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Il caso Cospito non può delegittimare il 41 bis

Gian Carlo Caselli il . Costituzione, Giustizia, Mafie, Politica, SIcurezza

Il caso Cospito sta esasperando le divisioni della politica, sta infiammando le piazze, sta scatenando forme pericolose di violenza anche internazionale. I rischi sono tanti e diversi. In gioco c’è pure il 41 bis, che spesso certe polemiche associano inappellabilmente a parole pesanti come violenza, barbarie, vendetta, tortura, incostituzionalità.

Premesso che il “doppio binario”, di cui il 41 bis è parte, si raccorda alla “specificità” della mafia rispetto a ogni altra forma di criminalità (Consulta dixit), specificità che può rendere ragionevole e quindi non incostituzionale un diverso trattamento; proviamo a ricordare come stanno le cose.

L’ossessione dei mafiosi contro il 41 bis (in accoppiata con la legge sui “pentiti”) è una realtà storica consolidata. Essi infatti sanno bene che si tratta di un siluro sempre pronto a colpire sotto la linea di galleggiamento la loro organizzazione. Lo sapeva Totò Riina, che si diceva pronto a “giocarsi i denti” (a fare di tutto) pur di sbarazzarsi del micidiale pericolo.

Lo sanno i mafiosi ancora in libertà che testualmente affermano “i nostri in carcere li dobbiamo cercare in qualunque maniera di accontentarli, di portagli il più rispetto possibile” (e sì, caro Nordio, i mafiosi parlano e le intercettazioni servono…). Lo sanno e lo dicono i mafiosi detenuti, per esempio i Ganci, i fratelli Graviano, Pippo Calò e altri di rango criminale elevato che, nel processo “Borsellino ter”, comunicano di aver intrapreso uno sciopero della fame (di cui non si avranno ulteriori notizie) per protesta contro le condizioni disumane del regime carcerario cui sono sottoposti.

Oppure Leoluca Bagarella: in videoconferenza dal carcere de L’Aquila legge una lunga lettera a nome di tutti i detenuti al 41 bis, “stanchi di essere umiliati, strumentalizzati, vessati”. E l’ossessione continua anche oggi: i mafiosi detenuti a Sassari esortano Cospito a continuare la sua protesta “perché pezzo dopo pezzo si arriverà al risultato”.

E se non basta per ipotizzare una vera alleanza tra mafiosi e anarchici, si può ben sostenere che il caso Cospito è diventato un piatto sporco nel quale molti hanno messo o possono mettere le mani per trarne vantaggio. I mafiosi in primissima linea.

E poi accusare il 41 bis di tortura etc. a mio avviso è insensato. È carcere duro nel senso di giustamente severo nei confronti dei mafiosi detenuti, i quali prima del 41 bis vivevano ad aragoste e champagne (chi ne dubita per favore si informi!). E non era una questione… gastronomica, ma ben altro. Era simbolo e sigillo dello strapotere dei mafiosi, che nel carcere facevano il brutto e il cattivo tempo a loro piacere; della sopraffazione dei mafiosi sullo Stato, incapace di impedire loro di comandare anche in carcere e nel contempo di continuare a esercitare il loro dominio criminale fuori, in attesa di una perizia medico-legale compiacente o dell’immancabile (allora) assoluzione per insufficienza di prove.

Così la mafia era sempre più forte dello Stato e la battaglia contro la mafia persa prima ancora di cominciare.

In ogni caso, che tortura è quella di un detenuto che scrive “solo per me spendo venti milioni al mese di avvocato, vestirmi, libretta e colloqui”? Si tratta di Giuseppe Graviano in una delle lettere scambiate con Antonino Mangano, capo del mandamento di Brancaccio dopo la sua cattura. Si dirà, vabbè ma gli altri? Sempre Graviano nelle sue lettere chiede “perché ai carcerati gli è stato diminuito il mensile dopo il mio arresto?”.

E non c’è solo il “mensile”. Ancora Graviano: “Ci sono venti carcerati che sono rovinati processualmente e non hanno mezzi economici per affrontare la situazione; l’impegno è di darci dai tre a quattro appartamenti ciascuno per avere un futuro economico sicuro sia loro che le loro famiglie”. Millanterie? No di certo, perché Graviano aggiunge: “I costruttori debbono uscire questi appartamenti, se qualcuno babbìa gliela debbo fare pagare, chi approfitta dei carcerati è un infame”.

Uno spaccato che fa a pugni con le disinvolte accuse di tortura. Generalizzarlo sarebbe sbagliato, ma ignorarlo lo è ancora di più.

Infine, guai se qualcuno dimenticasse la genesi del 41 bis, approvato dopo le stragi del 1992 e perciò praticamente scritto col sangue di Falcone, di Borsellino e di quanti hanno perso la vita con loro a Capaci e in via d’Amelio. Il nostro non sarebbe un Paese serio.

E allora, che Cospito (è una sua scelta) faccia lo sciopero della fame; che gli sia assicurata un’adeguata assistenza sanitaria; che sia risolto l’intreccio di ricorsi e contro-ricorsi della sua vicenda carceraria.

Ma che Cospito non si allarghi a fare l’influencer per l’abolizione del 41 bis in favore dei mafiosi. E nessun altro con lui.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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Utilizzare il carcere duro solo per i boss mafiosi

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