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La solennità. Al tempo di selfie e social, il rispetto delle forme restituisce civiltà

Nando dalla Chiesa il . Cultura, Diritti, Giovani, Istituzioni, Società

Mi guardo intorno e in fede mia vi dico che abbiamo bisogno di una iniezione di solennità.

La storia della cultura d’altronde va a cicli. Quelli in cui ciò che è solenne ci appare retorico, ipocrita, mascheramento di vergogne civili, come sotto le dittature o i regimi autoritari. E quelli in cui detestiamo invece la sciatteria, il turpiloquio che asciuga il dizionario, l’indifferenza al bisogno di senso.

Ebbene, ho scoperto di vivere in uno di questi cicli. Ho assistito alle cerimonie che hanno portato all’elezione del nuovo papa, il conclave, la fumata bianca, la parata di porporati.

E ho sentito la forza che i riti solenni sanno esercitare verso chi osserva, quali che ne siano le opinioni e le credenze. Come se assistendovi salisse negli spettatori qualcosa che rimuove la stessa massa informe di cui essi sono parte, con i propri cellulari sbracatamente protesi in ogni direzione.

È la rivincita della storia sul transeunte, delle forme elaborate sulle confusioni chiassose.

Ci ho pensato, di nuovo, vedendo giovedì scorso le cerimonie che hanno accompagnato la festa dell’Arma dei Carabinieri.

Le geometrie ordinate, le musiche che cadenzano arrivi e partenze sulla pista, le bandiere e i gonfaloni che procedono in file inappuntabili, quelle di Milano e Sesto San Giovanni “medaglie d’oro al valor militare”, la lettura degli encomi, si accompagnavano agli entusiasmi delle scolaresche, per le quali quegli incastri di colori e persone costituivano, di per sé, un fatto degno di ammirazione.

Lo stesso pubblico adulto, pur abituato nella quotidianità agli strombazzamenti e alle ciarle, esprimeva verso quella inedita cornice e verso i suoi protagonisti sentimenti di naturale rispetto.

Insomma, guardo e capisco che il prestigio delle istituzioni deve molto a questi riti e forme. È ben vero che se essi tradiscono menzogna e vuoto morale, allora ci appaiono (giustamente) solo odiosi meccanismi di propaganda del potere. Ma diverso è il caso delle democrazie.

Prendiamo ad esempio, oltre al mondo religioso e militare, quello accademico.

Se un’università è seria nei contenuti e nei comportamenti lo sarà ancor di più se le cerimonie di laurea saranno fatte vivere agli studenti e ai loro familiari con la necessaria solennità: le toghe sulle spalle, commissari che non ridacchiano, abbigliamenti poco balneari.

Certo, anche così la solennità potrebbe essere mandata a picco se una tesi copiata venisse fatta passare senza vergogna.

Ma io credo che laddove si sente il dovere di apparire seri si finisce un po’ anche per esserlo. Ho visto studenti “disinibiti” cambiare registro e atteggiamento appena messi di fronte al rigore formale.

Quale rispetto potrà mai ispirare e suscitare nelle famiglie dei laureandi un gruppo docente che passi il suo tempo a digitare il cellulare?

È così anche con i più piccoli. Feci in famiglia un esperimento sociale, se così posso dire, lo scorso anno, durante le Olimpiadi di Tokyo.

Vedendo l’entusiasmo dei nipotini, mi venne in mente di indire delle Olimpiadi domestiche in campagna solo per loro. Facendo ad alta voce le telecronache delle loro gesta come le sentivano fare in tivù (“Gentili telespettatori…”). Quel tono televisivo li faceva sentire più importanti, li spronava a impegnarsi, fosse calcio o salto in lungo, bocce o tiro con l’arco.

Come li fece sentire importanti la premiazione finale, loro sull’attenti, con diplomi scritti e ornati da me su fogli di carta normale, consegnati al suono dell’inno nazionale, tra gli applausi dei parenti e dei vicini. Dopo giorni di giochi scatenati, tutto per loro fu più bello.

In questo sistema si vive in fondo di gentilezza e di severità. Di disordine creativo e di disciplina. Si vive insomma di equilibrio. E se il capo arancione della maggiore democrazia del mondo è uno spettacolo circense, si sente l’urgenza della solennità.

Non è un tic da benpensanti, diventa un bisogno vitale.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 09/06/2025

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