Contro il fascino di Cosa Nostra serve l’Antimafia dei diritti sociali
“Cosa nostra continua a esercitare il suo fascino in certi ambienti come le borgate in cui i giovani hanno alternative di vita limitate e si identificano in rappresentazioni di potenza di cui ancora ancora gode la mafia”. Così Maurizio De Lucia, capo della procura di Palermo, commentando – insieme a Marzia Sabella, procuratore aggiunto – il maxi blitz antimafia dell’11 febbraio con l’arresto di 183 persone.
Queste parole richiamano quel che dalla Chiesa – il generale-prefetto antimafia di Palermo – pochi giorni prima di essere ucciso da Cosa nostra, rispose a una domanda di Giorgio Bocca su che fare per sconfiggere la mafia. Non disse arresti, condanne e carcere.
Ricordò invece che se i diritti fondamentali dei cittadini non sono soddisfatti, i mafiosi li intercettano e li trasformano in favori che concedono in cambio di qualcosa, rafforzando così il loro potere. In questo modo dalla Chiesa affermava la necessità di affiancare all’antimafia “della repressione” quella “sociale o dei diritti”: per trasformare in alleati dello Stato coloro che, coi favori elargiti, la mafia riduce a suoi sudditi.
Le parole di dalla Chiesa possono essere accostate (absit iniuria…) a quelle di Pietro Aglieri, boss di Cosa nostra.
Al Pm Alfonso Sabella (fratello di Marzia) ebbe a dire: “Quando voi venite nelle nostre (sic) scuole a parlare di legalità e giustizia, i nostri (sic) ragazzi vi ascoltano e vi seguono. Ma quando diventano maggiorenni e cercano un lavoro, una casa, assistenza economica e sanitaria, a chi trovano? A voi o a noi ?”.
Ecco, finché i cittadini incroceranno soltanto il volto “militare” dello Stato, e quanto ai diritti troveranno soprattutto i mafiosi, la guerra alla mafia non sarà vinta. La politica continuerà a delegare tutto o quasi a forze dell’ordine e magistratura.
E sarà vano pretendere quel duraturo, costante impegno anche della società civile che è indispensabile per consolidare i risultati dell’antimafia.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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