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Al processo per ’ndrangheta stragista ergastolo per Graviano e Filippone

Laura Aprati il . Calabria, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Politica

Nelle settimane scorse, durante la requisitoria, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo aveva chiesto la condanna all’ergastolo per entrambi gli imputati.

Ergastolo per Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone. È il verdetto emesso al termine della camera di consiglio, iniziata stamattina, dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria a conclusione del processo ‘ndrangheta stragista.

Confermata dunque, anche in appello, la sentenza di primo grado emessa dalla Corte d’Assise nel luglio 2020. Nelle settimane scorse, durante la requisitoria, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo aveva chiesto la condanna all’ergastolo per entrambi gli imputati.

La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, presieduta da Bruno Muscolo, dopo oltre sei ore di Camera di  Consiglio, ha dunque confermato la sentenza di primo grado ritenendo Graviano e Filippone i mandanti degli attentati ai carabinieri avvenuti fra la fine del 1993 e il febbraio del 1994. Nel secondo dei tre agguati persero la vita, nei pressi di Scilla (Rc), i carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo (gli autori materiali del delitto, Consolato Villani, divenuto collaboratore di giustizia, e Giuseppe Calabrò, sono già stati condannati in via definitiva).

La sentenza  d’appello, così come quella di primo grado, avalla, dunque, l’ipotesi accusatoria portata avanti dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e basata sulla tesi di una “guerra totale” allo Stato come “decisione unitaria di ‘ndrangheta e Cosa nostra” siciliana sfociata negli attentati del 1993 a Roma, Firenze e Milano e negli attentati ai carabinieri, allo scopo di costringere lo Stato ad intervenire, in particolare, per rendere meno afflittivo il carcere duro in cambio della cessazione degli attentati.

Dieci anni di dibattimenti durante cui sono stati escussi decine di testimoni e pentiti di ‘ndrangheta e Cosa nostra (Spatuzza, Pennino, Virgilio, Fondacaro, Bruzzese, Villani e Calabrò), i quali hanno confermato le loro deposizioni, suffragate dai riscontri eseguiti dagli investigatori.

Un mosaico, quello messo insieme dal Procuratore generale d’aula Giuseppe Lombardo, che ha posto in evidenza i pericoli che hanno corso le istituzioni repubblicane, soprattutto con gli omicidi di Aldo Moro, Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e le decine di uomini e donne delle forze di polizia, falciati senza pietà.

Nelle udienze sono stati sentiti, oltre al commissario capo della Dia Michelangelo Di Stefano, diversi collaboratori di giustizia come Girolamo Bruzzese e Marcello Fondacaro. 

La Pubblica accusa ha setacciato numerose sentenze emesse dai Tribunali di Palermo, Reggio Calabria, e passato sotto la lente di ingrandimento indagini delle Procure di Catanzaro, Roma, Firenze e Milano, riuscendo così a definire “l’unitarietà del fenomeno mafioso italiano”, seppure articolato essenzialmente sulla ‘ndrangheta, su Cosa nostra e Camorra, “in grado di contare su migliaia di affiliati, anche in Europa, Australia e nelle Americhe, che è riuscito a stabilire solidi legami con ceti professionali disposti a sostenerne il disegno, a riciclare, a suggerire soluzioni, a corrompere e a uccidere pur di mantenere inalterato il proprio potere”.

Giuseppe Lombardo ha individuato nelle “famiglie” De Stefano, Piromalli e Mancuso, gli alleati dei corleonesi sulla sponda calabra che, attraverso i contatti con Giuseppe Graviano, avrebbero promosso il progetto stragista attraverso il coinvolgimento di Rocco Santo Filippone e Giuseppe Calabrò, che fu addestrato appositamente all’uso del mitragliatore Beretta M12, fucile utilizzato nei tre agguati ai carabinieri tra il 1993 e il 1994. Il collaboratore Consolato Villani ha evidenziato che all’epoca dei fatti contestati, “si andava in giro pronti a sparare contro i carabinieri ad ogni occasione, come quel giorno sull’autostrada, quando seguimmo la gazzella dell’Arma, dallo svincolo di Palmi, fino quasi a Scilla, per trovare il momento opportuno per aprire il fuoco”.

Il processo è iniziato nel 2013, a conclusione delle indagini coordinate dal Procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, che ha messo insieme tutti i tasselli che hanno contribuito a dare una verità giudiziaria su episodi sanguinosi, avvenuti in Calabria, “elementi di un unico disegno criminale – ha spesso sottolineato Giuseppe Lombardo – dentro cui hanno operato massoni deviati, pezzi dello Stato infedeli, ‘ndrangheta e Cosa nostra, estremisti della destra neofascista e arruolati della ex Gladio, la Falange armata, che non intendevano rinunciare al loro potere, messo in discussione dalla caduta del Muro di Berlino e dal vuoto politico creatosi con la crisi della cosiddetta prima Repubblica.

La sentenza doveva arrivare il 10 marzo ma proprio in quella data è stata acquisita un’intercettazione registrata dai carabinieri nell’ambito dell’inchiesta “Hybris” in cui un indagato, Francesco Adornato, ha rivelato ad un’altra persona alcuni dettagli circa una riunione avvenuta a Nicotera dove le famiglie mafiose calabresi hanno dato la loro disponibilità a Cosa nostra per partecipare alle stragi.

Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni.

“Questa sentenza grida ricorso per Cassazione. La difesa tutta continua a credere, anche dopo questa decisione, nell’innocenza di Rocco Filippone. Si augura solo che la ritardata assoluzione – perché la Cassazione non potrà mantenere questa statuizione – non arrivi troppo tardi. Abbiamo un innocente in carcere e con l’ergastolo, la lotta continuerà con maggiore e rinnovato impegno”. Così all’AdnKronos l’avvocato Guido Contestabile,  difensore, insieme all’avvocato Salvatore Staiano, di Rocco Santo Filippone.

“Aspettiamo di leggere quelli che sono i motivi di argomentazione spesi dalla Corte per confermare la sentenza di primo grado. Noi ci batteremo ancora. Per noi non è finita, la partita è in gioco. Sinceramente, a differenza del primo grado, dove mi aspettavo qualcosa di positivo, questa volta non avevo aspettative”. Così all’AdnKronos l’avvocato Giuseppe Aloisio, difensore del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano.

Fonte: Rainews, 25/03/2023

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