La lunga marcia della memoria: Bovalino, 22 luglio 2008
“Ogni volta che ricordiamo, la mafia
viene sconfitta”. Con queste parole, pesanti come massi e vive come
la speranza di giustizia, Don Tonio Dell’Olio conclude il momento
di riflessione di questa giornata di marcia per ricordare le vittime
della ‘ndrangheta. Assieme ai familiari di Lollò Cartisano, il
fotografo di Bovalino sequestrato e ammazzato, e ad altre vittime
della violenza ‘ndranghetista, abbiamo ricordato e reso omaggio ad
uomini coraggiosi. Sul monte Pietra Cappa, nel cuore dell’Aspromonte,
luogo dove è stato trovato il corpo di Lollò, ci siamo stretti
attorno al dolore della famiglia Cartisano che su quella lapide ha
ricostruito il proprio percorso di vita fondata sulla riluttanza
delle logiche mafiose, sul ripudio dell’arroganza mafiosa, come
aveva insegnato loro Lollò.
Una lunga camminata che sarebbe stata
assai faticosa se non fossimo stati sospinti da una volontà
superiore di resistenza e di opposizione verso il cancro che divora
lentamente una terra tanto bella e profumata quanto dannata e marcia.
La volontà di ricordare i caduti di questa guerra tra onesti e
mafiosi ci ha portato per quegli aspri e desolati sentieri teatri di
orrendi delitti. Il coraggio di affrontare i luoghi simbolo della
‘ndrangheta nasce dall’insaziabile bisogno di giustizia che ci
portiamo dentro, un bisogno collettivo che unisce le diverse storie
di vita raccontate là, all’ombra della maestosa Pietra Cappa e
protetti dallo spirito dei dieci, cento, mille Lollò. Spiriti senza
tempo capaci di donarci l’energia di andare avanti nonostante
tutto, nonostante il vuoto.
Deborah Cartisano, figlia di Lollò, ha
saggiamente detto che nella tragica esperienza del sequestro di suo
padre lei e la sua famiglia hanno trovato nuovo senso alla vita.
Capisco il significato di tali parole. Vedo l’essenza di questa
frase nell’annuale pellegrinaggio della famiglia Cartisano sul quel
luogo di memoria che custodisce il sacrificio di Lollò. Una
camminata che fa paura all’ordine costituito mafioso il quale teme
più di ogni altra cosa il risveglio delle coscienze dall’atrofia e
dall’anestetica rassegnazione.
Ciò che ha reso speciale la giornata
del ventidue luglio, alle pendici del monolite aspromontano, è stata
la condivisione di diverse esperienze “da vittima” che ha
permesso un sostegno spontaneo tra le sofferenze soggettive di
ognuno. Vomitare il dolore per rendere partecipi anche gli estranei a
questa sofferenza, per “non piangere da soli”, come ci ha chiesto
Stefania Grasso. C’è anche Alfredo Borrelli che trova per la prima
volta il coraggio di condividere il proprio dolore. Una sofferenza
intima che viene da lontano. Era il 1982 quando suo padre,
maresciallo dei carabinieri, venne ucciso per mano della ‘ndrangheta.
Dopo tanti anni passati a parlare di lotta alla mafia nell’agone
politico finalmente nella giornata di ricordo in Aspromonte ha
trovato il coraggio di esprimere il suo personale dolore esperito. E’
stato questo il senso della tappa aspromontana della marcia della
memoria. Il dolore di tutti è diventato lo spasimo di tutti. E’ in
questo giorno di sogni e di speranze che abbiamo tracciato il
sentiero di resistenza da percorrere. Un sentiero irto e pericoloso,
una salita alla cui vetta c’è la libertà di una terra e di un
popolo. Ora più che mai è necessario sfidare quei poteri forti che
mantengono in vita una cloaca di mafiosi che da soli con le proprie
forze e con le proprie gambe non sarebbero arrivati sull’olimpo del
crimine e dell’ effimero successo.
La Lunga marcia della memoria che ha
attraversato il fortino della ‘ndrangheta sull’Aspromonte ha
scosso le anime presenti e segnato quei luoghi, per troppo tempo
simbolo di caustrofobica prigionia.
“ Gli altri anni per la
commemorazione di mio padre – ha dichiarato commossa la figlia di
Lollò – andavamo solo noi familiari, chiusi nel nostro dolore,
avvertivamo una certa cupezza. Quest’anno è stato magico perché
non eravamo soli e abbiamo potuto condividere il nostro dolore con
tutti i ragazzi che ci hanno accompagnato sulla tomba di papà”.
La condivisione della sofferenza è il
primo passo di una rinascita collettiva di una comunità distrutta
dal dolore. La sera a casa di Lollò, di fronte ad una luna
emblematica, i familiari come ogni ventidue luglio, hanno invitato
gli amici intimi per celebrare l’omelia in ricordo di Lollò. Ma
quest’anno nuova luce e rinnovata energia hanno permeato i muri
della casa voluta da Lollò e da cui è stato portato via da una
‘ndrina di Africo il 22 luglio 1993. Una messa mesta e partecipata.
Don Tonio Dell’Olio ha saputo coinvolgere credenti, non credenti e
incerti attraverso una celebrazione profondamente umana e carica di
amore per la vita, mettendo in secondo piano le formalità della
liturgia tradizionale. Il chiarore della luna che si specchiava sul
Mar Ionio e l’agave simbolo di rinascita, hanno fatto da cornice
all’incontro di preghiera in memoria di Lollò. Incontro che
quest’anno ha visto la partecipazione di altri familiari delle
vittime della ‘ndrangheta. Uniti per non dimenticare, uniti per
ricominciare e ricostruire una comunità disgregata dalla prepotenza
mafiosa.
Nino Racco, espressione artistica della
comunità bovalinese tutta e in particolare della generazione
cresciuta tra il ’70 e l’80, caro amico di Lollò e degli altri,
di Bovalino, uccisi dalla ‘ndrangheta, ha voluto sollecitare una
riflessione sulla devastazione morale e umana subita dalla comunità
in cui è nato. Dopo aver ricordato i cari amici strappati alla vita
dagli uomini del disonore, Nino Racco, ha rammentato tristemente la
rottura provocata all’interno della comunità bovalinese da questa
furia omicida. Un saccheggio di vite umane che ha sconvolto le fitte
relazioni tra le numerose famiglie storiche ed oneste di Bovalino, o
“Bubalina” come lo chiama nei suoi spettacoli teatrali. Ciò che
ha voluto sottolineare è stata la dolorosa spaccatura indotta dal
susseguirsi di eventi criminosi ad opera degli ‘ndranghetisti la
cui unica volontà era, e rimane, la dimostrazione della potenza del
piombo e degli affari su ogni forma di umana convivenza fondata sulla
solidarietà tipica di ogni piccola comunità.
L’agave per far nascere il fiore
muore. Dal suo fiore nasceranno nuove agavi, nuova vita. Coloro che
hanno incarnato il sacrificio di una comunità, come le agavi, sono
morti, ma la loro fine rappresenta l’inizio della rinascita, di
una nuova vita all’insegna del ricordo ( dal latino re- cordare-
riportare al cuore) e dell’impegno per non dimenticare chi con le
sue spore di sangue e speranza ha impollinato la terra di Calabria,
gettando la semenza dell’idea di libertà dal dominio mafioso.
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