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Brevi note sul regime differenziato dell’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario

Marcello Bortolato * il . Criminalità, Diritti, Mafie, SIcurezza, Società

La necessità di rafforzare la funzione custodiale del carcere nei confronti dei soggetti appartenenti ad organizzazioni criminali di speciale pericolosità ha prodotto uno strumento di estremo rigore che determina una forte compressione di fondamentali diritti della persona.

Presupposti e finalità

Mai come nello speciale regime detentivo di cui all’art. 41-bis co. 2° della legge 26 luglio 1975 n. 354 (d’ora in poi “o.p.”) appare particolarmente difficile la composizione del conflitto tra esigenze preventive e tutela dei diritti individuali.

La necessità di rafforzare la funzione custodiale del carcere nei confronti dei soggetti appartenenti ad organizzazioni criminali di speciale pericolosità ha prodotto uno strumento di estremo rigore che determina una forte compressione di fondamentali diritti della persona, imperniato com’è sulla drastica riduzione dei contatti con il mondo esterno. Il presupposto di questo inasprimento è dato dalla constatazione che la detenzione ordinaria non spezza affatto il vincolo associativo e la persistenza di questo vincolo costituisce di per sé un pericolo per la sicurezza pubblica. Che i soggetti posizionati ai vertici delle associazioni mafiose continuino di regola ad esercitare durante lo stato di detenzione le prerogative connesse al loro ruolo è un dato di fatto in qualche modo acquisito nell’ordinamento.

Tuttavia, l’estrema afflittività di tale strumento, discendente dalla severità delle restrizioni ma anche dalla durata delle stesse, suscita non pochi interrogativi sul limite della tollerabile compressione di diritti fondamentali, posto che il vigente ordinamento costituzionale si basa sul primato della persona umana e dei suoi diritti inviolabili, il riconoscimento e la garanzia dei quali l’art. 2 Cost. pone tra i principi fondamentali della Repubblica.

L’importanza degli interessi coinvolti spesso ha impedito un dibattito sereno sull’utilità di questa misura e sulla sua compatibilità con i principi costituzionali, essendo difficile parlare del regime ex art. 41-bis o.p. senza schierarsi “a favore” o “contro”, ma il punto di partenza non può che essere che tale regime rappresenta un quid pluris rispetto alla detenzione ordinaria che ne modifica in senso sostanziale la natura. Detto questo, lo scopo delle presenti note è quello di evidenziare, in maniera sintetica ed obbiettiva, senza schierarsi “a favore” o “contro” una misura con cui nel presente si deve continuare a fare i conti, gli aspetti di maggiore contrasto tra quelle due antitetiche esigenze.

Lo scopo del regime, si è detto, è quello di rendere estremamente difficoltoso mantenere, se non a recidere, i legami di chi vi è sottoposto con i gruppi criminali sul territorio. L’origine di questo regime differenziato in peius risale alla drammatica stagione delle stragi di mafia: il “41-bis” è stato infatti istituito con d.l. 306/1992 conv. l. 356/1992. Sono intervenute poi alcune modifiche sostanziali: la prima volta con la legge 23 dicembre 2002 n. 279, che ha imposto l’istituto come misura non più temporanea ed ha ampliato il catalogo dei reati ‘ostativi’, la seconda volta con la  legge 15 luglio 2009 n. 94 con l’intento, palese, di inasprire il regime ed ovviare ad alcune distorsioni applicative, introducendo un elenco puntuale di limitazioni al trattamento per chi vi sia sottoposto, alcune delle quali sono state poi dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte costituzionale.

La finalità perseguita dal legislatore era naturalmente quella di una risposta emergenziale ma con l’intervento del 2002, preso atto che un’emergenza che dura da 10 anni non può più definirsi tale, ha permesso all’istituto di traghettare dallo status della eccezionalità alle sponde della definitiva istituzionalizzazione.

