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Strage Bologna, per Cassazione ”processo Cavallini non è esercizio storicistico”

Aaron Pettinari * il . Eversione, Giustizia, Istituzioni, Politica, Terrorismo

Nelle motivazioni della sentenza di condanna si afferma il “diritto collettivo a accertamento dei fatti”.

Il processo a Gilberto Cavallini, il quarto Nar accusato della strage di Bologna, non si può derubricare a “mero esercizio storicistico”.

È questo uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza con cui i giudici della Prima Sezione penale della Corte di Cassazione hanno reso definitiva, lo scorso 15 gennaio, la condanna all’ergastolo per concorso nella strage del 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria di Bologna.

Scrivono gli ermellini che “la verità processuale – in rapporto alla commissione di reati di enorme gravità e che non tollerano prescrizione – è uno dei compiti essenziali di uno Stato di diritto ed è quello che la magistratura è tenuta ad offrire al popolo italiano”. E “come è stato evidenziato nella requisitoria del sostituto procuratore generale” Antonio Balsamo, “esiste un diritto all’accertamento dei fatti, in casi di crimini di particolare gravità, che non si ricollega alle sole vittime, ma che appartiene all’intera collettività”.

Altro che processi alla storia, come molti detrattori hanno affermato. Anche a quarant’anni di distanza si può giungere ad una nuova verità.

Per quell’attentato erano già stati condannati in via definitiva come esecutori materiali gli ex Nar Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini, e sempre per concorso nella strage è stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado l’ex esponente di Avanguardia nazionale Paolo Bellini.

Cavallini, condannato all’ergastolo in primo grado il 9 gennaio 2020 dalla Corte d’Assise di Bologna e in appello il 27 settembre 2023 dalla Corte d’Assise d’appello bolognese, è stato ritenuto colpevole di strage politica.

In particolare all’imputato veniva contestato di aver “messo a disposizione un alloggio protetto per Ciavardini, Mambro e Fioravanti prima dell’esecuzione della strage”, di aver “messo a disposizione l’attrezzatura per fabbricare una patente falsa consegnata da Ciavardini a Fioravanti” e di aver fornito “l’auto necessaria per lo spostamento da Villorba di Treviso alla stazione di Bologna, e ritorno”.

Tutt’altro che esercizio storicistico

Nell’introdurre le motivazioni della loro sentenza, i giudici della Suprema Corte ricordano che “il presente giudizio si è celebrato a distanza di più di 40 anni dal tragico fatto delittuoso che ha scosso, nel profondo, la coscienza collettiva del nostro Paese. Verrebbe dunque da pensare- scrivono- che sia un mero esercizio storicistico più che giuridico, con sostanziale inutilità di un processo penale”. Invece, puntualizzano, “così non è se, ed in quanto, la ricostruzione dei fatti non si limiti ad essere un ‘affresco storico’, pur necessario per inquadrare un contesto di produzione degli eventi, ma sia un atto capace di cogliere, al di là di ogni ragionevole dubbio, aspetti di verità sulla contestazione di concorso nel reato”.

Ricorsi rigettati

Entrando nel dettaglio, i giudici della Cassazione ripercorrono i motivi di ricorso presentati dai difensori di Cavallini, Gabriele Bordoni e Alessandro Pellegrini, rigettandoli come infondati o- nel caso della contestazione di una presunta “mancata assunzione di prova decisiva” in relazione alle ipotesi alternative come la cosiddetta ‘pista palestinese’- inammissibili per genericità.

Sul punto, nella sentenza si legge che “la doglianza in punto di omesso approfondimento della pista palestinese… non si confronta né con l’assenza di segreti opposti alla autorità giudiziaria in questo giudizio, né con il fatto che da tutta la documentazione esaminata in sede di merito è emersa la assoluta inconsistenza di una ipotesi di accordo (il cosiddetto ‘lodo Moro’) nei termini ipotizzati dalla difesa del ricorrente (sorta di autorizzazione al transito di armamenti sul territorio italiano), trattandosi- di contro- di un sostegno politico alle aspirazioni di riconoscimento internazionale del Fronte di Liberazione della Palestina e non di altro (in cambio di non esecuzione di attentati sul territorio italiano)”.

