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La Sacra Corona Unita continua a gestire l’economia nera e parallela del Salento

Fabiana Pacella il . Droga, Forze dell'Ordine, Giustizia, Mafie, Puglia

Lo dimostra la maxi operazione con cui i carabinieri del comando provinciale di Lecce, coordinati dalla DDA, hanno arrestato ieri all’alba 87 persone, su 112 indagati.

L’ordinanza porta la firma della Gip Francesca Mariano, per 56 dei destinatari è scattato il carcere (20 erano già detenuti, ndr), per 31 i domiciliari.

Un lavoro imponente, partito nel 2020, che ruota attorno all’imprenditorialità della mafia salentina, radicata, forte del ruolo dei boss anche dietro le sbarre, arricchita dal narcotraffico che aumenta il suo volume d’affari in maniera esponenziale, conta anche su donne fedelissime e operative e soprattutto, crea famiglie nelle famiglie, collaborazioni solide tra rami indipendenti che però condividono rischi e ricavi con uno scopo comune: le mani sul territorio.

Nucleo centrale dell’organizzazione madre, Antonio Marco Penza, il “dominus” su Lecce, già detenuto per associazione mafiosa, che dal carcere lavorava senza sosta creando alleanze fortissime, mantenendo inalterato “l’elevatissimo grado di rispetto riconosciutogli”.

Altri due “rami d’azienda” di grosso livello, quello gestito da Andrea Leo, anch’egli condannato per 416 bis, ed egemone su Vernole-Melendugno e quello con a capo Francesco Urso, attivo su Andrano e il basso Salento, a loro volta strutturati a grappolo per coprire l’intero territorio e garantire l’apertura h24 di decine di piazze di spaccio, su cui di fatto sono calate le serrande ieri mattina, tra il capoluogo, Tricase, Andrano, Racale, Leuca, Maglie, Melendugno, Scorrano e via discorrendo.

Le due associazioni satelliti pagavano il punto a quella madre, per alimentare da un lato la cassa comune e ricavare introiti propri dall’altro.

Va da sé che i “vecchi metodi” della mafia, la violenza fisica, le spedizioni punitive cruente e le aggressioni si confermavano extrema ratio per punire quanti maturassero debiti di droga.

I militari hanno anche messo le mani su numerose attività commerciali utilizzate dalla Scu come lavatrici di somme di denaro ingenti da auto riciclare.

“Nello stesso carcere, era detenuto anche Marco Penza, di Lecce, appartenente al gruppo di Cristian Pepe. Mi avvicinò chiedendomi se ci fosse qualcuno del mio gruppo che doveva ancora dei soldi a Lecce, dovuti all’approvvigionamento di stupefacenti, perché nel caso avrebbe provveduto lui a recuperare tali somme”, raccontò agli inquirenti un collaboratore di giustizia, che insieme ad altri tre, a partire dal 2018, ha contribuito a ricostruire sodalizi, obiettivi e fratture sanate a vantaggio della ragion d’affari.

Notevole anche l’apporto delle donne, in seno all’associazione, fidanzate e mogli dei detenuti, spregiudicate nel riferire le volontà dei compagni e nell’impartire loro stesse ordini ad affiliati e a chi tentasse di deragliare.

Gli investigatori hanno sequestrato in via preventiva beni immobili, terreni, fabbricati, autovetture e rapporti finanziari, per un valore di circa un milione e settecentomila mila euro.

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno

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