Il bilancio delle imprese mafiose nella relazione della DIA
Il bilancio delle “imprese mafiose” italiane si basa su moltissime attività illecite che fruttano ingenti capitali da reinvestire in ambito nazionale e all’estero. Entrate di tutto rilievo provengono, come noto, in primis dal narcotraffico, incluse le piantagioni di marijuana e di alcune varietà di cannabis tra cui quella denominata skunk, con alte concentrazioni di principio attivo.
Dunque sono tanti e diversificati gli affari che fanno le mafie a cominciare dalle imposizioni del pizzo che, come sottolinea la DIA nella recente relazione semestrale presentata (luglio 2017) al Parlamento dal ministro dell’Interno Marco Minniti “..costituisce non solo fonte primaria di sostentamento illecito ma anche uno strumento di controllo del territorio”.
Per la mafia siciliana l’inserimento nel settore delle opere pubbliche rimane sempre particolarmente attraente ma affari si fanno anche in quello agro-silvo-pastorale, nella imposizione di mezzi di trasporto nei cantieri, nella macellazione clandestina, nel contrabbando di carburanti, nelle infiltrazioni nella pubblica amministrazione, nelle estorsioni in danno di imprenditori agricoli. Interessi sono emersi anche nella falsificazione di etichettature, nella imposizione sulle forniture di cassette per imballaggio e persino in attività delinquenziali (rapine) di norma riservate alla criminalità comune che, però, consentono di incamerare rapidamente denaro liquido. I prestiti ad usura sono pure uno dei canali di approvvigionamento illecito, come ricorda la DIA, elencando anche una serie di “attività criminali di basso profilo” (spaccio di droghe, sfruttamento dell’immigrazione clandestina, furti in abitazione e di materiale ferroso, sfruttamento della prostituzione) svolte da gruppi stranieri e “tollerate” nelle zone a tradizionale presenza mafiosa.
Affari criminali che vedono anche forme di collaborazione tra le cosche, i clan della camorra e le famiglie di cosa nostra, soprattutto in attività estorsive, nel traffico di stupefacenti e di armi. La mafia calabrese continua a prediligere alcuni settori strategici come “..quelli delle costruzioni e del mercato immobiliare, della logistica e del trasporto su gomma, della filiera alimentare e della grande distribuzione, del turismo, della gestione del ciclo dei rifiuti (…)delle scommesse e dei giochi on line”. Da qui una montagna di denaro sporco che consente alla ‘ndrangheta “di autofinanziare i propri investimenti, di offrire beni e servizi a costi assolutamente competitivi, di immettere liquidità in aziende in crisi rilevandone le quote…” creando “…un vasto e articolato sistema societario del tutto asservito e nella disponibilità della organizzazione, ma assai difficile da individuare e aggredire”.
Un quadro, come si vede, inquietante che lo diventa ancor più perché queste “società”, divenute nel tempo particolarmente “qualificate”, sono anche molto “apprezzate dai mercati” ed è grazie a loro – sottolinea sempre la DIA – che le organizzazioni criminali continuano ad interloquire con i pubblici amministratori, con i rappresentanti della finanza e persino con gli investitori internazionali. La conclusione degli investigatori e analisti della DIA, che non dovrebbe far riposare tranquillamente neanche per un giorno la nostra classe politica, è che la ‘ndrangheta è evoluta verso forme di “..imprenditoria mafiosa moderna in grado di…penetrare la realtà socio economica, anche attraverso sistemi corruttivi e collusivi”. Violenta e sfrontata la criminalità organizzata campana (composta da un indefinito numero di famiglie) che, anche a causa di scissioni interne, si è andata “destabilizzando” e trasformando in una molteplicità di gang, comandate da giovanissimi e “…più pericolose per la sicurezza pubblica rispetto a quanto accadeva in passato quando ogni gruppo era in grado di “mantenere l’ordine” sul proprio territorio…”.
Sopravvivono alcuni clan della “passata tradizione criminale” particolarmente operativi nel traffico degli stupefacenti ( in consolidate relazioni con narcotrafficanti siciliani, calabresi e spagnoli), nel contrabbando di sigarette, nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti, nel gioco d’azzardo, nelle truffe ai danni dello Stato, nel settore degli appalti pubblici e, naturalmente, nelle estorsioni e nell’usura. Le mappe, tracciate dalla DIA sulle presenze nelle città e nelle province campane dei gruppi criminali, indicano una situazione di soffocante condizionamento per lo sviluppo di una collettività, nonostante tutto, ancora, battagliera e vitale.
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