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Sauna con vista sulla bellezza: confisca che fa bene alla legge

Luca Tescaroli * il . Economia, Giovani, Lazio, Mafie

Roma. L’attico criminale va alla scuola di magistratura. L’immobile di Diotallevi, affacciato sulla fontana di Trevi, è stato un simbolo della potenza e dell’invincibilità del crimine organizzato. Sei anni per la svolta.

L’attico con terrazzo che si affaccia sulla Fontana di Trevi, uno dei luoghi più evocativi della città di Roma, al quale si accede da via San Vincenzo de Paoli, n. 32, confiscato a Ernesto Diotallevi, a seguito di procedimento di misure di prevenzione, è stato destinato a sede della direzione della Scuola Superiore della Magistratura, intitolata a Mario Amato, il pubblico ministero di Roma, assassinato il 23 giugno 1980 dai terroristi appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR) Francesca Mambro e Valerio Cavallini, che in seguito furono condannati quali mandanti per la strage di Bologna del 2 agosto 1980.

Un’iniziativa meritoria promossa dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione Giovanni Salvi, che valorizza i notevoli sforzi compiuti congiuntamente da molti.

Era l’8 ottobre 2013 quando firmai con i colleghi Giuseppe Cascini e Paolo Ielo la richiesta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del sequestro anticipato dei beni, in vista della confisca, riconducibili a Diotallevi. Una proposta condivisa dal Procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone, che faceva seguito a tre analoghe distinte proposte presentate nel passato, nel corso di un decennio, dal 1988 sino a ridosso del 2000, tutte rigettate dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma.

Preceduta da un analitico lavoro di analisi e di studio dei carteggi relativi ai precedenti naufragati, l’articolata richiesta dava conto del risultato dello studio degli atti di numerosi procedimenti penali e della ricostruzione attenta del patrimonio dell’interessato e dei soggetti prestanome a lui riconducibili, al quale contribuirono i militari del Gico della Guardia di Finanza e del Ros dei carabinieri di Roma.

Si sono resi necessari sei anni per giungere al verdetto definitivo, che ha dimostrato come lo Stato sappia contrastare con la professionalità dei propri rappresentanti l’accumulazione delle ricchezze illecite provento dell’attività della criminalità organizzata, nel pieno rispetto delle regole, salvaguardando i fondamentali diritti di difesa.

Dopo essere approdato al decreto del 26 gennaio 2015di confisca del Tribunale sezione per le misure di prevenzione di Roma (presieduto dalla dottoressa Anna Criscuolo), che aveva condiviso integralmente l’impostazione del pubblico ministero, vagliata nel contraddittorio serrato con il proposto e i terzi prestanome e interessati costituitisi in giudizio, sul presupposto della pericolosità sociale di Diotallevi, l’iter procedimentale subì una battuta d’arresto dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, che confermava la confisca solo per alcuni beni, quelli acquistati nel periodo ricompreso dal 2009 al 2013, disponendo la revoca per tutti i beni acquisiti dal giugno del 1982 al 2009, fra i quali, l’attico con vista su Fontana di Trevi.

Grazie alla tenacia e alla determinazione della Procura Generale presso la Corte d’appello di Roma – guidata all’epoca da Giovanni Salvi, il quale, impegnandosi in prima persona, riuscì a far convogliare le energie di più colleghi – fra le quali le mie – e della polizia giudiziaria – quella pronuncia venne capovolta, a seguito dell’accoglimento del ricorso proposto, da parte della seconda sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta dal dottor Piercamillo Davigo, con sentenza del 31 gennaio 2018 (la cui motivazione venne depositata in cancelleria il 31 marzo 2018) che annullò il decreto della corte d’appello con rinvio per un nuovo esame. Il nuovo giudizio giunse a confiscare l’intero patrimonio di Diotallevi. Il nuovo verdetto della Corte d’appello è divenuto definitivo con la sentenza del 7 maggio 2019 (la cui motivazione è stata depositata in cancelleria il 6 dicembre 2019)della sesta sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal dottor Giorgio Fidelbo.

