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L’arresto di MMD. La lotta deve continuare, la mafia non è battuta

Lucrezia Ricchiuti * il . Diritti, Forze dell'Ordine, Giustizia, Lombardia, Mafie, Politica

Signor direttore,

ricordo molto bene il volto, lo sguardo e la voce di Teresa Principato, magistrato del pool antimafia di Palermo, quando 10 anni fa parlava di Matteo Messina Denaro. La dott.ssa Principato ha dedicato molti anni della sua vita alla ricerca di Messina Denaro e gioisco – oggi – accanto a lei e a tutti i magistrati e alle forze dell’ordine, che hanno lavorato sodo e reso possibile questo successo della parte dello Stato pulita, speranzosa e fedele solo alla Costituzione repubblicana, che ogni tanto risulta vittoriosa.

L’anagrafe e la biologia hanno dato un contributo determinante: ma va bene anche così. Due enormi questioni restano – però – aperte. Una riguarda il passato e una il futuro.

Quella che inerisce al passato è: con chi ha stretto relazioni importanti Messina Denaro in questi 30 anni di latitanza? La trattativa imbastita da un pezzo degli apparati (come accertato da due sentenze di giudici della Repubblica) lo ha coinvolto? Quando ha maturato l’idea di abbandonare la linea stragista di Riina (con cui il padre Ciccio era in rapporti di appoggio organico) e di abbracciare il modulo della mafia “sommersa” e poi “silente”? Come mai solo alla notizia della sua cattura, centinaia di persone a Castelvetrano si sono riversate in strada per festeggiare? Chi le intimidiva prima del 16 gennaio?

In definitiva, la cattura di U Siccu – che speriamo sconti i suoi rimanenti giorni nel più duro dei regimi carcerari (lo ha detto anche il deputato Borrelli il 16 gennaio nell’Assemblea della Camera) – è solo la premessa per scoprire le verità degli ultimi 30 anni di storia italiana, quelle che la mancata perquisizione del covo di Riina nel 1993 e la tardiva cattura di Provenzano nel 2006 non ci hanno mai raccontato. Sono certa la dott.ssa Principato si sta ponendo le stesse domande, poiché diverse volte è stata sul punto di prenderlo.

La questione dell’immediato futuro attiene conseguentemente ai modi di combattere le mafie. La cattura di Messina Denaro non significa la sconfitta definitiva di Cosa Nostra e – men che meno – di ‘ndrangheta, camorra, Sacra corona e delle altre organizzazioni criminali. La lotta deve proseguire: serrata, vigorosa, implacabile.

Delle intercettazioni come mezzi investigativi ha già parlato il procuratore capo di Palermo, De Lucia.

A mia volta voglio parlare di regime ostativo, di “pentiti” e di misure di prevenzione, personali e patrimoniali. La legge n. 199 del 2022 non deve trovare un’applicazione annacquata. Nel valutare le richieste dei mafiosi, occorre che i magistrati di sorveglianza, i procuratori distrettuali e il Procuratore nazionale antimafia siano inflessibili nel verificare il rispetto di tutte le condizioni in presenza delle quali – pur in mancanza di collaborazione – sia possibile concedere il beneficio al detenuto.

Non devono prevalere gli interessati lamenti sulla rieducazione e una mentalità di normalizzazione del fenomeno mafioso. Deve essere chiaro che l’onere di provare l’interruzione dei collegamenti con la cosca di provenienza e l’impossibilità del loro ripristino è interamente a carico del mafioso. Altrimenti avrebbe ragione su tutta la linea Cafiero De Raho, che – giustamente – indica i rischi del nuovo sistema, che potrebbe funzionare da remora alle collaborazioni di giustizia.

Venendo alle misure di prevenzione, la Corte costituzionale persiste in un indirizzo francamente eccessivo. Di recente (sentenza n. 2 del 2023), ha dichiarato illegittimo il divieto di usare il telefono cellulare – previsto dal codice antimafia – se impartito dal questore e non dal giudice. Si tratta di un burocratismo: l’ordine del questore sarebbe stato, comunque, impugnabile davanti al giudice; dire che in prima battuta il questore non può applicarlo significa ingessare le misure di contrasto.

Occorre un nuovo slancio all’avviso orale, alla sorveglianza speciale e – soprattutto – alle confische di prevenzione e alla celere destinazione dei beni confiscati a scopi collettivi e sociali. Da questo punto di vista, è necessario un rinnovato impegno sul fronte della selezione di amministratori giudiziari capaci e dell’Agenzia dei bei confiscati nella gestione delle aziende confiscate.

* Senatrice XVII legislatura

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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