Ecco Giuseppe Pelle, il boss dei bunker e dei voti
“Giuseppe Pelle è la sintesi migliore delle caratteristiche relazionali poste in essere dalla ‘ndrangheta con esponenti delle istituzioni di questa città, di questa provincia, di questa regione, di questo Paese. Un rapporto subdolo che emerge in tutta la sua pericolosità…”. Così Gaetano Paci, procuratore di Reggio Calabria ha sintetizzato il ruolo di Peppe “Gambazza”, vero padrino della ‘ndrangheta e, per così dire, un figlio d’arte. Pelle ha ispirato e istruito molti dei capi più giovani, anche quelli alla guida di altre potenti famiglie della provincia di Reggio Calabria.
I poliziotti della squadra mobile di Reggio e del Servizio Centrale Operativo della polizia che l’hanno scovato in quel casolare immerso nella boscaglia. Per catturarlo ci hanno messa tanta determinazione e pazienza, ed è paradossale che lo abbiano trovato in un rifugio, diciamo così, da latitanti vecchio stile. Lui che ha trasformato in una “scienza” la capacità di costruire covi, bunker, ricavati nelle profondità dei terreni, nelle campagne ai piedi dell’Aspromonte, o sotto i capannoni, in anonime abitazioni, spesso volutamente lasciate a metà, o al contrario tra gruppi di case abitate. Proprio lui, uno che dell’imprendibilità aveva fatto una religione, sia per necessità legate all’esercizio del potere, del comando sulla sua cosca, ma anche, in qualche modo, su molte altre della costa Jonica, di cui a lungo era stato una sorta di capo dei capi.
Giovanni Ficara, boss del clan Ficara-Latella, un giorno andò da lui e gli chiese una consulenza, consigli per la costruzione di un bunker simile a quello utilizzato da un altro capo cosca. Giuseppe Pelle, dopo aver ragionato dell’importanza di quei nascondigli, dotati di tutti i confort e di tecnologie avanzate, dopo aver fornito suggerimenti sul tipo di abitazione da scegliere per costruirli, gli promette anche l’invio dell’operaio specializzato che dovrà realizzarlo.
Un uomo potente, Giuseppe Pelle, talmente potente che nelle carte della Procura reggina viene descritto come il soggetto da cui i politici andavano in processione per chiedere sostegno in occasione di competizioni elettorali. Tutto ripreso dai carabinieri del Ros nel corso delle indagini che tre anni fa hanno portato in carcere il consigliere calabrese del centro destra Santi Zappalà e altre 12 persone (tra queste altri 4 candidati del medesimo schieramento politico). In cambio dei voti le cosche, stando alle accuse, avevano chiesto appalti e denaro. E Pelle aveva grandi progetti, quando si parlava di politica non lasciava nulla al caso, pianificava perfino la distribuzione dei voti tra famiglie e territori controllati dai vari locali di ndrangheta. Insomma, voto utile in chiave ‘ndranghetista.
Un giorno i carabinieri in ascolto lo sentono recriminare: “…se eravamo una cosa più compatta – diceva il boss – dovevamo fare una cosa, quanti possono andare? Diciamo qua dalla ionica, quando raccogliete tutti i voti che avete, vanno tre persone. Altre tre vanno alla Piana e vanno già sei per il Consiglio regionale. La prossima volta quei sei, se si portavano bene andavano a Roma e andavano altri sei al posto di quelli”.
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