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Regolare l’azzardo per far vincere la salute del paese

Massimo Masetti * il . Criminalità, Cultura, Diritti, Istituzioni, Politica, Società

Si definisce gioco, ma non ha regole, può dilapidare patrimoni e portare alla dipendenza patologica: è l’azzardo. Il fenomeno cresce, diventando un tunnel senza fine per chi, sempre più facilmente, vi entra e un’opportunità per le organizzazioni criminali che investono in esso i proventi di traffici illegali. È urgente che lo stato ne prenda coscienza e si attivi con una legge condivisa per riordinare il settore. Massimo Masetti, referente di Avviso Pubblico sul tema azzardo, ha descritto la situazione attuale e lanciato l’allarme durante il primo incontro a Roma de “La trappola dell’azzardo”, progetto ideato da Avviso Pubblico con Bper Banca, rivolto a studenti, personale scolastico e a tutta la cittadinanza. Questo il contenuto del suo intervento.

I numeri forniti dall’Agenzia Accise Dogane e Monopoli di Stato parlano chiaro: il dilagare del gioco d’azzardo nel nostro paese si conferma inarrestabile. Siamo al sesto posto al mondo come numero di giocatori, mentre ci attestiamo alla prima posizione in base al rapporto tra il giocato e il reddito pro capite. È bene ribadire subito che il gioco d’azzardo in Italia è illegale come definito dal Codice penale (C.P 718 – 722), fatte salve le deroghe dello Stato che ad oggi ammontano a circa 390.

Il fenomeno è nato e cresciuto negli ultimi vent’anni. Si può stabilire la fase iniziale dal 2004 al 2006, quando lo Stato ha introdotto le slot -machines e le VLT (video lottery terminal). Per le VLT si disse che parte degli introiti sarebbero stati utilizzati per la ricostruzione delle case dopo il terremoto dell’Aquila. I soldi in realtà non raggiunsero mai lo scopo, ma nel momento dell’emergenza si faceva fatica a ribattere.

Intanto il meccanismo era scattato: nel 2006 la raccolta, ossia la somma dei soldi spesi per l’azzardo dagli italiani, ammontava a 35 miliardi, di questi, 7 andavano all’erario e 5,4 alle concessionarie che per conto dello Stato gestivano i giochi, le cosiddette 13 sorelle, 13 grandi colossi che si occupano in maniera prevalente di questo settore.

Dal disvalore all’opportunità

Nel 2021, compiendo uno scatto temporale, i numeri si sono quintuplicati: la raccolta è balzata a 110 miliardi. Parallelamente, però, non hanno seguito lo stesso andamento le entrate all’erario, pari a 10 miliardi e alle concessionarie, 9.6 miliardi di euro. È chiara la sproporzione che indica una palese distorsione degli obiettivi iniziali dello Stato: è evidente che non si è fatto giocare per aumentare l’entità delle entrate erariali, ma si è fatto giocare gli italiani solo per il gusto di farlo.

Per rintracciare i motivi alla base di questa evoluzione bisogna entrare nella complessità di fattori che si intrecciano nel fenomeno dell’azzardo, economici e socioculturali. Se non si può negare la componente lobbistica che vede la presenza in parlamento di numerosi rappresentanti legati direttamente o indirettamente al mondo del gioco d’azzardo, è sull’aspetto sociale e culturale che bisogna applicare una riflessione puntuale. Le possibilità di giocare d’azzardo sono ormai diffuse su tutto il territorio nazionale e in ogni dispositivo perché è cambiato il punto di vista del giocatore e la considerazione del giocatore stesso.

Prima si considerava pericoloso il gioco e avventato il giocatore, velocemente la prospettiva è mutata, rendendo l’azzardo una opportunità e chi vi si dedica un individuo che voglia provare a cambiare le proprie condizioni di vita. Il gioco d’azzardo è diventato quindi, anche mediaticamente, la svolta possibile e accessibile, non più un disvalore.

Vinti qui, persi qui

A questo punto non si tratta di diventare proibizionisti per fermare la deriva, ma realisti per raddrizzare il punto di vista. La lingua inglese distingue bene tra game e gambling, ossia gioco e azzardo. L’italiano, purtroppo, pur essendo un idioma assai ricco, mantiene il prefisso “gioco” anche per definire l’azzardo, distorcendo la percezione per cui non possiamo stupirci se nel nostro paese vengono venduti 72 tagliandi di “gratta e vinci” al secondo. Si è smarrita nelle parole e nei fatti la consapevolezza sui cui si reggono i giochi di azzardo, creati perché alla fine vinca sempre il banco.

Basterebbe recuperare e diffondere questa regola del gioco per illustrare quanto, a fronte della spesa sostenuta, siano scarse le possibilità di vincita. Faccio un esempio con una immagine che può sembrare paradossale: con i tagliandi di un’unica sessione di stampa in cui è contenuto un solo vincitore di uno dei gratta e vinci si potrebbe coprire il percorso di un’auto che va da Roma alla Terra del Fuoco.

