Codice antimafia,a rischio i beni confiscati
Trent’anni dopo l’approvazione della legge Rognoni-La Torre (13 settembre 1982 n. 646), avvenuta solo dopo l’assassinio del suo proponente in data 30 maggio 1982, vi è ampia condivisione sull’importanza del contrasto patrimoniale alle mafie per gli effetti devastanti che i sequestri e le confische producono sulle organizzazioni criminali. Minore attenzione, come conferma la vicenda del cd. Codice antimafia, si registra sul valore aggiunto che deriva dall’utilizzo per fini sociali dei beni confiscati, fortemente voluto da Libera che, nel 1996, raccolse oltre un milione di firme imponendo l’approvazione della legge 109/1996.
Chi opera nell’antimafia istituzionale o nell’antimafia sociale registra quotidianamente il danno materiale e d’immagine prodotto ad appartenenti ad organizzazioni di tipo mafioso dal sequestro (con l’immediata amministrazione da parte dello Stato) e dalla destinazione del bene a fini sociali, azioni che esprimono un messaggio immediatamente leggibile e di grande valore sociale: il bene acquisito realizzando efferati delitti, ove il “mafioso” ostentava la forza dell’illegalità, diviene simbolo della riaffermazione della legalità dello Stato attraverso l’utilizzo in favore della collettività.
Questo messaggio sociale e culturale potrebbe essere affievolito dal c.d. codice antimafia, richiesto da anni, invece, per agevolare l’azione di contrasto alle mafie attraverso il coordinamento delle numerose norme esistenti e l’eliminazione di incertezze interpretative. La legge 136/10, approvata all’unanimità, delega il governo alla redazione, entro il 7 settembre 2011, di un codice contenente le norme antimafia che disciplinano:
a) misure penali, anche patrimoniali (sequestro e confisca penale), applicate nel corso del processo penale finalizzato principalmente all’accertamento della responsabilità penale;
b) misure di prevenzione anche patrimoniali, (sequestro e confisca di prevenzione) applicate attraverso un procedimento semplificato da un Tribunale specializzato (che amministra i beni) anche nei confronti di persone solo indiziate (e non condannate) di appartenenza all’associazione di tipo mafioso.
Appena reso noto, nel giugno, il testo del Governo (scritto negli uffici ministeriali, senza consultare gli operatori e le associazioni del settore) sono stati evidenziati numerosi errori e omissioni e, soprattutto, una scarsa attenzione verso la funzione sociale dei beni confiscati che, proprio di recente, lo stesso Governo voleva vendere. Numerose associazioni (tra cui Libera, la CGIL, la Confindustria, L’ANM, il Centro Pio La Torre) hanno firmato un appello per un’integrale modifica del testo, eventualmente anche attraverso un congruo rinvio che consentisse opportuni approfondimenti
La commissione giustizia della Camera il 2 agosto, all’esito numerose audizioni, ha approvato all’unanimità un parere che invita il governo a rivedere l’intero codice attraverso un rinvio ovvero con interventi incisivi consistenti:
a) nell’eliminazione delle poche norme penali, che rischiano di produrre effetti negativi sulla lotta alle mafie perché scritte con superficialità e inserite solo per definire il testo come codice antimafia, perciò per mere ragioni di immagine;
b) nella riscrittura di gran parte delle norme in materia di misure di prevenzione, per eliminare gravi errori che rendono meno efficace l’azione di contrasto alle mafie e che rischiano di trasformare il giudice della prevenzione in un organo il cui compito principale consiste nel confiscare i beni per poi venderli per pagare i creditori del “mafioso”, spesso rappresentati da banche estremamente benevoli nel prestare denaro a tali soggetti.
Il Governo, con fulminea rapidità, 24 ore dopo la formulazione del parere ha comunicato di avere deciso di eliminare dal codice le norme penali e di accogliere solo una decina degli oltre 40 rilievi relativi alle misure di prevenzione. Ancora oggi (5 agosto) non è stato diffuso il testo approvato dal Governo. Va registrata con favore la scelta sullo stralcio delle norme penali che, tra l’altro, consente di non eliminare dal codice penale l’art. 416 bis (che sarebbe stata sostituita da un anonimo art. 1) che fa parte della tradizione dell’antimafia, restano invece molte preoccupazioni sulle scelte relative alle misure di prevenzione patrimoniali. La scarsa attenzione fino ad oggi dimostrata per il tema del valore sociale del riutilizzo dei beni confiscati rende concreto il rischio che il Governo corregga solo i principali errori tecnici (mancavano nel testo originario perfino l’individuazione del giudice competente e del procedimento applicabile) senza modificare, come richiesto dalla commissione parlamentare, dalle associazioni e dalle persone sentite nelle audizioni, quelle parti in cui emerge una scarsa attenzione per il sequestro e il riutilizzo dei beni.
Queste alcune delle modifiche richieste su cui si misura la volontà di non disperdere il valore sociale dei beni confiscati:
a) una più puntuale regolamentazione del sequestro per renderlo più efficace;
b) il potenziamento delle norme sull’amministrazione dei beni, in particolare delle aziende per reinserirle sul mercato dopo l’opportuna bonifica, anche attraverso l’istituzione di un fondo di sostegno alimentato dalle somme sequestrate ai mafiosi;
c) il miglioramento delle norme sulla destinazione dei beni confiscati;
d) l’eliminazione delle numerose norme che prevedono la dismissione o la vendita dei beni confiscati:
1) in tema di revoca della confisca definitiva, si prevede come regola la restituzione del bene, laddove oggi si dispone la restituzione per equivalente con una somma di denaro;
2) in tema di vendita delle partecipazioni societarie, oggi non consentita, limitandola almeno alle sole partecipazioni minoritarie (o ampiamente minoritarie) con modalità tali da garantire i livelli occupazionali. La norma prevede la vendita di quote di società confiscate anche se titolari di beni immobili o di azienda (e, dunque, la vendita di questi beni), vanificando in tali casi l’utilizzo a fini sociali degli immobili e l’affitto delle aziende anche a titolo gratuito a cooperative;
3) relative alla vendita delle quote di proprietà degli immobili, anche se maggioritarie. Si giunge a disporre la vendita anche nel caso di confisca del 90 % della proprietà (se il bene non è divisibile);
4) in tema di vendita dei beni confiscati (di qualunque natura) per pagare i creditori. La vendita delle aziende e degli immobili deve rappresentare, al più, un’ipotesi residuale ed eccezionale nel solo caso di crediti da soddisfare di entità corrispondente alla quasi totalità del valore del bene;
e) l’introduzione di norme che affrontino il problema delle ipoteche iscritte generalmente dalle banche su immobili confiscati per crediti concessi spesso con facilità ad appartenenti ad associazioni mafiose. Si legge nel Rapporto 2011 Un anno di attività dell’Agenzia nazionale che la più rilevante criticità rilevata per la destinazione dei beni confiscati è rappresentata dall’esistenza di ipoteche; al 31.12.2010 vi sono 2.944 beni immobili da destinare, di cui 1.457 con ipoteche perciò non destinati a uso sociale
Si chiede di non riconoscere alcun diritto ai titolari di ipoteche qualora costoro non dimostrino di avere rispettato nella concessione del credito le stringenti norme previste dalle leggi antiriciclaggio. Solo un’attenta vigilanza e un’azione di denuncia e di impulso di tutte le persone e assoc
iazioni sensibili ai valori fondanti per l’azione di contrasto alle mafie potrà indurre il Governo ad accoglierà le richieste ovvero, in futuro, a modificare scelte che vanno in una direzione contraria.
* magistrato
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