Mafia, ancora arresti: ma per qualcuno lo Stato ha già vinto e si possono smantellare le leggi
“Una volta per stare dentro Cosa Nostra ci voleva fegato, oggi ci vuole pazienza”. Non è lo stralcio di una intercettazione telefonica e nemmeno della deposizione di un collaboratore di giustizia, è la battuta messa in bocca ad un boss mafioso da Ficarra e Picone, autori dello sceneggiato Incastrati, recentemente riproposto da Canale 5. C’è più saggezza in questa battuta che in molti interventi forbiti e sofisticati che si raccolgono in questo periodo. Nello film il boss continua più o meno dicendo: “La pazienza di aspettare che lo Stato torni ad abbassare la testa e noi saremo lì per tagliargliela!”.
Una “pazienza” da esercitare nei confronti del bersaglio grosso, appunto lo Stato, mentre invece per il resto di pazienza continuano a non averne mai e basterebbe leggere quanto sta emergendo in queste ore dall’ultima operazione di Polizia contro presunti affiliati alla ‘ndrangheta (e non soltanto) nel milanese, per rendersene conto.
E se i mafiosi portano “pazienza” in attesa che lo Stato “abbassi di nuovo la testa”, una schiera sempre più nutrita di altolocati ben pensanti pare proprio ingaggiata perché questo avvenga quanto prima, pur rivendicando (ovviamente) tutt’altre intenzioni. Ma come ha sostenuto e scritto recentemente il Procuratore Nazionale Antimafia e Anti terrorismo, Giovanni Melillo, si sa che di “buone intenzioni” è lastricato l’Inferno.
Naturalmente costoro dichiarano di voler ben altro. Che cosa in particolare? Per prima cosa vorrebbero che fosse riconosciuta la definitiva vittoria dello Stato sulla mafia delle stragi, per poter finalmente dichiarare superata quell’emergenza che avrebbe giustificato la eccezionale e come tale temporanea, reazione ultra-severa dello Stato. Una reazione ultra-severa che avrebbe portato lo Stato italiano fuori dai binari del diritto di impianto liberale, costituzionalmente fondato e garantito. Dal 4 bis al 41 bis, dai collaboratori di giustizia, all’utilizzo delle intercettazioni, dallo scioglimento dei Comuni per infiltrazione mafiosa, alle interdittive prefettizie, fino alla specializzazione di investigazione e giurisdizione attraverso Dia, Dna e Dda…
A tutti questi “artigli” bisognerebbe limare le unghie, quando non strapparle completamente. Ma su quali evidenze si vorrebbe basato l’assunto di partenza? La mafia “stragista” è stata sicuramente combattuta con efficacia dallo Stato e sarebbe una idiozia offensiva non riconoscerlo. Ciò posto, con quali criteri stabiliremmo oggi la resilienza e la pericolosità eversiva delle mafie? Dalla quantità di chili di tritolo impiegata? Non sarebbe riduttivo? Non è eversivo dell’ordine democratico anche inquinare strutturalmente l’economia legale, dal momento che la nostra è (fino a prova contraria) una democrazia fondata sul lavoro? Non è eversivo dell’ordine democratico inquinare il processo decisionale pubblico con dosi massicce di clientelismo e corruzione, che del metodo mafioso costituiscono presupposti non soltanto culturali?
Costoro poi vorrebbero sgombrare il campo in particolare da quell’istituto che più di ogni altro parrebbe essere diventato la sentina di tutte le perverse e vergognose ambizioni usurpative degli anti-mafiosi istituzionali e cioè le misure di prevenzione patrimoniali. Sequestri e confische patrimoniali, che lungi dall’essere un efficace strumento di aggressione dei patrimoni illeciti, come predicava quell’invasato di Pio La Torre, sarebbero uno strumento esorbitante, degno della Santa Inquisizione, fondato su una inaccettabile inversione dell’onere della prova, che colpisce degli innocenti sol che siano raggiunti da qualche sospetto di avere a che fare con le mafie. Tutto falso! La cosiddetta pericolosità sociale del soggetto sospettato è soltanto uno dei presupposti dell’applicazione delle misure di prevenzione, che pretende sempre la dimostrazione oggettiva (a carico di chi redige la proposta di sequestro) della sproporzione tra redditi dichiarati ed effettiva disponibilità di beni.
