuto puntando la pistola alla tempia di Hamas da una parte e di Nethanyau dall’altra e questo significa che non è una pace ma un compromesso forzato, un ricatto, ma l’importante è che vengano risparmiate vite umane, distruzioni, lutti, sofferenze.
I punti che garantiscono l’accordo non sono sicuramente solo quelli noti ma bisogna considerare le promesse di immunità che Trump ha fatto al premier israeliano e altre concessioni coperte verso i terroristi di Hamas, ma l’importante è che ora si smetta di uccidere.
Che a tanto si sia arrivato grazie all’operosità dell’amministrazione Usa è sotto gli occhi di tutti, ma siamo convinti che le mobilitazioni in tutto il mondo e quella sala dell’Assemblea generale dell’Onu svuotatasi prima dell’intervento di Nethanyau hanno avuto un peso decisivo.
Perché non è vero che il pensiero dell’opinione pubblica e lo sdegno della gente normale non abbiano un loro peso specifico. E per dirla tutta, se io fossi tra i saggi che decidono l’assegnazione del Nobel della pace, non esiterei a conferirlo collettivamente ai giovani che in tutto il mondo hanno chiesto la pace.
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