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Utilizzare il carcere duro solo per i boss mafiosi

Gian Carlo Caselli il . Costituzione, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Memoria, Politica, SIcurezza

Se l’idea fosse condivisa si dovrebbe aggiornare la normativa. E l’eventuale revoca per Cospito non suonerebbe come provvedimento ad personam.

Il caso Cospito è come un prisma a più facce. C’è innanzitutto l’aspetto personale, legato al rischio per la salute e la vita del singolo soggetto (valori, non occorre dirlo, da tutelare al massimo possibile).

Poi c’è l’effetto catalizzatore, ossia la capacità di portare l’attenzione dell’opinione pubblica su temi di carattere generale, come la situazione carceraria e il 41 bis. Quanto alla situazione carceraria sarebbe bello se tutti (anche gli intellettuali e gli artisti che sfornano appelli) si occupassero non solo di Cospito ma anche degli 84 suicidi del 2022, degli oltre mille tentativi di suicidio sventati e degli innumerevoli episodi di autolesionismo, dati che sono la cartina di tornasole della complessità del carcere. Prevale invece (con lodevoli eccezioni) l’indifferenza, salvo scuotersi quando c’è un caso che fa notizia.

Quanto al 41 bis, sostiene Cospito che la sua lotta estrema per abolirlo è una lotta in favore di tutti i detenuti assoggettati a questo regime. Tant’è che ha dichiarato di voler continuare lo sciopero della fame anche nel caso che la misura gli fosse tolta. Tutti i detenuti al 41 bis: quindi anche i mafiosi (grati).

A questo punto urge fare un po’ di chiarezza su mafia e 41 bis.

Non stiamo a ripetere che si tratta di una norma approvata subito dopo e per effetto delle stragi del 1992, perciò letteralmente intrisa del sangue e del sacrificio di Falcone e Borsellino. E non ripetiamo neppure che il 41 bis, unito alla legge sui “pentiti”, ha costituito una tenaglia che ha portato a una slavina di mafiosi disposti a collaborare, disarticolando Cosa nostra che stava travolgendo la democrazia.

Ricordiamo invece come il 41 bis (e i “pentiti”) sia per i mafiosi irriducibili questione di vita o di morte. Letteralmente.

Dall’epoca di Riina (disposto a “giocarsi i denti”, intendendo quel che si ha di più caro) pur di togliersi di dosso questi pesantissimi e micidiali fardelli, fino ai giorni nostri (tempo di messaggi trasversali ma inequivoci, come nel caso del ventriloquo Baiardo).

Chi definisce come vendetta l’istituto del 41 bis non sa bene cosa dice. Piuttosto rifletta sulla specificità della mafia, riconosciuta dalla stessa Corte costituzionale. Il “doppio binario” (41 bis compreso) serve a contrastare il carrarmato mafioso non con una cerbottana ma con norme e mezzi adeguati, in quanto calibrati sulla specifica realtà della mafia, che è diversa da ogni altro fenomeno criminale. Dunque la specificità (diversità) consente di ricondurre il doppio binario e il 41 bis a quei parametri di ragionevolezza che orientano la valutazione in tema di eventuali contrasti con la Carta.

In ogni caso, a quelli che invocano lo Stato di diritto o la Costituzione per perorare la causa dei detenuti al 41 bis, si può obiettare che sarebbe doveroso pretendere almeno delle scuse da chi si è “impegnato” coscienziosamente a sabotare la democrazia, altrimenti toccheremmo i vertici dell’assurdo svilendo lo Stato di diritto e la Costituzione al rango di porte girevoli o bancomat.

Fatta un po’ di chiarezza, resta il caso Cospito, ormai diventato una sorta di tempesta perfetta capace di produrre danni a raggiera.

La prima soluzione è lasciar cadere le richieste del detenuto (perché lo sciopero della fame è una sua scelta personale; perché le strutture di Milano-Opera assicurano un’adeguata assistenza medica; perché le controproducenti violenze degli anarchici in Italia e in Europa di fatto sono di ostacolo).

L’altra soluzione è trovare una risposta praticabile. Ma quale? Si potrebbe partire confrontandosi sulla tesi se fuori del perimetro specifico della criminalità mafiosa il 41 bis non sia così indispensabile come lo è per i boss irriducibili.

Se la tesi fosse condivisa si dovrebbe tradurla in un congruo aggiornamento della disciplina normativa sia dei circuiti carcerari di sicurezza sia della tipologia dei detenuti di ciascun circuito, riservando appunto ai mafiosi il regime di maggior rigore del 41 bis (blindandolo contro le ricorrenti tentazioni di rimuoverlo).

In un simile contesto, l’eventuale revoca del 41 bis a Cospito non suonerebbe come provvedimento ad personam, ma piuttosto come rientrante in un disegno più ampio di carattere generale.

Escamotage? Sofisma? Tempi troppo lunghi? Può darsi, ma sarebbe un modo per provare quantomeno a ridurre i danni.

E comunque (volendo introdurre a margine di tanta cupezza una nota leggera) si opererebbe in sintonia col ministro Nordio che non ama chi vede mafia ovunque…

Ovviamente, una soluzione del genere (o ispirata ad altro tipo di mediazione senza cedimenti) postula un minimo di concordia in Parlamento. Dove invece sembra regnare – almeno in alcuni – la propensione a utilizzare (anche quando si tratta di atti “sensibili” riservati) quel che sembra più conveniente alla propria fazione. Il famoso “bene comune”.

Fonte: Corriere della Sera

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