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Le traversate atlantiche dei sommergibili dei narcos colombiani

Piero Innocenti il . Corruzione, Criminalità, Droga, Forze dell'Ordine, SIcurezza

Ventisette anni fa sono stato testimone del primo rinvenimento, da parte della Polizia Antinarcoticos colombiana, in una piccola insenatura della baia di Santa Marta, nel nord della Colombia, di un rudimentale semisommergibile utilizzato dai narcotrafficanti per il trasporto di cocaina. Di piccole dimensioni, in grado di trasportare non più di un quintale di droga, pilotabile da una sola persona e alimentato con un motore diesel, era stato abbandonato rapidamente dopo l’avvistamento della polizia.

Lo stupore di tutti (in quel periodo svolgevo le funzioni di esperto antidroga accreditato presso l’Ambasciata italiana a Bogotà) fu grande, perché nessuno aveva ipotizzato questa ingegnosa modalità di trasferimento della cocaina verso gli Usa, costeggiando i paesi centro americani.

Con il passar degli anni le tecniche di costruzione si perfezionarono e nel 2000, alla periferia di Bogotà, in un capannone, la Polizia trovò, grazie ad una “soffiata”, in avanzata fase di allestimento con la consulenza di tecnici russi, un sommergibile lungo una ventina di metri, munito di due motori, in grado di trasportare una quindicina di tonnellate di cocaina, con un equipaggio di tre persone. Un investimento costoso, ma ampiamente ripagato dai profitti che si ricavano dal traffico di cocaina.

I “minisommergibili” hanno un telaio in legno, sono rivestiti in vetroresina o ferro con un costo che oscilla tra i 500 mila ed un milione di dollari e sono di norma di colore blu o verde scuro per una maggiore mimetizzazione durante la navigazione. Nella eventualità in cui venissero intercettati, i marinai si buttano in mare e affondano rapidamente il sommergibile aprendo apposite valvole.

Di acqua sotto i ponti ne è passata molta da quel 2000 e nel corso degli anni successivi le forze navali colombiane, statunitensi, guatemalteche, messicane e costaricensi hanno intercettato numerosi semi-sommergibili (navigano a pelo d’acqua) costruiti sempre più capienti, più affidabili, con maggiore autonomia e con adeguati strumenti tecnologici che, secondo le indagini della DEA (l’agenzia antidroga americana) trasportano ormai più del 60% della cocaina verso gli Usa. Ma non solo.

Negli ultimi giorni, il sequestro di un narcosub, lungo una quindicina di metri e abbandonato semiaffondato al largo di Villagarcia, in Galizia, ha riproposto il tema dei trasporti di ingenti quantitativi di cocaina con i semi-sommergibili direttamente dal Sudamerica all’Europa attraversando l’Oceano Atlantico.

Già nel 2006, al largo della città di Vigo, sempre in Spagna, fu recuperato, per la prima volta, un natante del genere lungo dodici metri e in grado di trasportare una tonnellata di cocaina. Un secondo ritrovamento di un sommergibile vi era stato, sempre lungo la costa spagnola, nel 2019.

La conferma, dunque, che l’attraversamento dell’Atlantico non è più un problema e non mi stupirei se, superato lo stretto di Gibilterra, si arrivasse già adesso a scaricare qualche tonnellata di “polvere bianca” lungo le coste della Corsica o della Sardegna.

Ormai la nuova rotta dell’Atlantico è stata tracciata e le organizzazioni dei narcotrafficanti sono costantemente alla ricerca di nuove modalità di trasporto della droga e di itinerari diversificati che consentano alla “merce” di arrivare a destinazione agevolmente, dopo che, negli ultimi anni in particolare, sono stati intensificati i controlli nei porti spagnoli, belgi, olandesi, tedeschi e italiani di container provenienti dal Sudamerica con sequestri significativi di cocaina (nel 2020 oltre 200 tonnellate in ambito UE, in gran parte nei porti suindicati).

L’azienda mondiale del narcotraffico continua, comunque, ad attraversare un periodo di straordinaria floridezza, con un prodotto annuo stimato di cocaina da piazzare nei mercati internazionali di almeno 1.400 tonnellate.

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