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Turchia, l’ultimo bavaglio il Primo maggio mentre cresce il numero dei giornalisti in carcere

Antonella Napoli il . Diritti, Giustizia, Informazione, Internazionale, Istituzioni, Politica

L’ultimo atto di repressione si è abbattuto su pacifici manifestanti che non volevano far altro che celebrare il primo maggio, la Festa dei lavoratori. Centinaia di arresti e il divieto assoluto per la stampa di parlare dell’accaduto. Tra i fermi anche numerosi giornalisti che erano in piazza per documentare le dimostrazioni pacifiche.

Negli ultimi anni, la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan ha mostrato un inquietante incremento delle restrizioni sui diritti fondamentali, in particolare sulla libertà di espressione e di associazione. Recenti eventi, come gli arresti nella giornata del Primo Maggio e il divieto di manifestazioni in piazza Taksim e lungo viale Istiklal, rappresentano esempi concreti di una deriva autoritaria che mira a soffocare ogni forma di dissenso e a controllare l’informazione.

Controllo che si estende anche alla stampa internazionale, come conferma l’arresto e la condanna di un collega svedese, Joakim Medin. Il 30 aprile un tribunale di Istanbul ha emesso una sentenza, con pena sospesa, di 11 mesi di carcere per aver insultato il presidente Recep Tayyip Erdoğan.

Al momento che scriviamo, Joakim è ancora dietro le sbarre in attesa di processo per una seconda accusa più grave. Il giornalista, che lavora per il quotidiano svedese Dagens ETC, è stato fermato il 27 marzo all’aeroporto di Istanbul dove era attivato per coprire le proteste di massa che attanagliavano la Turchia.

È stato arrestato con due diversi capi di imputazione: insulto al presidente e appartenenza a un’organizzazione terroristica.
Ogni diritto civile e umano, da quello di manifestare ed esprimere dissenso, alla libertà di stampa, viene sistematicamente limitato nel paese. Nonostante nel 2023 la Corte costituzionale turca avesse stabilito che vietare le manifestazioni del Primo Maggio in piazza Taksim costituisce una violazione del diritto di riunione sancito dall’articolo 34 della Costituzione, le autorità turche continuano a imporre restrizioni. Dal 2013, infatti, il divieto di acceso alla celebre piazza durante questa giornata rimane in vigore, giustificato ufficialmente con motivazioni di sicurezza, tra cui il timore di attacchi terroristici e il traffico intenso.

Amnesty International ha più volte denunciato questa situazione, sollecitando le autorità turche a revocare i divieti e a rispettare i diritti dei cittadini. Recentemente, l’organizzazione ha richiesto al governatore di Istanbul, Davut Gül, di annullare il divieto di “azioni di gruppo in piazza Taksim e in viale Istiklal”, considerati due luoghi simbolici e di grande importanza per la città. Tuttavia, le restrizioni sono continuate, e il 29 e 30 aprile si sono registrati numerosi arresti domiciliari e preventivi, presumibilmente per impedire che manifestanti si radunassero in occasione del Primo Maggio.

Oltre alle repressioni in strada, il governo turco ha intensificato anche la stretta sull’informazione, estendendo il controllo sui mezzi di comunicazione e limitando la libertà di stampa. Questa strategia mira a silenziare le voci di dissenso e a mantenere un clima di paura fra la popolazione, rendendo sempre più difficile un dibattito libero e pluralistico.

In conclusione, le recenti azioni delle autorità turche confermano un quadro allarmante di violazioni dei diritti umani e di restrizione delle libertà fondamentali. La comunità internazionale e le organizzazioni per i diritti umani devono continuare a monitorare e denunciare queste pratiche autoritarie, affinché in Turchia sia finalmente rispettato il diritto di manifestare, di giungere alla verità, e di esprimersi liberamente senza timore di rappresaglie.

Fonte: Articolo 21

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