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Mafia e potere, attenzione al potenziale eversivo: siamo tutti avvertiti

Davide Mattiello il . Giustizia, Istituzioni, Mafie, Politica, Sardegna

Più delle chat di Matteo Messina Denaro dovremmo preoccuparci della latitanza di Marco Raduano e di quella cosa chiamata “riserva di violenza”, che piace molto nei momenti difficili. Il materiale giudiziario-investigativo progressivamente messo a disposizione della pubblica opinione sull’arresto di Messina Denaro rischia di attirare troppo l’attenzione in ossequio a una certa morbosa curiosità da “buco della serratura”, e questo fa passare in secondo piano fatti di estrema gravità.

E così mentre ci addentriamo nella “Dogville” di Messina Denaro, un po’ gatta morta con amiche e familiari e un po’ aspirante Rasputin, mentre ci attardiamo sulle immagini di lui che fa la spesa alla Coop e fantastichiamo su tresche e cene a base di cognac e sigari, Marco Raduano, sanguinario boss di Vieste, dopo essere fuggito dal carcere di massima sicurezza di Nuoro, dove stava scontando una pena definitiva a 19 anni per narcotraffico, ha fatto perdere le tracce.

Dalla fuga, avvenuta il 24 febbraio, sono passati più di venti giorni. Sono state aperte due inchieste (una da parte del Dap e una da parte della Procura), è stato sospeso e sostituito il direttore del carcere Francesco Dessì, ma di Raduano nemmeno un capello. C’è chi mette persino in dubbio che abbia lasciato l’isola: forse si nasconde ancora in Sardegna. Di certo una fuga dal regime di massima sicurezza (soltanto un gradino sotto il regime di 41 bis) non può riuscire soltanto per la sommatoria di negligenza, mancanza di personale, scaltrezza e fortuna.

A Vieste, Raduano è da anni protagonista di una faida che ha lasciato per terra una decina di morti e diversi feriti. Che effetti sta provocando la notizia della sua fuga rocambolesca? La vicenda Raduano fa rima con altre vicende di stampo mafioso che hanno come comun denominatore la violenza efferata: morti ammazzati a Roma, a Napoli e nel foggiano. Nella maggior parte dei casi vere e proprie esecuzioni, spesso in pieno giorno, in mezzo a decine di altre persone potenzialmente testimoni, sintomo di una spudorata sicumera che scommette, come sempre, sulla paura e quindi sulla omertà.

Alcuni episodi in particolare illuminano la spietatezza dell’ambiente criminale in cui maturano, come la morte del pr Ciccio Barbuto (al secolo Francesco Vitale), con ogni probabilità precipitato dal quinto piano di una palazzina alla Magliana nel disperato tentativo di sottrarsi ad un sequestro per debiti di droga. Intanto, oltre alla violenza, questi criminali continuano a mettere fieno in cascina, ovvero montagne di denaro frutto di affari illeciti, ma anche di infiltrazione negli appalti e della sistematica colonizzazione del gioco d’azzardo legalizzato dallo Stato (che forse si era illuso di contenere così la intraprendenza mafiosa), come ha recentemente ricordato il Procuratore di Bari Roberto Rossi. Soldi e violenza, insomma, un vecchio copione che pare tornato in auge con buona pace di coloro che negli ultimi anni hanno raccontato una mafia affarista, che preferisce il soldo al piombo.

Qualcuno potrebbe anche essere tentato di pensare (anche questo un copione già visto in tutta la sua scelleratezza) che alla fine si stanno ammazzando tra di loro e che pertanto resti basso il cosiddetto “allarme sociale”, con relativo permesso a non drammatizzare, a non alzare il livello di guardia, a non scomodare le responsabilità della politica (a Roma ancora aspettano la nomina del nuovo prefetto e il Parlamento è ancora senza Commissione antimafia. Con calma!).

Qualcuno, infine, ha anche osservato che tutto sommato, per quanto violente e rampanti, queste organizzazioni di stampo mafioso non hanno più quel potenziale eversivo raggiunto nei decenni passati dalla Cosa Nostra di Totò Riina & c., dalla ‘ndrangheta del “boia chi molla!”, dalla Nuova Camorra Organizzata di Cutolo. Ma cosa è il “potenziale eversivo”? E’ la capacità di interferire con l’esercizio della democrazia piegandolo tanto a livello locale quanto a livello nazionale. La capacità eversiva di un’organizzazione criminale passa dalla “potenza” (“potenziale” appunto) all’atto, quando trova l’alleanza con la politica, cioè con chi legittimamente prende parte all’esercizio della democrazia.

Ma, attenzione, il “potenziale eversivo” non è un attributo genetico di questa o quella organizzazione mafiosa, un attributo genetico cioè che potrebbe far dire che quelle erano mafie eversive e queste non lo sono. Sarebbe l’ennesima sciocchezza. Il “potenziale eversivo” è un attributo che sboccia come un fiore a primavera quando pezzi di politica (alias potere economico, alias burocratico) si convincono di non poter più raggiungere i propri obiettivi senza “forzare la mano” a colleghi, avversari o cittadini tutti. E quando bisogna “forzare la mano” cosa si va a cercare? Qualcuno capace di fare paura (come non sia “mafia” quella di Carminati e sodali per me resta un mistero), qualcuno che conservi intatta, in tempi di realtà virtuale e social network, quella “riserva di violenza” tremenda e spietata che fa sparare in faccia a un ragazzo di neanche vent’anni, come è successo ad Alatri.

Insomma, signori e signore, tutti avvertiti: la bomba ha già il suo contenuto esplosivo (la “riserva di violenza”), manca ancora (voglio sperare!) la spoletta di innesco (cioè pezzi di potere lecito affamati e affannati), ma è bene non aspettare che a qualcuno torni la voglia di prendersi la scena del potere, senza la noia della Costituzione.

Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello, 21/03/2023

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