Quante probabilità verrebbero in mente esserci di aprire la portiera e afferrare quello vincente lungo la strada? Ipotizzo: quasi nessuna. Invece la percezione diffusa è che si vince facile, sono stati utilizzati personaggi famosi come testimonial di campagne pubblicitarie per veicolare proprio questo messaggio. C’è bisogno di strumenti che permettano alle persone di capire i rischi del gioco d’azzardo per evidenziare il pericolo e non le opportunità che esso comporta.

Mutuo una battuta da Matteo Iori, esperto del settore: se oltre ai cartelli “qui sono stati vinti”, esposti in bar e tabaccherie, si affiggessero anche quelli con la scritta “persi qui”, ne sarebbe pieno il mondo. Le percentuali di probabilità di vincita non sono segnate da nessuna parte ed è evidente il motivo.

Il problema ora è disinnescare un meccanismo nel quale lo Stato ha voluto inserirsi con il proposito iniziale di contrastare il gioco d’azzardo illegale, spingendosi invece al punto di favorire quest’ultimo, soprattutto aumentando il numero dei giocatori. Quando mai una signora di 75 anni sarebbe entrata in una cantina a giocare a black jack o in una sala scommesse a puntare su un cavallo!

Oggi è la giocatrice media di gratta e vinci che scende anche tre volte di casa per acquistare un tagliando nel bar o tabaccheria della strada. Lo Stato ha creato una fetta di fruitori che il gioco illegale non avrebbe mai raggiunto, contribuendo inoltre allo sviluppo di una generazione di ragazze e ragazzi, giocatori online: un fenomeno aperto anche ai minorenni di cui non si percepisce appieno la pericolosità. Sono esposti al rischio, senza che lo sappiano, anzi pensando che possano ottenere un guadagno lecito e proficuo dal gioco.

L’urgenza di una legge di riordino

Siamo arrivati ad oggi con un calcolo approssimativo di una spesa di 2229 euro pro capite utilizzata per il gioco d’azzardo. È più di un campanello d’allarme a cui lo Stato devo trovare il modo di rispondere, intervenendo, al più presto, con una legge di riordino del settore. Sono dieci anni che ne parliamo e che la chiediamo. Deve essere una legge condivisa che abbia come asse portante la salute dell’individuo non le entrate dello stato o delle concessionarie. Basterebbe basarsi sulla Costituzione.

Diversi sono gli attori da coinvolgere, dal Ministero della Salute a quello delle Finanze e del Lavoro fino agli enti locali e all’associazionismo. Finora siamo arrivati solo ad una bozza durante l’ultima legislatura: nata all’interno del Ministero dell’Economia e Finanze, non si è riusciti a condividerne il contenuto che esprimeva solo un concetto “a parità di gettito erariale”. Questo era il punto di partenza e quanto si chiedeva venisse garantito. Oltre allo scopo ribadito della salvaguardia delle persone, si potrebbe invece partire dall’evidenza: ridurre l’offerta di gioco può diminuire il numero dei giocatori.

La legge dovrebbe muoversi in questa direzione, invece soprattutto nel comparto dell’azzardo ci troviamo sempre di fronte ad una gestione basata su proroghe e deroghe alle concessionarie. Tra l’altro sono provvedimenti inseriti in decreti poco chiari, in cui si devono decriptare le informazioni, concedendo un ampio margine di interpretazione. Decreti inseriti in provvedimenti di emergenza, anche nell’ultimo milleproroghe c’è la deroga per le concessioni per slot e LVT fino a giugno del 2023, una situazione che va avanti da marzo del 2020.

Hanno operato in questo modo per gestire il settore tutti i governi che si sono susseguiti, non si sta quindi affrontando il discorso in maniera politica, anzi, si vorrebbe offrire l’opportunità per invertire una rotta molto pericolosa cominciando da passaggi semplici. Basici come l’eliminazione di alcuni giochi inutili dal punto di vista erariale, dai quali lo Stato non riceve cioè alcuna entrata. Faccio l’esempio del gioco online Batting for change: due miliardi e mezzo di euro di gettito totale, due milioni e mezzo di entrate allo Stato, poco più ai concessionari. Tra l’altro la Commissione Antimafia lo ha inserito tra gli strumenti più utilizzati dalle mafie per riciclare denaro sporco. Non si potrebbe vietare?

Dati disponibili e rischi calcolabili

I numeri fornirebbero la risposta, ma qui si arriva ad un’altra questione dolente: la divulgazione dei dati. L’Agenzia Dogane Monopoli di stato li forniva ai singoli territori, poi c’è stato un blocco della trasmissione, ripresa grazie all’impegno portato avanti anche della Campagna nazionale “Mettiamoci in gioco” che si è fatta portavoce dell’istanza fino all’accordo del 2017 all’interno della Conferenza Stato Regioni.

