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La prescrizione infinita e il “garantismo peloso”

Gian Carlo Caselli il . Criminalità, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Politica, Società

L’anomalia della prescrizione all’italiana. Quando il tempo si sostituisce ai giudici.

In Italia la percentuale di casi arriva fino all’11% contro lo 0,1% dei Paesi europei. La riforma crea una spaccatura tra chi può permettersi legali costosi e i cittadini comuni.

La versione Bonafede era già stata toccata dalla riforma Cartabia. Ora la maggioranza vuole tornare a prima della “spazzacorrotti”. L’estinzione del reato nel caso Eternit ha dimostrato che l’applicazione rigorosa della legge diventa un’ingiustizia.

La prescrizione (causa di estinzione del reato) esiste in tutti paesi democratici e si basa – volendo semplificare – sul presupposto che allo Stato non conviene più continuare a perseguire un reato, con le relative spese, quando è trascorso troppo tempo: perché del reato si è persa la memoria, le prove sono ormai difficili, se non impossibili, da trovare e si presume che la persona da processare possa essere cambiata.

In tutti i paesi democratici è previso che la prescrizione si interrompa definitivamente ad un certo punto, che può essere il rinvio a giudizio o la condanna in primo grado. In Italia invece abbiamo sempre avuto una prescrizione di fatto infinita, essendo previste soltanto delle sospensioni  temporanee.

Le cose sono cambiate il 1° gennaio 2020, quando è entrata in vigore una norma (riferita al ministro Bonafede in quanto inserita nella cosiddetta legge spazzacorrotti) secondo cui la prescrizione si interrompe con la sentenza di primo grado (anche di assoluzione) fino alla sentenza definitiva.

In questo modo l’Italia si allineava alle altre democrazie e l’Europa aveva applaudito la riforma.

Ora però un ordine del giorno approvato dalla maggioranza della Camera dei Deputati impegna il Governo a rivedere la disciplina della prescrizione riportandola a prima della “spazzacorrotti”. La formula «ce lo chiede l’Europa», spesso invocata a vanvera per coprire qualche forzatura, questa volta non ci sta; anzi è vero il contrario.

Cosa succedeva prima della “spazzacorrotti”, e tornerà a succedere se la riforma chiesta dalla maggioranza dei deputati diventerà legge?

È evidente che in  un sistema come il nostro, basato su un processo dai tempi lunghissimi, la prescrizione infinita scatta in centinaia di migliaia di processi ogni anno. Di conseguenza, ciò che ovunque funziona come mero rimedio fisiologico contro i pochi casi che l’ingranaggio non riusce a concludere, da noi finisce per strutturarsi come fenomeno patologico.

In altre parole, da misura circoscritta a pochi casi limite, che il troppo tempo trascorso rende non più conveniente trattare, la prescrizione si trasforma in una voragine gigantesca che inghiotte senza ritorno un’enormità di processi. La percentuale italiana di prescrizioni è arrivata al 10/11%, contro quella dello 0,1/2% degli altri paesi europei. Questa cifra spropositata è un vero disastro per la nostra giustizia.

Ma oltre ai numeri da bancarotta c’è un legato alla prescrizione infinita, quello di favorire la coesistenza nel nostro sistema penale di due codici distinti. Uno per i “galantuomini” (cioè le persone che, in base al censo o alla collocazione politico-sociale, sono considerati “per bene” a prescindere…); l’altro per i cittadini comuni.

I primi possono contare su difensori costosi e agguerriti, professionalmente in grado di sfruttare l’opportunità di eccezioni d’ogni tipo generosamente offerta dagli ingranaggi di una procedura malandata. Per loro, in pratica, il processo può ridursi ad aspettare che il tempo si sostituisca al giudice, in attesa della prescrizione che tutto cancella.

Mentre per gli altri cittadini, quelli “comuni”, il processo, per quanto di durata biblica, riesce più spesso a concludersi, segnando vita, interessi e relazioni delle persone. Un’asimmetria incostituzionale, fonte di ingiustizia e disuguaglianze che si risolvono nella negazione di elementari principi di equità.

Un sistema dove in realtà è proprio la prescrizione infinita che contribuisce fortemente a far durare all’inverosimile certi processi. Un corto circuito. Che smonta l’operazione di auto-assegnazione della patente di garantisti doc che ostentano  i fautori del ritorno all’epoca pre-spazzacorrotti. Il loro non è per niente autentico garantismo, cioè veicolo di  eguaglianza. È piuttosto un peloso garantismo selettivo che favorisce pochissimi penalizzando tutti gli altri

Da segnalare ancora che la versione Bonafede della prescrizione era già  stata ritoccata dalla  Cartabia. Ma ai nostri garantisti evidentemente non è bastato.

Infine va sottolineato che il tema della prescrizione non è indolore. Ricordiamo il caso Eternit, l’amianto che uccide. Per la lettura del dispositivo di condanna degli imputati da parte del tribunale di Torino ci vollero più di tre ore, a causa dell’infinito elenco di persone offese. Tre ore in piedi per ascoltare una sequenza interminabile di nomi che da sola testimoniava le eccezionali dimensioni del dramma che si stava giudicando.

La condanna, confermata in appello, fu poi spazzata via dalla cassazione, che ancorò la prescrizione del reato di disastro ambientale alla chiusura delle fabbriche (1986), senza considerare che anche dopo tale chiusura permangono gli effetti mortali dell’amianto in esse prodotto, effetti che si registrano ancora oggi e che continueranno a prodursi in futuro.

Una decisione che per molti ha rappresentato un caso di summum ius, summa iniuria, vale a dire un caso di applicazione  rigorosa della legge che diventa un’ingiustizia, se si cancellano di fatto migliaia di morti di cancro e le responsabilità di chi le ha causate.

Tutti i  politici si erano  si erano solennemente impegnati, dopo il caso Eternit, a riformare la normativa. Niente pero si è fatto, essendo l’attenzione dei garantisti de noantri concentrata su ciò che interessa – appunto –  ai soli galantuomini.

Fonte: La Stampa

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