Il “giro di vite” del 2009, epoca dei tanti “pacchetti sicurezza”, ha ulteriormente inasprito il regime con disposizioni volte ad azzerare le interpretazioni giurisprudenziali più garantiste e ad uniformare il contenuto del decreto ministeriale per tutti i detenuti che ne sono colpiti. Si è affermato in dottrina che – dopo la riforma del 2009 – le ragioni giustificatrici, essendo naturalmente estranee al carcere (lo scopo dell’inasprimento non è di natura disciplinare né è dettato da ragioni di sicurezza interna o di ristabilimento dell’ordine), traggono perlopiù spunto da due finalità: tranquillizzare l’opinione pubblica da un lato e, dall’altro, sollecitare condotte collaborative (come poi anche tutto lo svilupparsi del tema del cd ‘ergastolo ostativo’ ha dimostrato).

Per l’applicazione del regime in questione si è infine perpetuata la prassi di ricorrere a circolari anziché alla legge, l’ultima delle quali (la Circolare DAP 2 ottobre 2017 n. 3676/6126), fissa la disciplina oggi ancora in vigore.

I destinatari

Il provvedimento sospensivo è individualizzato posto che colpisce singoli detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’art. 4-bis o.p. o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica od eversiva.

Il primo dato è di tipo quantitativo: al 31.10.22 i detenuti (imputati e condannati) sottoposti al regime erano 728. Si è assistita ad una lenta e progressiva crescita se nel 1993 essi erano 473 (577 nel 2005). Se il dato viene messo in relazione con quello del numero annuale dei provvedimenti ministeriali di applicazione (55 nel 1993, 9 nel 2015 e 16 nel 2022), essendo il numero delle revoche significativamente inferiore rispetto al numero dei nuovi ingressi, il risultato è quello di una lenta e continua crescita della popolazione detenuta sottoposta a detto regime. Tra i 728 detenuti al 41-bis al 31.10.22, 242 vi si trovavano per legami con la camorra, 195 per legami con la ‘Ndrangheta e 232 per legami con ‘Cosa nostra’. Altri 55 detenuti erano in carcere per reati legati ad altre associazioni mafiose, mentre in quattro per reati di terrorismo interno e internazionale. Le donne erano 12.

Benché dunque la progressiva estensione del novero dei reati compresi nell’art. 4-bis o.p. abbia determinato un allargamento della platea dei possibili destinatari del decreto ministeriale, lo strumento viene ancora utilizzato essenzialmente per i delitti di stampo mafioso e di terrorismo ed eversione dell’ordinamento democratico.

Ove l’interessato si trovi ristretto in relazione a più titoli, alcuni dei quali ostativi, non trova applicazione, per espressa deroga normativa (introdotta nel 2009), il principio giurisprudenziale dello “scioglimento del cumulo” e dunque il regime può rimanere in vigore anche se sia stata espiata la pena o sia terminata la misura cautelare legata ai delitti compresi nell’art. 4-bis co. 1°, in forza del principio di unicità della pena sancito dall’art. 76 c.p..

Il principio giurisprudenziale contrario viceversa si fonda sulla constatazione che se il condannato ha separatamente espiato la pena per uno dei delitti del primo comma dell’art. 4-bis o.p. riacquista la libertà e il problema della sua pericolosità sociale dovrebbe essere affrontato con altri strumenti; viceversa, nel caso di cumulo, quella condanna – benché espiata – continua a pesare comportando la sottoposizione ad un rigido regime che altrimenti non subirebbe. Paradossalmente egli potrebbe in astratto accedere ai benefici (poiché a questi fini viceversa opererebbe lo “scioglimento”) ma invece il regime differenziato perdura. Il recente intervento normativo di cui al d.l. 31 ottobre 2022 n. 162 conv. nella l. 30 dicembre 2022 n. 199 (v. infra) ha peraltro sanato tale distonia.

Il criterio soggettivo di individuazione e di selezione dei destinatari (introdotto nel 2002) è dato dagli «elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con l’associazione criminale». Non è sufficiente dunque il mero titolo di reato ma è necessaria la prova della persistenza di collegamenti.

