Confindustria, pulizia anche in Calabria
Per 140 aziende sospette il no all’iscrizione
Per mesi hanno soppesato le carte, fiutando nomi, numeri, capitale sociale, mission. Poi hanno ammonticchiato le iscrizioni su due pile diverse: da una parte gli imprenditori che sanno di fatica onesta e dall’altra quelli che puzzano di ‘ndrangheta. Il secondo mucchio, con i suoi centoquaranta nomi (o prestanome), è finito dritto dritto nel cestino. E’ tempo di pulizie di “primavera” in casa di Confindustria Calabria i cui vertici, sferzati dall’esempio siciliano e dall’accusa di silenziosa acquiescenza (e di piena responsabilità sul caso Vrenna), provano a far segnare un deciso cambio di stagione nei rapporti, troppo spesso vischiosi, tra mondo imprenditoriale e ‘ndrine. Tra economia sana ed economia criminale.
Lo slancio ideale non è troppo dissimile da quello che ha spinto il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello a dichiarare la rivolta isolana contro il pizzo (con tanto di espulsioni per chi non denuncia le richieste estorsive), non ancora attecchita a Catania a giudicare dall’esito del ballo antimafia organizzato dal teatro Bellini e disertato da un centinaio di ragazzi su “consiglio” di genitori e amici. Diverso, invece, il metodo perché, ragiona Umberto De Rose, numero uno degli imprenditori calabresi, “chi paga è sempre una vittima e l’associazione lo deve affiancare. Per le aziende colluse con la ‘ndrangheta, invece, non ci può essere posto tra noi”.
Con il nuovo codice di autoregolamentazione in una mano e l’elenco dei certificati antimafia nell’altra,dunque, gli uomini di Confindustria hanno passato in rassegna gli elenchi degli iscritti delle cinque province richiedendo, in alcuni casi, documentazione integrativa – “Anche i soci e i conviventi del titolare ci devono fornire la certificazione antimafia” – e depennando l’azienda dalla lista, in sua assenza. Un anno di lavoro al setaccio che ha chiuso il portone di Confindustria alle spalle di un centinaio di imprese nel Reggino – dove dello screening si sono occupate prefettura e Direzione distrettuale antimafia – e di una quarantina nel resto della regione. «Certo, non abbiamo uffici investigativi, in molti casi abbiamo usato il fiuto e, forse, sul piano teorico abbiamo esagerato, ma una rivisitazione degli elenchi con nuove regole era ormai necessaria”.
Resta la polemica sul caso Vrenna. L’imprenditore crotonese è stato condannato a 4 anni di reclusione nell’ambito dell’inchiesta Puma su rapporti tra politica e ‘ndrangheta. Una condanna che ha spinto Raffaele Vrenna a lasciare l’incarico di vicepresidente della Confindustria Calabria e la presidenza dell’Assindustria crotonese, oltre alla vendita di tutte le sue aziende e delle quote societarie. Confindustria Calabria ha sempre difeso Vrenna, nonostante il coinvolgimento nelle indagini e le continue sollecitazioni da parte della commissione antimafia. Adesso è Angela Napoli a riaprire la querelle. La parlamentare del Pdl accoglie con “immenso piacere” la svolta targata De Rose, ma non può non sottolineare che “forse se i provvedimenti assunti oggi da Confindustria Calabria fossero stati coerenti fin dai mesi passati, non avremmo assistito alla difesa incondizionata dell’imprenditore Vrenna”.
Se sulla questione morale la Calabria insegue, una buona notizia arriva sul fronte dell’impegno giovanile. A Catania i genitori bloccano i figli, a Lamezia i ragazzi fanno da sé: con la terza edizione del “Music against ‘ndrangheta” ritorna in piazza la rabbia giovanile contro le cosche. Il 24 ottobre musica, arte, fotografia e letteratura per dare un messaggio “pulito” anche nella Calabria delle vergogne.
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