I dati su tipologia di gioco e diffusione nel territorio sono stati resi pubblici. Nel 2020 in un articolo del Milleproroghe sono state inserite due righe a decretare un ulteriore stop, si legge: “vista la sensibilità dei dati, questi non possono essere divulgati.” Quindi siamo di nuovo al paradosso istituzionale per il quale gli amministratori possono richiedere, ottenere e leggere i dati, ma non li possono inserire in delibere, né tantomeno in comunicati stampa o post social, quando poi sono richiesti dal TAR affinché venga approvato qualsiasi provvedimento in merito. Sapere per poi poter diffondere ed utilizzare le informazioni sui giochi, consentirebbe di prevenire e affrontare i pericoli a cui sono sottoposti individui e realtà di un territorio.

È chiaro che va affrontata anche la diversa pericolosità dei giochi. Non mancano studi scientifici su cui basarsi per farlo. Uno di essi ha individuato dieci tipologie di criticità, tra cui l’accessibilità al gioco: se si può averlo disponibile anche sul telefono rispetto a dover raggiungere un luogo fisico per usufruirne, si ha una maggiore facilità a diventarne dipendente.

Come pure la frequenza, se è ravvicinata tra una giocata e l’altra c’è un rischio più elevato di dipendenza: è la differenza che intercorre per esempio tra un biglietto della lotteria Italia con estrazione annuale e un tagliando del gratta e vinci che si può acquistare ed averne l’esito più volte durante la stessa giornata. Ogni gioco si potrebbe valutare in base a queste tipologie e, deciso il limite da non oltrepassare, procedere a vietare quelli che hanno il rischio di generare dipendenza.

L’abisso dell’online 

Il pericolo può diventare incalcolabile se non si interviene al più presto, soprattutto per quello che riguarda il gioco d’azzardo online. Sin dall’inizio della sua diffusione, databile nel 2017, è stato due passi avanti rispetto ad un possibile controllo dello Stato, mentre ha subito registrato una crescita nel numero dei giocatori e nei guadagni in grado di erodere nella competizione qualsiasi gioco fisico.

Nel 2020 le restrizioni per contenere il covid hanno consolidato la situazione che ha visto nel 2021 il sorpasso: il 64% dei 110 miliardi di euro giocati provengono dai giocatori online. Preoccupa la presenza massiccia di minorenni che riescono ad aggirare facilmente i divieti previsti: non c’è controllo fisico, si verifica solo la validità della carta di credito. A fronte della chiusura di 1800 siti illegali l’anno grazie all’attività della Guardia di Finanza e della Polizia postale, si stima ce ne siano dieci volte tanti che non rispettano le regole.

È una sfida impari in cui si parte in salita non essendo nemmeno attrezzati da un punto di vista normativo per tentare di porre dei paletti in questa parte ancora più oscura del settore. Basti pensare alle scommesse virtuali: ci sono giochi online in cui si punta sulla morte di personaggi famosi, per non parlare delle loot box, i forzieri virtuali dei gamers nei giochi accessibili da consolle, con cui si scommette usando moneta virtuale acquistata attraverso quella reale.

Si arriva nel meta verso ai casinò virtuali, alle criptovalute, ai bitcoin fino al trading online, oltrepassando i confini del controllo individuale e sociale per decretare spesso lo sfaldarsi di piccoli o grandi patrimoni con il serio rischio di finire vittime di falsi esperti o peggio di usurai. Il 78% di coloro che hanno investito i propri risparmi attraverso questa modalità ha perso. È il contrario del “ti piace vincere facile” delle pubblicità che pure andrebbero regolamentate perché promuovono siti che incentivano pratiche di cui bisogna riconoscere tutti i rischi dell’azzardo.

Sono passati vent’anni da quando è iniziata la diffusione senza controllo del gioco d’azzardo, purtroppo è cresciuto esponenzialmente il giro di affari ad esso connesso, come è salito il numero dei giocatori, mentre sono diventate sempre più abili le strategie per aggirare il contrasto e garantire la fruizione da parte delle ragazze e dei ragazzi.

Le conseguenze sono evidenti e molto spesso dolorose, la posta finale è troppo alta, riguarda il futuro economico, sanitario, sociale e culturale sano del nostro paese. Noi ci siamo e saremo, pronti a studiare e condividere ogni strumento di prevenzione e sensibilizzazione, ma speriamo di avere al nostro fianco il legislatore in grado di riconoscere il fenomeno e definire finalmente una legge per regolamentarlo.

* Vice sindaco di Casalecchio di Reno, referente di Avviso Pubblico sul tema dell’azzardo

Fonte: Avviso Pubblico

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Avviso Pubblico e BPER Banca presentano la prima tappa de “La Trappola dell’Azzardo”

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