Infine, il regime di applica anche agli imputati avendo la Corte costituzionale chiarito (sentt. 97/376 e 21/197) che le limitazioni imposte non possono avere natura e contenuto di anticipazione della sanzione penale, bensì solo di cautela, e dunque non sono in contrasto con la presunzione di innocenza, nonché agli internati, cioè ai soggetti sottoposti a misura di sicurezza detentiva (casa lavoro e colonia agricola). Peraltro il numero degli internati sottoposti al regime è molto contenuto (attualmente 5).

La prima applicazione del decreto è prevista per quattro anni, seguita da successive eventuali proroghe di due anni alla volta. Il decreto ministeriale di proroga deve essere motivato sulla base di elementi attuali, quando risulti che la capacità di mantenere contatti con l’organizzazione di ap­partenenza non è venuta meno, tenuto conto del profilo criminale, della posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione e della eventuale sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, oltre che dalle informazioni sulla pericolosità sociale pervenute dalle forze dell’ordine sul territorio.

Anche la perdurante operatività del sodalizio criminale è significativa, come il tenore di vita dei familiari, che può essere vagliato in rapporto alla sussistenza di lecite fonti di reddito come sintomatico di un permanente sostegno offerto dal gruppo criminale o addirittura di una prosecuzione degli affari illeciti con il clan di appartenenza. Infine, gli esiti del trattamento penitenziario, un elemento che in concreto incontra per i detenuti sottoposti al regime differenziato in peius il limite di una forte compressione degli spazi e dei tempi destinati al confronto con gli operatori ed alle attività risocializzanti. La legge precisa in ogni caso che il mero decorso del tempo è elemento da considerarsi di per sé neutro rispetto alla capacità del detenuto di mantenere contatti con l’associazione di riferimento o per dimostrare che la stessa non è più operativa.

Oggetto della sospensione e contenuto del regime

Il provvedimento ministeriale comporta la sospensione in tutto o in parte delle regole del trattamento e degli istituti previsti dalla legge penitenziaria che possono porsi in concreto in contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza. La sospensione comporta le restrizioni “necessarie” per il soddisfacimento delle predette esigenze e per impedire i collegamenti con l’associazione criminale di appartenenza. La Corte cost. ha da tempo sottolineato l’esigenza di un rapporto di congruità che deve sussistere tra misure adottate e le necessità che motivano il provvedimento, posto che in assenza le misure imposte acquisterebbero un significato diverso divenendo ingiustificate deroghe all’ordinario regime carcerario con una portata meramente afflittiva.

Ciò detto, sul contenuto delle limitazioni il legislatore è tuttavia intervenuto nel 2009 sul testo del­l’art. 41-bis prevedendo un elenco dettagliato. Si dispone che i detenuti sottoposti a questo regime differenziato vengano ospitati in un circuito penitenziario di sezioni o istituti, preferibilmente ubicati in zone insulari, logisticamente isolati dal resto della struttura, e siano nei loro confronti adottate misure di elevata sicurezza interna ed esterna con lo scopo, «principalmente», di prevenire contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, contrasti con elementi di organizzazioni contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione criminale ovvero ad altre ad essa alleate.

Si tratta di misure non definite dalla legge, ma approntate dall’amministrazione penitenziaria che è molte volte intervenuta ad elaborare un complesso di limitazioni, di fatto ulteriori rispetto a quelle puntualmente previste dal legislatore, successivamente confluite in una circolare del 2017 concernente l’organizzazione del circuito detentivo speciale.

