Caso Rostagno, siamo tutti colpevoli
Sappiamo che è giusto distinguere la voce dei magistrati da quella dei giornalisti. Così, dopo aver raccontato tre anni di processo e le ultime due udienze con le requisitorie dei pm, scegliamo di parlare qui. Separando la cronaca giudiziaria dall’analisi giornalistica. Proviamo a fare la nostra parte, da giornalisti, rendendo merito al lavoro fatto dai magistrati, senza retorica e infingimenti. E provando a rimettere insieme i pezzi di questa storia lunga vent’anni. Lo meritano i pm e i lettori. Anche perchè su questa storia, pesano chiaramente le responsabilità dirette della mafia, quelle di chi non ha indagato ma anche quelle di chi ha raccontato. “Abbiamo perso tre anni di processo dietro a stupidaggini” ha detto molto bene il pm Del Bene a proposito delle altre piste emerse durante il dibattimento alternative a quella mafiosa. Quando davanti a tutti già a pochi minuti dal delitto era evidente la firma della mafia sulla uccisione di Mauro Rostagno, sociologo e giornalista, assassinato a Trapani il 26 settembre del 1988.
Leggi qui le ultime due udienze del processo e la requisitoria dei pm
IL PM GAETANO PACI: “MAURO ROSTAGNO FU UCCISO DALLA MAFIA”
LA MAFIA HA “MASCARIATO” E GLI INQUIRENTI NEGAVANO L’ESISTENZA DI COSA NOSTRA
“Stupidaggini”, spesso confluite in altre piste, alternative a quella mafiosa, e venute fuori durante le indagini, tra archiviazioni e colpi di scena infondati, tra articoloni e titoli roboanti, tra sussurri e grida per le strade della città, la stessa città che poi, nelle ricorrenze ufficiali, si diceva “innamorata” di Mauro Rostagno. “Stupidaggini” ha detto il pm, noi preferiamo parlare di “marciume”. Le corna, la pista interna, non possono che essere definite con questo termine: marciume. C’è stata anche un’altra pista. La si è colta anche durante il processo, ma anche prima. S’è fatta strada accanto al “marciume”, solo a livello temporale e senza essere collimante. Si tratta dell’interessante pista sul traffico di armi, sebbene priva di concreti riferimenti, che è rimasta aperta perchè calzante con la storia criminale del territorio trapanese, dove la mafia è stata protagonista principale di questi “affari”. Durante il processo la vicenda legata al possibile traffico d’armi di cui Rostagno potrebbe essere venuto a conoscenza è stata usata dalla difesa degli imputati mafiosi come una pista “alternativa” a Cosa nostra, da “scaricare” sulle spalle di eventuali apparati dei segreti e deviati dello Stato che – perché “scoperti” da Rostagno – avrebbero deciso di ucciderlo. Peccato che numerose sentenze abbiano invece provato che a gestire traffici di armi e droga nel trapanese perfetto crocevia di tanti affari illeciti, sia stato gestito sempre da Cosa nostra.
C’è una indagine ancora in corso a Palermo su questi fatti e non è escluso che elementi più fondati possano venire fuori. Lo speriamo in nome di quella verità e giustizia che in particolare l’Osservatorio Libera Informazione più volte ha dimostrato con i fatti di chiedere, con un lavoro continuo che in questi anni ha rilanciato le dirette del processo e le cronache contenute udienza dopo udienza nella pagina Facebook dedicata al processo. Gli unici fatti noti su questo versante, sono stati raccontati dal lavoro giornalistico d’inchiesta compiuto da bravi e coraggiosi giornalisti come Andrea Palladino, Luciano Scalettari, Giorgio Mottola e soprattutto Maurizio Torrealta. Nei loro reportage, sempre interessanti e coinvolgenti, c’è – non lo nascondiamo – l’incrociarsi, quasi il sovrapporsi, della vicenda Rostagno con quella di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, e con loro, con le loro morti violente (senza dimenticare quella dell’ex capo Gladio di Trapani, Vincenzo Li Causi, pure avvenuta in Somalia) i racconti sui traffici di armi e rifiuti pericolosi con destinazione Somalia. Resta un giallo nel giallo, quello della video-cassetta che Rostagno teneva sul suo tavolo con la scritta non toccare e che avrebbe contenuto immagini eclatanti, prova di traffici compiuti usando un aeroporto dismesso, quello di Chinisia, periferia di Trapani. Resta un giallo con ancora poche conferme. La figlia di Rostagno, Maddalena, in aula, in Corte di Assise ha precisato che non si sarebbe trattato di una Vhs ma piuttosto di una cassetta audio. Chicca Roveri, la compagna di Mauro, ha ricordato al processo che Rostagno riceveva telefonate anonime in tv e aveva preso l’abitudine a registrare quelle telefonate.