Anche “l’argomento della presenza di Thomas Kram a Bologna il 2 agosto”, proseguono i giudici della Cassazione, “è stato ampiamente esaminato nella decisione impugnata, con argomenti pienamente logici, posto che Kram era stato identificato al valico di frontiera il giorno antecedente e aveva utilizzato, per il pernottamento a Bologna, il proprio documento di identità originale, aspetto che esclude il suo coinvolgimento operativo in un evento delittuoso di simile portata”. Nella sentenza si esaminano poi “le razionali argomentazioni esposte nella decisione impugnata, non sindacabili nella presente sede di legittimità”, premettendo “alcune considerazioni di metodo rese necessarie dalla ‘natura’ del processo, essenzialmente basato su una ricostruzione di tipo indiziario di alcuni aspetti di particolare rilievo”. È infatti “frutto di ragionamento indiziario tanto la presenza ‘attiva’ di Fioravanti e Mambro a Bologna la mattina del 2 agosto, quanto l’aspetto del ‘consapevole’ apporto di Cavallini all’impresa criminale”.

Sul punto, per la Suprema Corte “le due decisioni di merito realizzano una logica sintesi di tutte le principali evidenze”. La dimensione “primaria” del giudizio sul fatto, si legge, “è quella che ricollega Valerio Fioravanti e Francesca Mambro alla fase esecutiva della strage”, in quanto “da tale presenza deriva in via logica, ma con certezza, la falsità delle dichiarazioni rese da Fioravanti, Mambro, Ciavardini e Cavallini su quanto avvenuto la mattina del 2 agosto 1980 (la comune gita a Padova)”. E dato il “legame indissolubile tra questi quattro soggetti”, per i giudici “se Fioravanti e Mambro erano a Bologna la mattina del 2 agosto 1980”, ne consegue che “la versione fornita nel corso del tempo da costoro, ma anche da Cavallini, non è soltanto contraddittoria o non dimostrata, ma è falsa”.

Testimonianze importanti

I giudici della Cassazione richiamano anche “la rinnovata valutazione delle emergenze probatorie, che ha condotto i giudici del merito alla conferma della attendibilità del narrato di Massimo Sparti”, testimone chiave contro Mambro e Fioravanti, e “altre emergenze indiziarie, tra cui la stessa ‘premonizione’ di Vettore Presilio (che riferisce circa il coinvolgimento, nel progetto stragista, anche del gruppo estremista veneto), l’avviso dato da Massimiliano Fachini (persona che tutte le fonti dichiarative interne alla galassia estremista indicano come particolarmente legato a Cavallini) a ‘Jeanne’ Cogolli, la telefonata di Ciavardini a Cecilia Loreti”. Tutti aspetti “ampiamente esaminati, senza vizi logici nelle decisioni di merito, che hanno un’obiettiva e convergente portata indiziante nei confronti di Fioravanti e Mambro, da cui deriva la falsità dell’alibi collettivo”.

Per la Suprema Corte, dunque, “si tratta di elementi che possiedono una alta valenza indicativa circa l’assoluta consapevolezza, da parte di Cavallini, di ciò che sarebbe avvenuto a Bologna il 2 agosto 1980, il che ha imposto- in sede di merito- di ritenere sussistente il suo concorso nella strage”.

I rapporti con la P2 ed i servizi

I giudici affermano poi che “tutti gli elementi che ‘storicizzano’ il rapporto tra Cavallini ed esponenti della P2 o dei Servizi deviati vanno intesi in termini di idonea ‘verifica di compatibilità'” tra l’ipotesi accusatoria “e il contesto complessivo di maturazione dei fatti”.

Infine, per i magistrati “la tesi difensiva di una pretesa incompatibilità tra l’accertamento contenuto nel presente giudizio e i contenuti della decisione di secondo grado a carico di Bellini non soltanto è del tutto generica (oltre che tardiva), ma è smentita… dalla lettura del capo di imputazione del processo Bellini, in cui Cavallini figura come concorrente nel reato”.

* Antimafia Duemila

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