Va immediatamente posta l’attenzione sull’avverbio «principalmente» contenuto nella lett. a) del comma 2-quater circa le misure di «elevata sicurezza» che ineriscono alla sospensione del trattamento: esso attribuisce alla formulazione una genericità ampia, idonea a vanificare l’obbiettivo perseguito dal legislatore di enumerare puntualmente le limitazioni possibili alle ordinarie regole di trattamento, presentando un riferimento alla necessità di prevenire contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza come obbiettivo soltanto “principale” e non “esclusivo” (come dovrebbe essere) della normativa speciale ed è proprio questo che ha autorizzato nel tempo restrizioni che si sono rivelate esclusivamente vessatorie, non giustificate da reali esigenze di sicurezza.

Si tratta di una vera e propria “norma in bianco” che consente all’amministrazione penitenziaria di adottare provvedimenti diversi da quelli indicati nello stesso co. 2-quater e che rende pertanto l’elenco introdotto nel 2009 soltanto apparentemente “a numero chiuso”.

Le lettere che seguono prevedono poi che il sottoposto al regime possa svolgere un solo colloquio al mese con i familiari (coniuge, figli, genitori fratelli) e conviventi all’interno di locali attrezzati per evitare il passaggio di oggetti (ordinariamente con vetri a tutta altezza e microfoni) sostituito, dopo i primi sei mesi di sottoposizione, da un’eventuale telefonata della durata di dieci minuti, ove il colloquio visivo non avvenga, e comunque in modo che siano rispettati intervalli di tempo regolari (per evitare il pericolo di passaggi informativi più rapidi).

A seguito dell’evoluzione giurisprudenziale di merito e di legittimità durante l’emergenza pandemica, è stato consentito anche al detenuto in regime ex art. 41-bis o.p. di avere colloqui visivi con i familiari, in situazioni di impossibilità o, comunque, di gravissima difficoltà ad effettuare i colloqui in presenza, mediante forme di comunicazione audiovisiva controllabili a distanza. E’ consentito (dalla Circolare) il colloquio senza vetro divisorio solo con i minori di anni 12 (del padre o del nonno) ma con gli altri familiari collocati al di là del vetro divisorio per tutta la durata del colloquio. Per via giurisprudenziale si è consentito al detenuto l’acquisto al sopravvitto di dolci e giocattoli di modico valore da regalare al minore durante il colloquio senza vetro divisorio. I colloqui, le telefonate e la corrispondenza telefonica sono sottoposti a forme di controllo, che vengono autorizzate dall’autorità giudiziaria ed in particolare, per quanto concerne il controllo sulla corrispondenza e la stampa, secondo quanto previsto nell’art. 18-ter o.p..

Senza limiti e non sottoposti ad ascolto e registrazione sono i colloqui e le conversazioni telefoniche con i difensori a seguito anche di un intervento della Corte cost. del 2013 e, per quanto riguarda la corrispondenza con gli stessi (che non può essere sottoposta a censura), a seguito di una pronuncia del 2022 che ha riconosciuto il valore intangibile del diritto di difesa. I colloqui con i terzi sono esclusi salvo casi eccezionali determinati dal Direttore.

Sono limitate le somme, i beni e gli oggetti ricevibili dall’esterno e l’acquisto al sopravvitto, al fine di evitare che attraverso tali modalità il detenuto possa mantenere, anche all’interno del carcere, il “prestigio criminale” ad es. attraverso la ricezione di abiti firmati o generi di lusso, divieto che si è spinto anche a vietare la somministrazione di latte caldo con la prima colazione o una dieta vegetariana. Per la stessa ragione, i sottoposti al regime sono esclusi dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati.

La permanenza all’aria aperta non può durare per più di due ore al giorno (a differenza dei detenuti comuni ai quali l’art. 10 o.p. riconosce 4 ore al giorno di permanenza all’aria) e deve svolgersi in gruppi non superiori alle quattro persone (c.d. “gruppo di socialità”), che vengono scelte dall’amministrazione tra quelle appartenenti a formazioni criminali che non hanno cointeressenze e che provengono da aree geografiche diverse. Devono essere impediti inoltre ogni contatto e lo scambio di oggetti con detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità.