Quella del traffico internazionale di armi nel trapanese è una pista seria ma che non induce, pur per la sintesi investigativa che si coglie, ad assolvere la mafia da responsabilità. E se parliamo di piste non possiamo non ricordare quella su “Lotta Continua” legata al delitto Calabresi e ad un processo terminato con condanne ma che, diciamolo, non ha convinto perché non sono passati inosservati “mascariamenti” istituzionali (che dovrebbero offendere i tanti magistrati , giudici e carabinieri che ogni giorno da decenni combattono le mafie nel nostro Paese). Basta ricordare la cosiddetta “sentenza suicida” che servì a cancellare pronunce di assoluzione. Siamo tutti colpevoli oggi. La mafia ha armato killer mafiosi per uccidere Rostagno, noi abbiamo fatto il resto dando spazio al “marciume”. Lo abbiamo fatto come cittadini e come giornalisti. Tanti di noi abbiamo usato male la penna raccontando di Mauro Rostagno, prima, durante e dopo il suo assassinio. Tanti cittadini hanno voltato a lui le spalle dopo avergli affidato il compito di tornare a farci respirare un’aria di primavera. Per rendersene conto basta scorrere l’elenco dei mafiosi, dei politici, dei colletti bianchi, scritti nella famosa Iside 2 di Trapani. Una voluminosa ordinanza di rinvio a giudizio sfociata in un processo che ha condannato solo due persone. E tutti gli altri ? Sono rimasti bene o male protagonisti, tanti hanno fatto anche carriera o criminale o politica, sono finiti dentro le “cupole” della piovra o dentro le stanze del potere politico, ed economico o imprenditoriale, a Roma, a Palermo. E questo è avvenuto perché ci siamo fatti distrarre.
La tirata di orecchie alla stampa fatta dal pm Francesco Del Bene è azzeccata. L’accettiamo, tutti dovrebbero accettarla senza andare a protestare. Dopo Rostagno a Trapani, ma anche altrove, la vituperata globalizzazione purtroppo è anche giornalistica, e ripetiamo una nostra antica convinzione e cioè che il bavaglio tanti ce lo siamo messi senza avere bisogno della famosa legge bavaglio, la voce della stampa non è stata sufficiente a far si che davvero il giornalista fosse il cane da guardia della legalità pronto ad azzannare la mafia dei killer o quella delle imprese mafiose. Anzi abbiamo assistito a scene incredibili, a giornalisti che pur dinanzi all’evidenza dei fatti hanno detto, parlando del delitto Rostagno, che la pista della mafia è risultata essere quella più conveniente da battere. I cittadini è vero si sono distratti sul caso Rostagno per tanti anni, noi giornalisti abbiamo grandi responsabilità. Interroghiamoci quindi e non indigniamoci.
Teniamo gli occhi aperti e raccontiamo ogni giorno la mafia, le sue malefatte e le responsabilità dei colletti bianchi. Diciamo che bisogna ripensare l’antimafia oggi che è diventato argomento anche di chi dovrebbe essere dichiarato quantomeno moralmente colpevole, per non dire penalmente colpevole. Raccontiamo di una città, Trapani, dove una volta si diceva, e lo diceva anche un procuratore della Repubblica, oltreché diversi sindaci, non solo quello di forattiana memoria, che la mafia non esisteva, e oggi si dice che la mafia è sconfitta, battuta, che è assurdo ricondurre ogni cassaforte che si confisca a Matteo Messina Denaro, quando le sentenze dimostrano il contrario, dove l’antimafia è diventata palcoscenico che permette allo scemo di turno di venire a dire che un’altra antimafia è da combattere perché ha permesso carriere e promozioni e nessuno, pochi ricordano a questi scemi di quartiere che quell’antimafia non ha fatto promossi, ma semmai tante vittime, un nome per tutti quello del prefetto Fulvio Sodano.
Trapani è una città incredibilmente stupefacente, drogata, dove c’è un sindaco, o meglio più sindaci, che oggi dicono di volersi rivoltare contro i poteri forti e però negano la cittadinanza onoraria a Sodano, rifiutano di finanziare un documentario su Rostagno, dicendo che non è bene fare uscire una immagine negativa della città. Una frase che Rostagno pare che un giorno si sentì dire, “tanti amici anche quelli che ci vogliono bene, ci invitano ad abbassare i toni”. Ecco queste persone oggi continuano ad esserci, ma non si rendono conto che sopravvivono, noi invece vogliamo vivere come Rostagno da terapeuta e da giornalista ci ha insegnato. Fai ciò che devi accada quel che può ci ha anche insegnato Roberto Morrione. Il pubblico, ci diceva, ha sempre fame di buona informazione. Anche se colpevole a questo pubblico noi sappiamo di dovere rendere ogni giorno una buona informazione.
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