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Da Reggio Calabria a Roma, dove nasce lo sportello unico per le mafie

Di Antonio Turri e Maria Sole Galeazzi il . Lazio

Stesso giorno, stessa ora, nemmeno si fossero dati appuntamento la
mobile di Reggio Calabria e la Dia di Napoli passano il fiume
Garigliano. Si tratta di due operazioni distinte ma con un denominatore
comune, rallentare l’avanzata dei clan sulle direttrici Reggio
Calabria, Casal di Principe e Roma. La Scacco matto parte dalla piana
di Gioia Tauro, lì nella zona di Polistena, tra gli altri, c’è anche il
feudo dei Longo. Prende invece il nome dal colore di una Jaguar
regalata a Carmine Schiavone la seconda operazione, Verde bottiglia che
ha per protagonisti i deangelisiani, costola laziale del più conosciuto
clan dei casalesi. Succede questo: la Dia e la mobile arrivano
separatamente nel basso Lazio, scattano le manette ed i sequestri per
centinaia di milioni di euro ma lo scenario resta confuso anche per i
cronisti di zona. C’è un grosso problema dovuto, in questo caso, ad una
sorta di sovrapopolamento.

E’dall’inizio degli anni ’80 che boss dai nomi altisonanti come Bardellino, Magliulo, Moccia, Alvaro, Renzivillo ed altri, insomma il gotha della criminalità organizzata del bel Paese, stabiliscono residenza ed affari nel Lazio circondando dapprima e penetrando successivamente nella stessa Capitale. Così sono arrivati all’acquisto del Caffè de Paris nella centralissima via Veneto a Roma. Quindi le operazioni ( le ultime di una lunga lista) che scattano nel basso Lazio solo due giorni fa, potevano riguardare chiunque. Troppi i clan di importazione, presenti in questa regione, troppi i personaggi locali, politici imprenditori e malavitosi che con ruoli anche da protagonista riempiono le pagine delle ordinanze emesse da quasi tutte le procure antimafia del Paese. Però nel Lazio un equilibrio c’è, una spartizione ben precisa in cui giocano un ruolo fondamentale i referenti locali, gli autoctoni, che fungono come un vero e proprio sportello unico ai clan. Ed è per questo che come nel caso Fondi o in quello dello scioglimento del consiglio comunale di Nettuno, il 416 bis viene contestato anche a cittadini laziali che nei fatti contestualizzano sul territorio una nuova realtà criminale, quella della Quinta Mafia.

E’ la nuova frontiera del malaffare e delle mafie, la coppola e la lupara sono un pittoresco ricordo da relegare a fiction, lontane, lontanissime dalla realtà. L’assetto dei clan sul territorio ricorda una fiera con tanti stand e come in ogni mercato che si rispetti si può scegliere. Ci sono i boss del cemento, i boss dei rifiuti, i boss dei centri commerciali, i boss della sanità privata che guardano al pubblico, tanto alla fine tutto fa voto. Perché l’arma non più segreta della malavita, è quella della ricerca del consenso elettorale spalmando la mafiosità su interi pezzi del tessuto sociale.

<… Le emergenze di cui sopra forniscono in primis la prova regina della piena consapevolezza in capo a tutti gli organismi della GIVAL (tanto quelli dirigenziali, come l’amministratore delegato PALERMO Francesco ed il responsabile di tutti i cantieri della società in questione, CICCARELLI Antonio, quanto quelli tecnico-operativi come il responsabile del cantiere di Polistena, CALZARETTA Gianluca ed il suo principale collaboratore GUARINI Francesco) dell’appartenenza dei LONGO ad un sodalizio ‘ndraghetistico, egemone sul territorio e della sua forza e pericolosità. Non solo, appartiene al bagaglio conoscitivo dei vari Ciccarelli, Calzaretta e Guarini anche l’organigramma all’interno della locale. Sanno benissimo gli organismi della Gival quali sono state le vicende della ndrina in argomento, quali gli assalti giudiziari, quale l’intendimento delle forze dell’ordine tendenti a braccare il Longo Vincenzo per assicurarlo alla Giustizia, quali gli organismi di vertice individuati nel Longo Vincenzo e nel Longo Domenico cl. 48 al quale, a loro dire, spettava comunque l’utlima parola ed il benestare sui deliberati del capo locale Longo Vincenzo.Eppure consapevolemente e volontariamente hanno deciso di sub-appaltare l’intero ciclo di lavorazione dell’appalto pubblico milionario conseguito a ditte e realtà imprenditoriali tutte riconducibili a soggetti appartenenti allo stesso clan, sulla base delle specifiche indicazioni di colui il quale (LONGO Vincenzo) viene esplicitamente riconosciuto, dai responsabili amministrativi e tecnici della GIVAL, come il vertice del sodalizio…>.

Queste parte delle valutazioni del gip del Tribunale di Reggio Calabria contenute nell’ordinanza di arresto e di sequestro a carico dell’ex consigliere comunale di Fondi Antonio Ciccarelli implicato insieme ad altre 40 persone nell’ambito dell’operazione Scacco Matto. Il Ciccarelli ha avuto un ruolo chiave nell’amministrazione comunale di Fondi guidata dall’allora sindaco Lugi Parisella, quella del famoso caso Fondi per cui l’allora prefetto di Latina Bruno Frattasi chiese lo scioglimento per infiltrazione mafiosa, negata dall’attuale Governo. Nato ad Itri, ha iniziato la sua carriera politica poco più che 20enne prima nelle fila della Dc entrando successivamente in Forza Italia e poi nel PdL ricoprendo ruoli politici ed amministrativi di primo piano nella città di Fondi.

Come risulta dall’ordinanza del gip, Ciccarelli è della Gival un’azienda del Lazio particolarmente attiva nel ciclo del cemento e dell’asfalto. Il ruolo primario di Ciccarelli nell’associazione mafiosa contestatagli dal Tribunale di Reggio Calabria è la dimostrazione che anche una persona nata ad Itri può mettere in piedi un sistema imprenditoriale sullo stampo delle cosche che ne sono parte integrante. E quindi parlare di infiltrazioni appare superfluo. E’ al contrario più logico ed appropriato delineare il profilo della Quinta Mafia come soggetto autonomo che entra in relazione e collaborazione con i clan . E questo, se possibile, è ancora più preoccupante.

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