La disposizione normativa era stata integrata, ancora una volta dalla l. 94/2009, anche con il divieto di cuocere cibi, ma la Corte costituzionale nel 2018 è intervenuta a statuire l’illegittimità della limitazione, in quanto inconferente allo scopo perseguito di recidere i collegamenti degli appartenenti con ruolo di spicco a sodalizi criminali con i sodali del clan ancora operativi sul territorio, e perciò da considerarsi inutilmente vessatoria, come meramente vessatorio è stato ritenuto dalla stessa Corte (2020) il divieto di scambio di generi e oggetti tra detenuti del medesimo gruppo di socialità, cioè di soggetti che già godono di spazi di socialità condivisi, e dunque di momenti in cui possono parlare liberamente tra loro (residua peraltro in capo all’amministrazione la facoltà di predisporre eventuali limitazioni rispetto a singoli oggetti che possano costituire veicolo di messaggi).

La “norma in bianco” di cui alla lettera a) del co. 2-quater, che consente all’amministrazione penitenziaria di adottare provvedimenti diversi da quelli indicati nello stesso co. 2-quater, è all’origine di ulteriori restrizioni che non trovano fondamento né nella legge penitenziaria né nel regolamento, come ad es. le cc.dd. “aree riservate”, separate da quelle in cui sono reclusi i destinatari del regime in esame e destinate alle figure apicali dell’organizzazione criminale.

Esse non esistono nella “cartografia giuridica” ma solo nei fatti, non essendo in alcun modo disciplinate né dalla legge, né dai regolamenti né dalle circolari. Si tratta di strutture a sicurezza rinforzata costituite per lo più da celle singole, un passeggio ed una saletta per la socialità e la principale caratteristica è che il boss che vi è ristretto è in compagnia di uno o due soggetti (denominati in gergo “dame di compagnia”), scelti fra detenuti sottoposti allo stesso regime differenziato ma appartenenti a gruppi diversi e di livello inferiore, lì collocati al solo scopo di consentire un minimo di socialità.

In queste aree i gruppi sono comunque composti non da 4 soggetti ma da due o tre. Ulteriore restrizione si è avuta anche in relazione al divieto di vedere canali televisivi al fine di impedire che, attraverso messaggi di testo a scorrimento inviati dai telespettatori, giungano all’interessato indebite comunicazioni (peraltro con recente provvedimento del DAP si è consentita la visione dei canali TV del digitale terrestre), o la videosorveglianza anche in bagno (ritenuta legittima dalla Corte di cassazione se circoscritta all’ingresso del locale dei servizi igienici e con immagini non “a fuoco”) o, ancora, l’obbligo di far assistere un agente di Polizia penitenziaria alle visite mediche (ritenuto legittimo da alcune pronunce di merito solo allorché la visione sia limitata allo spioncino della sala visite dell’infermeria con esclusione dell’ascolto della conversazione del medico con il paziente).

Infine, nella casistica della giurisprudenza della magistratura di sorveglianza (tenuta a verificare attraverso lo strumento del reclamo giurisdizionale di cui all’art. 35-bis o.p. la congruità dei contenuti del decreto ministeriale e la prassi amministrativa in rapporto ai fini perseguiti dal regime e alla eventuale violazione di diritti soggettivi del detenuto) si registrano pronunce in tema di perquisizioni «mediante denudamento con flessione», privazione dello specchio e assegnazione a cella “liscia”, cioè priva di arredo.

Vi è infine da osservare che le limitazioni indicate non incidono sugli istituti trattamentali, nel rispetto dell’insegnamento della Corte cost. secondo cui non possono essere sospese o soppresse le attività di osservazione e di trattamento individualizzato ex art. 13 o.p. né le attività culturali, ricreative, sportive o di altro genere volte alla rieducazione, anche se è un dato di fatto che tali attività sono pressoché inesistenti per detti detenuti posto che esse dovrebbero essere organizzate con modalità idonee ad impedire quei contatti e quei collegamenti i cui rischi il provvedimento ministeriale tende ad evitare.

