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I matrimoni forzati scoperti in Italia

Piero Innocenti il . Criminalità, Cultura, Diritti, Giovani, Religione, Società

Tra le violazioni dei diritti delle giovani donne (violenze, discriminazione di genere, mancato accesso all’istruzione) ci sono anche i matrimoni forzati, considerati tali in quanto il minore non è in grado di esprimere consapevolmente il proprio consenso, non solo per le responsabilità che si assume con quell’atto, ma anche perché la sua età impedisce il raggiungimento della piena maturità e capacità di agire.

Dopo l’entrata in vigore della Convenzione ONU sui Diritti dell’infanzia (approvata il 20 novembre 1989), gran parte delle nazioni ha fissato in 18 anni l’età minima per il consenso al matrimonio (in alcuni paesi l’età è anche minore).

Nel rapporto di Save the Children “The Global Girlhood Report 2020”, si parla di un aumento di matrimoni forzati di molte adolescenti soprattutto nell’Asia meridionale, nell’Africa centrale e nell’America Latina, per effetto delle conseguenze economiche della pandemia.

Il fenomeno che è diffuso a livello mondiale ma che in Italia sembrerebbe ancora contenuto, ha portato anche il nostro legislatore ad introdurre con la legge 69/2019 (il c.d. Codice Rosso), il reato di costrizione o induzione al matrimonio proprio per contrastare i matrimoni forzati e delle spose bambine.

Così, con l’art.558 bis del c.p. viene punito con la reclusione da uno a cinque anni “chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile e, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile”.

La condotta incriminata, dunque, consiste nel costringere altri, senza riferimento all’età, a sposarsi o a contrarre un’unione civile ed il reato è punito anche quando è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia e la pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di minore degli anni 18, con un ulteriore inasprimento se commessi in danno di un minore di anni 14.

Dall’agosto 2019 (data di entrata in vigore della legge 69/2019) al maggio 2022 sono stati denunciati una trentina di reati in esame (7 nel 2019, 8 nel 2020,9 nel 2021, 8 nel 2022) con una concentrazione nelle regioni del nord, mentre al centro sud si sono registrati valori più bassi o addirittura nulli.

Prevenire e accertare questo tipo di reato è particolarmente complesso in quanto nella maggior parte dei casi si consuma tra le mura domestiche con le vittime quasi sempre giovani, nate in famiglie caratterizzate da forte cultura patriarcale, ragazze che comprensibilmente hanno grande timore di denunciare quanto loro accaduto per paura di ritorsioni o addirittura perché sottoposte ad un rigido controllo che impedisca loro di poterlo fare.

I dati italiani riferiti al periodo suindicato indicano come le vittime straniere siano state prevalenti (in primis le pakistane, seguite dalle albanesi), con una percentuale di maggiorenni (tra i 18 e i 24 anni) del 41%.

Le denunce nei confronti dei presunti autori (il 76% stranieri, in maggioranza pakistani seguiti da albanesi, bengalesi e bosniaci) hanno riguardato per il 73% dei casi gli uomini con una prevalenza (40%) di quelli di età compresa tra i 35 e i 44 anni, seguiti con il 27% da quelli di età tra i 45 e i 54 anni.

Un fenomeno che continuerà sicuramente ad essere attentamente monitorato dagli esperti del Servizio Analisi Criminale ma già oggi la sensazione è che ci possa essere un sommerso non trascurabile.

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