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Se sulla giustizia Nordio diventa “Marchese del Grillo” 

Gian Carlo Caselli il . Corruzione, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Politica

Intercettazioni base dell’antimafia. Si possono recuperare 330 miliardi. Evasione fiscale, corruzione e criminalità organizzata sono una rapina ai cittadini. Il ministro Nordio in aula si è esibito in un rancoroso attacco ai pm. Il guardasigilli ha interferito nel processo in corso sulla trattativa. La legge Orlando già restringe gli spazi senza sacrificare le indagini.

Ringraziare il boss Matteo Messina Denaro è una bestemmia. Eppure è grazie a lui che il dibattito sulle intercettazioni, da surreale chiacchera da bar, è diventato una cosa diversa.

Tutti hanno sentito il ministro Nordio affermare con tono saccente che le intercettazioni per la mafia non servono perché i mafiosi non parlano al telefono. Per fargli cambiare registro c’è voluta appunto la cattura di un pericoloso mafioso latitante da anni, che il Procuratore di Palermo ha attribuito al lavoro intelligente dei CC del ROS e alle tante intercettazioni effettuate.

Del resto, basta affidarsi al buon senso: le organizzazioni criminali mafiose sono fondate sul segreto; per combatterle efficacemente, penetrando al loro interno, occorre rompere la corazza del segreto; lo si può fare ascoltando i mafiosi che – appunto perché tali – conoscono quei segreti; l’ascolto può essere diretto (il “pentimento”) o “captato” usando le intercettazioni telefoniche o ambientali. È semplicemente l’ABC dell’antimafia.

Non contento dello scivolone iniziale sulle intercettazioni, il ministro (in Parlamento!) si è esibito in un rancoroso attacco davvero fuori del comune ai pm in generale e a quelli antimafia in particolare.

È vero, abbiamo avuto pm che negavano l’esistenza stessa della mafia; attribuivano gli infortuni sul lavoro solo alla fatalità; operavano per rendere il loro ufficio un “porto delle nebbie”; rilasciavano allegri affidavit al bancarottiere Sindona… Ma i pm  “moderni” sono quelli che hanno sconfitto il terrorismo; svelato l’oscena corruzione sistemica che stava mandando in rovina la nostra economia; tutelato la sicurezza dei lavoratori con inchieste coraggiose; combattuto la peste mafiosa per difendere la democrazia. Questi pm (se sarebbe retorico, a parte le vittime, pensarli sempre come avvolti nel tricolore) vanno almeno rispettati, soprattutto dall’alto rappresentante di un potere dello stato.

Invece, per Nordio i pm antimafia sono degli invasati che vedono mafia dappertutto! Lasciamo perdere che la mafia di oggi è detta  “liquida” perché penetra ovunque; dimentichiamo che il ministro Piantedosi parla della mafia come invasiva (5 volte l’ha ripetuto in “Piazza pulita” del 19 scorso); e soffermiamoci su un fatto inaudito.

Per attaccare i pm antimafia il ministro si è preso la licenza – in Parlamento, ripeto – di interferire a piedi giunti in un processo (sulla cosiddetta trattativa) ancora aperto. Altro che rispetto del principio costituzionale della separazione dei poteri.

Del resto prima della nomina a ministro Nordio ha incontrato (per un placet?) Berlusconi, il quale dei magistrati diceva che «per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche»; per cui caldeggiava una qualche verifica attitudinale sul piano psicologico, idea che Nordio ha copiato. Forse Nordio in cuor suo ha finito per pensarla come un noto ministro del Cavaliere, Alfredo Biondi, cui piaceva dileggiare i pm raccontando le parole del padre: «Studia studia figliolo,  sennò diventerai pm…».

Ma torniamo alle intercettazioni. Finita la stagione di “Alice nel paese delle meraviglie” ora si discute di abusi e di applicazione o meno ai “satelliti” della associazione mafiosa. Quanto agli abusi c’è già la legge Orlando che ne restringe significativamente gli spazi senza sacrificare le esigenze d’indagine. Quanto ai reati satellite (espressione sibillina che andrebbe esplicitata) al primo posto non può che esserci la corruzione: interfaccia della mafia e quindi principale reato “spia”, specie per gli appalti truccati dove la mafia banchetta. Davigo ha ricordato la Convenzione Onu del 2003 (ratificata  in Italia nel 2009) che all’art. 50 indica tra le misure necessarie contro la corruzione la sorveglianza elettronica, quindi anche le intercettazioni. Per cui questa volta non è l’Europa che ce lo chiede (nota frase fatta) ma addirittura l’ONU, il mondo.

In sostanza,  le tecniche argomentative  da “Marchese del Grillo”  alla giustizia servono ben  poco. Piuttosto riflettiamo sul fatto che il nostro più grave problema oggi è l’illegalità economica nelle sue tre declinazioni: evasione fiscale, corruzione e mafia (droga, armi, rifiuti tossici, estorsioni, contraffazioni, appalti ….). Il “fatturato”  è rispettivamente di 120, 60 e 150 miliardi di euro l’anno, per un totale di 330 miliardi. Una rapina colossale ai danni della comunità tutta. Un mastodontico impoverimento. Un siluro contro la qualità della vita. Queste illegalità vanno contrastate con tutte le forze a disposizione, comprese le intercettazioni quando possibili.

Per cui – di fatto – ogni intercettazione è un passo avanti verso un recupero delle ricchezze e risorse che il malaffare ci vampirizza; mentre se ne avessimo di più vivremmo di sicuro molto meglio. I proclami e le parole in libertà servono solo a distrarre da tale realtà.

Fonte: La Stampa

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