La procedura di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali è stata poi riformata dal Legislatore nel 2017, che ha inteso giurisdizionalizzarla ulteriormente, rinforzando i presidi a tutela del proposto e dei terzi di buona fede. Ma-la-Saguto!?! Infatti è buona norma buttare via il bambino con l’acqua sporca.
Infine sempre costoro vorrebbero una anti-mafia meno ancorata ai fantasmi del passato, leggi: stragi di mafia ’92-’93. Fantasmi che sarebbero evocati soltanto per giustificare la propria stessa sopravvivenza, altrimenti evidentemente inutile (lo Stato ha vinto!) e condannerebbero l’anti-mafia ad essere retorica, miope e “campanilista”, incapace cioè di guardare al presente delle organizzazioni criminali (quelle almeno esisterebbero ancora!), che sono transnazionali ed avvezze a ben altre dinamiche. Detto che le mafie, in quanto tali, hanno sempre avuto una dimensione internazionale, sono innumerevoli e documentati gli sforzi proprio di quella antimafia tanto vituperata di lavorare sull’evoluzione dei fenomeni criminali in chiave europea e mondiale.
Penso, tra le altre, alle missioni in Canada, negli Stati Uniti, in Belgio ed in Olanda che hanno caratterizzato le ultime due legislature. Penso agli Stati Generali dell’Antimafia, organizzati nel novembre del 2017 a Milano dal ministro della Giustizia Orlando ed alla centralità che in quella cornice ebbe la relazione dell’allora capo del DIS, dott. Pansa, sul rapporto tra criminalità organizzata e digitalizzazione. Penso allo sforzo fatto dall’Italia nella Conferenza Onu, svoltasi a vent’anni da quella del 2000 di Palermo nella quale per la prima volta nella storia, i Paesi aderenti si sono presi impegni concreti contro corruzione e criminalità organizzata.
Ma al netto di tutto questo, vorrei chiedere a costoro: che peccato si commette a non dimenticare coloro che in questo Paese hanno subito l’onda d’urto delle Stragi e che ancora attendono, come tutte le persone libere e democratiche, piena verità (che è in sé una forma di giustizia)? Avrebbe dunque ceduto al sentimentalismo, retorico e campanilista, pure il Presidente della Repubblica che ha incontrato famigliari e sopravvissuti delle stragi del ’92 soltanto la scorsa settimana? Sarebbe dunque un pericoloso visionario, pronto a continuare l’inutile salasso della casse pubbliche, il Procuratore Melillo che, nel medesimo intervento che citavo sopra, ha anche aggiunto in relazione alle stragi: “Se si ricordassero le parole di Carlo Azeglio Ciampi pronunciate in Parlamento all’indomani degli attentati di Roma e Milano o, più recentemente, quelle di Sergio Mattarella sulla pesantezza dell’ipoteca mafiosa e terroristica a lungo gravata sui destini italiani forse si ritroverebbe una parte almeno della spiegazione dell’anomalia italiana che vede ancor oggi i magistrati impegnati a far luce sulle stragi che vanno dal 1969 al 1980, come su quelle degli anni 90”.
Incoraggiati dal “nuovo” (vecchissimo!) corso inaugurato dal ministro Nordio, io invito tutti costoro ad andare fino in fondo. Abbiate coraggio, forza e aprite la discussione sull’indicibile e cioè sul 416 bis. Come sopportare ancora questo abominio giuridico che rende reato la mera appartenenza ad una organizzazione mafiosa? E che sarà mai?
Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello
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