Intelligenza artificiale. Quello che si deve fare per tenerla a bada e non finire sconfitti
Ennò! C’è qualcosa che non fila in questo dibattito sull’intelligenza artificiale. Scruto il mondo, e da lontano o da vicino il risultato non cambia.
Ascolto incredulo il linguaggio, osservo sgomento le gesta di Trumpolone l’arancione, tra scodinzolii di ammirazione di influenti giornalisti. Vedo Putin resuscitare la storia delle prigioni e dei veleni. Vedo i massacri di Gaza di cui molti si illudono che il mondo non pagherà il conto. Vedo avanzare un mondo dove la regola annunciata ai quattro venti è quella della forza bruta, chi può uccidere uccida, chi può rubare rubi, chi può vietare la parola la vieti.
E vedo tanti “imperatori”, di quelli che una volta si trovavano nelle barzellette su Napoleone. Così mi domando se prima di pensare all’intelligenza artificiale che sta arrivando non sia il caso di pensare soprattutto all’intelligenza naturale che se ne sta andando.
Il problema non è che qui arrivano i barbari della tecnologia a piegare la civiltà del pensiero. Il problema è che la civiltà del pensiero sembra fuggita prima ancora che il nemico abbia suonato la carica.
Dite che tutto ciò riguarda i potenti, e che il popolo, la società civile, gli operosi cittadini ne sono immuni? Che distinguono il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, ciò che conviene e quel che è foriero di disastri? Ma no. I potenti vengono anche liberamente votati. Non a est, ma a ovest per adesso ancora sì. Anche se si sa che rubano. Anche se hanno tentato colpi di Stato. Il mondo sembra calamitato da un baratro mentale e intanto depreca l’intelligenza artificiale.
Dicono gli investigatori che a Palermo la gente, professionisti compresi, ha ripreso a chiedere favori alla mafia. Che starebbe risorgendo dopo decenni una “domanda di mafia”. Ma ci vuole tanto a capire che per battere la mafia occorre che lo Stato faccia tutto il suo dovere, non solo le indagini, ma che sia efficiente e prossimo ai cittadini, o la tentazione della scorciatoia prima o poi si farà strada anche tra menti non criminali? Ma di che intelligenza artificiale si parla?
Se vogliamo che non ne venga fuori il peggio dobbiamo spremere il meglio da ciò che abbiamo da noi. Far funzionare i nostri uffici, rimuovere – anche con le sanzioni – le gigantesche accidie che rendono il mondo in cui viviamo quasi impraticabile se non con la corruzione o con la forza. Un’ingiustizia chiama l’altra. Difficile capirlo?
Vedo ambienti, aziende, pubblici servizi, il cui lavoro diventa sempre più quello di redigere rapporti, bilanci, valutazioni, riempire protocolli, e poi sempre più protocolli, valutare con metri assurdi lavori altrui o propri. Per ottimizzare. Con il risultato di dimezzare o ridurre a un terzo il proprio lavoro effettivo. Algoritmi, percentuali da raggiungere, mete invalutabili.
Amici cari, la presunzione di modernità ci sta perdendo. “Sentinella, a che punto è la notte?”, narrava Isaia. La sentinella nella notte non c’è più. Gongoliamo per avere raggiunto risultati di latta, che altri, come in un bancone del Luna Park, ci hanno invitato ad acchiappare, per misurare “scientificamente” le nostre qualità.
Ricordo senza eccessiva nostalgia, se non per i miei diciotto anni, un’epoca passata alla storia come Sessantotto. Ci entrai andando a vedere alla Bocconi uno spettacolo teatrale. Tutto costruito sul numero di matricola. Studente: numero di matricola. Soldato: numero di matricola. Ovunque numeri di matricola senza nomi e senza intelligenza. Ne uscii convinto al gran rifiuto.
Oggi quell’aria è tornata. Ha messo un cappotto moderno. Ma noi non la vediamo e temiamo l’intelligenza artificiale. Mentre con quella naturale, se solo la avessimo, ne potremmo fare ottime cose. Magari arginandone i rischi con una rivoluzione nei modi di valutazione nelle scuole e nelle università. Volete sapere quali? Ve lo dirò la prossima volta.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 14/04/2025
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