Una pronuncia che ha consentito di confiscare in via definitiva a Ernesto Diotallevi beni per un valore complessivo stimato pari a 25.136.097,00 euro, costituito da 43 unità immobiliari site in Roma e provincia, a Gradara (provincia di Pesaro e Urbino), Olbia e Corsica; 8 società, 5 autoveicoli e 5 tra depositi bancari e polizze vita. Si tratta di una confisca che non deriva da una specifica condanna in sede penale e che costituisce un’applicazione concreta dello specifico strumento di prevenzione introdotto dalla legge Rognoni-La Torre. La Torre per la presentazione del relativo progetto di legge venne assassinato il 30 aprile 1982. Una legge che fu approvata solo il 13 settembre 1982, dieci giorni dopo l’uccisione del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa.

La confisca è, dunque, basata sulle manifestazioni di pericolosità del Diotallevi (alcune condanne definitive, fra le quali quella per favoreggiamento derivante dal suo coinvolgimento nella fuga di Roberto Calvi a Londra, ove fu trovato morto impiccato il 18 giugno 1982), sull’assenza di risorse lecite idonee a dimostrare la disponibilità dei beni, sulla sproporzione tra le sue fonti e gli impieghi e sui legami anche finanziari accertati tra lo stesso ed esponenti di cosa nostra (fra i quali, lo stragista Giuseppe Calò), della banda della Magliana (fra i quali Domenico Balducci, assassinato il 16 ottobre 1981, e Danilo Abbrucciati, ucciso il 27 aprile 1982, nel corso dell’attentato in pregiudizio del direttore generale del Banco Ambrosiano Roberto Rosone) e dell’associazione mondo di mezzo.

Il grande attico – che dalla sauna consentiva la visuale di una delle fontane più belle al mondo, come constatammo in sede di esecuzione dell’originario decreto di sequestro – venne formalmente acquistato da Diotallevi il 29 luglio 1981 (tramite una società appositamente costituita, la Diodone s.r.l., che il 29 settembre 1989 trasferì l’immobile ai figli), successivamente alle operazioni di riciclaggio dei proventi di cosa nostra, ruotanti anche attorno al complesso immobiliare di Porto Rotondo. Si è accertato che Diotallevi pagò un prezzo di 925 milioni di lire per l’acquisto del complesso immobiliare, pur in assenza di rediti adeguati.

Il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta il 9 dicembre 1993 riferì che all’epoca per i discorsi che facevano “Calò e Diotallevi, quest’ultimo era in trattative per l’acquisto di una villa al centro di Roma … Il problema del Diotallevi … era quello di giustificare la provenienza del denaro necessario per l’acquisto della villa valutata circa novecentomilioni di lire”.

Quell’immobile ha rappresentato un simbolo della potenza e dell’invincibilità del crimine organizzato e la sua confisca ha, dunque, un notevole significato simbolico perché è il risultato del lavoro svolto con passione da molti in seno alla magistratura, che viene accentuato dalla sua destinazione alla formazione professionale dei giudici e dei pubblici ministeri, dalla titolazione dell’immobile a Mario Amato, il magistrato che era subentrato a Vittorio Occorsio, assassinato da terroristi di Ordine Nuovo, mentre stava conducendo indagini che portavano ai legami di organizzazioni eversive di estrema destra con la criminalità organizzata romana ed era giunto a individuare nella P2 un potenziale ulteriore tassello, vari anni prima della scoperta delle liste degli appartenenti alla loggia, avvenuta nel 1981.

L’iniziativa consente, al contempo, di porre l’attenzione sulla necessità della salvaguardia della normativa sui sequestri e sulle confische di prevenzione, frutto del sangue versato, che i mafiosi stragisti volevano con gli attentati del 92-94 far cancellare e che oggi è oggetto di vibrate critiche e di iniziative legislative proiettate a narcotizzarla.

* Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Firenze

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 04/06/2022

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