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Berizzi fu diffamato. A Bergamo il “Black Friday” dei “leoni da tastiera”: odiare costa..

Rocco Artifoni, Lorenzo Frigerio il . Criminalità, Diritti, Giustizia, Informazione, Lombardia, Società

Al termine dell’udienza tenutasi oggi presso il Tribunale di Bergamo, la prima tentazione è pensare che, anche questa volta, gli odiatori seriali l’abbiano scampata bella, visto che l’accusa più pesante – minaccia – nei confronti di Giovanni Fasolino, unico imputato rimasto nel processo che vedeva parte offesa Paolo Berizzi, giornalista de La Repubblica, è stata giudicata essere insussistente.

In realtà, se il reato di minaccia e la pena richiesta di due mesi di reclusione non sono stati riconosciuti, è ampiamente più che sufficiente la condanna di Fasolino per diffamazione ad aprire una pagina nuova nel contrasto ai “leoni da tastiera” che, loro malgrado, hanno vissuto un inaspettato “Black Friday” in terra bergamasca. Un vero e proprio “venerdì nero”, stando almeno al significato originale dell’espressione, anche se oggi ormai è in voga per segnalare sconti e svendite di ogni tipo. In questo caso, infatti, gli odiatori seriali hanno incassato un vero e proprio stop, imposto loro autorevolmente da un Tribunale della Repubblica.

Ed è lo stesso Berizzi a spiegarlo ai giornalisti presenti, dopo la lettura della sentenza, giunta poco dopo le 12.00 della mattinata: “Odiare costa, insultare e diffamare una persona deve costare, non è un pranzo gratis. Questo deve valere sempre, a prescindere da quello che uno fa nella vita, anche se io vengo attaccato per il mio lavoro d’inchiesta. Questa sentenza afferma un principio importante e cioè che il web non è una ‘zona franca’. Mi auguro che questo principio venga riaffermato anche per gli altri nove imputati che originariamente erano in questo processo di Bergamo e poi sono stati rinviati ad altri giudici”.

Per competenza territoriale, infatti, gli altri imputati saranno giudicati dai tribunali di Torino, Vicenza, Monza, Verona, Latina, Milano, città di loro residenza. Il rischio che la riduzione in capo ad un solo soggetto delle accuse contestate potesse far venire meno il quadro complessivo è quindi venuto meno per il momento.

Tra novanta giorni la lettura delle motivazioni chiarirà meglio il percorso che ha portato a questo giudicato. Nell’attesa Berizzi non vuole giustamente entrare nel merito dell’interpretazione data dal giudice a quanto fu scritto dall’imputato contro di lui.

I post giudicati oggi dal Tribunale di Bergamo diffamatori – “Schiavo pagato per obbedire”, “Infame che passa la vita a parlare dei morti” e altro – furono scritti dall’imputato per “difendere” Fabrizio Piscitelli, soprannominato Diabolik, che fu ucciso il 7 agosto 2019 nella Capitale, nell’ambito della guerra per il controllo dello spaccio e del quale Berizzi aveva appunto ricordato il curriculum di soggetto legato al milieu criminale di Roma.

Ecco perché il giornalista che, dal 2019, vive sotto scorta proprio in ragione del suo lavoro d’inchiesta sulla complessa e variegata galassia neofascista, ci ha tenuto a mettere in luce il contesto nel quale collocare la vicenda oggetto del procedimento.

“Per farsi un’idea della matrice di questi attacchi – ha dichiarato il collega -, basta dare una veloce occhiata al profilo dell’imputato di oggi e non solo. C’è una sentenza del 1993 al termine dell’operazione Runa con cui Fasolino, insieme ad altri appartenenti al sodalizio Azione Skinhead, un gruppo di naziskin, fu condannato per reati che oggi verrebbero definiti di discriminazione razziale. Un sodalizio di estremissima destra, composto da ex ultras dell’Inter e gemellato con gli ultras della Lazio. Nell’ultima udienza avete sentito come ha motivato quanto scritto nei miei confronti: voleva difendere la memoria e l’onore di Piscitelli, ex capo degli ultras della curva della Lazio, di estrema destra come quelli dell’Inter. E poi la sua rabbia era motivata dallo stress per il lockdown imposto in ragione Covid, ma stiamo parlando del 2019 e l’epidemia non c’era ancora..”.

Se è vero che l’elenco delle persone che minacciano Berizzi purtroppo è ancora lungo, oggi un primo importante colpo è stato piazzato e la sconfitta degli haters è tutta nei numeri della sentenza: 400 euro di multa per il reato di diffamazione, 3.000 euro a Berizzi, 1.000 euro a Fnsi e 1.000 all’Ordine dei Giornalisti a titolo di risarcimento danni, a cui aggiungere il pagamento delle spese processuali delle parti. Tutte cifre a carico dell’imputato odierno.

Il presidente Fnsi Giuseppe Giulietti ha accolto con soddisfazione la notizia da Bergamo che arriva a poche ore di distanza da un’altra sentenza, emessa a Siracusa dove i Giuliano, padre e figlio, ritenuti appartenenti ad un sodalizio mafioso attivo tra Pachino e Noto sono stati condannati a un anno e due mesi di reclusione per le minacce ai danni di Paolo Borrometi.

Per Giulietti la sentenza di Bergamo è un precedente importante, anche per il danno riconosciuto agli organismi di rappresentanza dei giornalisti perché “deve essere chiaro che chi minaccia un giornalista minaccia tutta la comunità dei giornalisti e lede la libertà di informazione”.

L’esecuzione della pena rimane sospesa per il termine di cinque anni, ma la stessa sospensione condizionale è subordinata al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno nel termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza.

Insomma, se questo “Black Friday” è da archiviare al più presto per gli haters e i fascisti attivi sui social, al contrario quella di oggi è una pagina importante per la difesa dell’informazione libera, vero presidio di una democrazia che tale si voglia definire.




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