Strettamente collegata a questo tema è la riscrittura, intervenuta recentemente con d.l. 31 ottobre 2022 n. 162 convertito nella l. 30 dicembre 2022 n. 199, del comma 2 dell’art. 4-bis o.p. secondo cui i benefici penitenziari «possono essere concessi al detenuto o internato sottoposto a regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41-bis solamente dopo che il provvedimento applicativo di tale regime speciale sia stato revocato o non prorogato», con ciò inserendo nel nuovo art. 4-bis un chiarimento circa l’incompatibilità della sottoposizione al regime differenziato con qualsiasi beneficio penitenziario.

Sebbene in fatto la sottoposizione al regime finisca per rendere logicamente improbabile l’accoglimento di un’istanza di permesso premio o di misura alternativa, che sottintenderebbe il venir meno della pericolosità sociale, tuttavia in diritto l’inammissibilità di una simile istanza viene oggi collegata proprio alla sottoposizione al regime differenziato e dunque ad un atto amministrativo e non ad un provvedimento giurisdizionale e dunque sottratta alle garanzie costituzionali dell’art. 13 co. 2 Cost..

Peraltro, il sindacato del Tribunale di sorveglianza di Roma è oggi limitato, per espressa previsione normativa (2009), ai presupposti dell’imposizione del regime e non alla congruità della sospensione delle regole di trattamento rispetto ai fini perseguiti (mentre la verifica nel caso concreto che la limitazione, pur prevista dalla legge, non sia in contrasto con i diritti fondamentali è rimessa alla giurisdizione “diffusa” dei magistrati di sorveglianza del luogo di detenzione).

Il sistema, così “ricostruito” da numerose pronunce della Corte costituzionale, estende dunque la valutazione in concreto anche al contenuto delle singole limitazioni alle regole di trattamento e della loro congruità alle finalità perseguite dal regime differenziato, posto che con tale regime «non possono disporsi misure che per il loro contenuto non siano riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l’ordine e la sicurezza, o siano palesemente inidonee o incongrue rispetto alle esigenze di ordine e di sicurezza che motivano il provvedimento». Tali misure infatti «non risponderebbero più al fine per il quale la legge consente che esse siano adottate, ma acquisterebbero un significato diverso, divenendo ingiustificate deroghe all’ordinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva non riconducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale» (Corte cost., 18 ottobre 1996, n. 351).

Giova sul punto ricordare, in conclusione,  in particolare circa la durata e la periodica rivalutazione della necessità del regime oltre che in concreto circa la mera afflittività di singole limitazioni, i periodici Rapporti del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (C.P.T.) e, a livello nazionale, le raccomandazioni e proposte di modifica pervenute dalla Relazione di accompagnamento alle proposte del Tavolo II degli Stati generali dell’esecuzione penale (aprile 2016), dal Rapporto sul regime detentivo speciale della Commissione straordinaria per la tutela dei diritti umani del Senato (aprile 2016), dai rapporti del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (cfr., tra gli altri, il Rapporto tematico sul regime detentivo speciale ex articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario 2016-2018) e, da ultimo, le proposte provenienti dalla Commissione per l’innovazione del sistema penitenziario presieduta dal prof. Marco Ruotolo di cui al D.M. 13 settembre 2021.

Bibliografia

Della Bella A., Il “carcere duro” tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali, Giuffré Editore, 2016

Cesaris L., Commento all’art. 41-bis in DELLA CASA F. – GIOSTRA G., Ordinamento penitenziario commentato, Wolters Kluwer-Cedam, 2019

Gianfilippi F., Cap. V, “Organizzazione penitenziaria, ordine e sicurezza”, §§ 7-7.3, in Manuale di diritto penitenziario, G. Giappichelli Editore, 2021

* Presidente del Tribunale di Sorveglianza Firenze

Fonte: Questione Giustizia, 27/02/2023

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