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Ma ai mafiosi irriducibili conviene collaborare?

Luca Tescaroli * il . Diritti, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Memoria

È ancora conveniente oggi per i mafiosi irriducibili collaborare con la giustizia?

Il calcolo utilitaristico, salvi i rari casi di pentimento autentico, governa le scelte del mafioso. L’accesso alla collaborazione viene incentivato, in maniera consistente, dal regime normativo differenziale esistente per chi collabora e per l’irriducibile, dall’efficienza del sistema della protezione e dall’impegno nel contrasto al crimine organizzato nelle diverse forme (in fase investigativa e processuale), che rivelano la concreta scelta di politica criminale e la serietà dell’impegno dello Stato.

Tanto più è marcata la differenza nel regime normativo tra le due posizioni e tanto più è efficiente il servizio della protezione tanto maggiore sarà la percezione da parte del mafioso della volontà statuale di agevolare la scelta collaborativa e conseguentemente il numero delle vocazioni collaborative sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo.

Naturalmente, il fenomeno della collaborazione contiene anche insidie pericolose.

La regolamentazione, introdotta il 15 gennaio 1991, successivamente affinatasi, con la previsione di criteri più rigorosi, stabiliti per superare le criticità che sono affiorate nel corso del tempo, ha previsto l’applicazione di speciali misure di protezione – che offrono a chi decide di intraprendere la via della collaborazione un’efficace tutela contro le possibili vendette da parte dei loro complici originari – e di assistenza, anche economica, e l’accesso agevolato ai benefici penitenziari – con la possibilità, fra l’altro, di scontare le pene anche fuori dal carcere con un regime agevolato.

Il complesso della normativa in vigore continua a rendere vantaggioso il percorso collaborativo per coloro che lo vogliano fare seriamente e con lealtà e che forniscano dichiarazioni caratterizzate da intrinseca attendibilità, novità, completezza o notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio, anche a seguito della recente disciplina inerente all’ergastolo ostativo.

I benefici penitenziari per i collaboratori di giustizia – permessi premio, lavoro esterno al carcere, liberazione condizionale, misure alternative alla detenzione (detenzione domiciliare, semilibertà, affidamento in prova) – costituiscono un aspetto centrale della normativa premiale e rappresentano un incentivo fondamentale nelle scelte di politica giudiziaria in tema di contrasto al crimine mafioso e terroristico-eversivo.

È fissato per il collaboratore di giustizia il limite di dieci anni di pena espiata per accedere (che può essere ridotto – in virtù dell’applicazione della libertà anticipata di 45 giorni di pena ogni singolo semestre di pena espiata – di quasi due anni e mezzo) alla liberazione condizionale, alla detenzione domiciliare e al lavoro esterno e nessun limite è previsto per fruire dei permessi premio, del lavoro esterno al carcere e della semilibertà.

A fronte di tale disciplina premiale, per converso, per l’irriducibile sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario (c. d. carcere duro, strumento indispensabile per impedire che i boss continuino a gestire il loro potere dal carcere, mantenendo i contatti con l’associazione di appartenenza) è inibito l’accesso a tali benefici.

Se non è sottoposto a tale regime, non collabora per scelta ed è condannato per reati di mafia e di terrorismo, il mafioso irriducibile è previsto che possa accedervi, ma dopo aver espiato quantitativi di pena ben più elevati rispetto a quelli previsti per il collaboratore di giustizia.

Può, infatti, accedere alla liberazione condizionale dopo aver espiato almeno due terzi di pena temporanea o almeno trent’anni di pena (sempre riducibile a seguito della liberazione anticipata e ciò vale anche per gli altri termini che seguono) quando vi è stata condanna all’ergastolo, termine che, in virtù dell’applicazione della riduzione di pena della liberazione anticipata può ridursi a 23 anni circa; al lavoro esterno dopo l’espiazione di almeno un terzo di pena e, comunque, di non oltre cinque anni e, in caso di condanna all’ergastolo, dopo l’espiazione di dieci anni di pena; ai permessi premio dopo l’espiazione di metà della pena e, comunque, di non oltre dieci anni; alla semilibertà dopo l’espiazione di due terzi della pena e di venti anni in caso di condanna all’ergastolo; all’affidamento in prova negli ultimi quattro anni di esecuzione della pena in caso di pene temporanee.

Costoro potranno beneficiarne, a seguito di specifica istruttoria, sempre che dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza e si possa escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti.

La detenzione domiciliare è per gli irriducibili inammissibile per la tipologia di reati in questione. Il condannato può fruire solo del differimento della pena nelle forme della detenzione domiciliare, nei casi di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: donna incinta, madre di infante di età inferiore ad anni uno, persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria (ai sensi degli artt. 146 c. p.) o di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena: se è presentata domanda di grazia, per chi si trova in condizione di grave infermità fisica, madre di prole di età inferiore a tre anni (ex art. 147 del c. p.).

* Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Firenze

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 08/02/2023

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