NEWS

Qatar: il Mondiale dei diritti negati

Riccardo Cucchi il . Cultura, Diritti, Politica, Società, Sport

Ci sono gesti che hanno fatto la storia dello sport: il pugno guantato di Smith e Carlos a Città del Messico, le quattro medaglie d’oro di un esultante Owens davanti al razzista Hitler.

Gli atleti statunitensi nel ‘68 avrebbero voluto boicottare i giochi. E la stessa sorte sarebbe potuta toccare ad Owens visto che il Comitato Olimpico americano aveva preso in considerazione l’idea di boicottare i giochi di Berlino.

Le cose andarono diversamente. E l’immagine di Carlos e Smith sul podio dei 100 metri è ancora oggi uno dei più forti messaggi che lo sport sia stato in grado di trasmettere.

C’è un’altra immagine, da oggi, che potrebbe entrare nella storia. E’ quella che la regia internazionale dei Mondiali in Qatar ha negato alla platea degli spettatori ma che ha fatto il giro del web più velocemente di quanto Infantino e la Fifa potessero immaginare. Perché censurare, oggi, è molto più difficile che in passato.

E’ quella della squadra tedesca immortalata prima della gara contro il Giappone. Gli 11 calciatori si fanno ritrarre nella foto di rito con la mano davanti alla bocca.

Censurati dalla Fifa ma convinti che i valori siano più forti di qualunque minaccia di sanzioni. Perché questo la Fifa aveva fatto: minacciare di ammonire i capitani che avessero deciso di indossare la fascia “One Love”, un chiaro riferimento alla libertà di amare, alla liberà di orientamento sessuale.

Di più. Infantino, Presidente della Fifa in odore di riconferma, aveva indirizzato a tutte le federazioni presenti al Mondiale un messaggio netto: che si parli solo di calcio. Vietate dunque prese di posizioni in favore dei diritti o riferimenti ai 6500  operai immigrati che hanno perso la vita per realizzare gli stadi e le infrastrutture del Mondiale più costoso della storia. Un invito al silenzio.

Un paradosso per l’organismo calcistico planetario impegnato su campagne per il rispetto e contro ogni forma di razzismo. Un paradosso e una incapacità palese di cogliere il profondo rapporto tra il calcio e la vita. Isolare il gioco più amato del pianeta dalla vita nella quale è immerso quotidianamente è ignorare le ragioni stesse della sua profonda e radicata presenza nella cultura popolare di ogni emisfero.

E’ stato un errore assegnare il Mondiale al Qatar, assegnarlo cioè ad un paese in cui manca il rispetto dei diritti umani e civili. Ed è fallito anche il tentativo di convincerci che proprio attraverso il Mondiale qualcosa sarebbe potuto cambiare anche nell’emirato. Gli impegni assunti dal governo qatariota sono stati disattesi, come ha denunciato Amnesty International.

Hanno vinto i soldi. Un calcio sempre più vorace ha accettato di giocare il suo Mondiale nel paese che offriva di più; non ha vigilato sui diritti dei lavoratori durante la costruzione delle opere; ha ignorato i diritti delle donne calpestati. In cambio di denaro.

Il calcio può vendere i diritti di immagine. Non può vendere la sua anima, pena smettere di essere sport e diventare puro spettacolo, come qualcuno vorrebbe.

La minaccia di ammonire i capitani che avessero indossato la fascia arcobaleno, è la minaccia di ammonire chi si professa a favore dei diritti. Ed è semplicemente inaccettabile.

Il calcio deve stare fuori dalla politica. E’ vero. Ma i diritti non sono politica, sono diritti.

Il gesto della squadra tedesca ci consegna un pizzico di speranza. La speranza che il calcio non cada in un baratro dal quale non sia più in grado di risollevarsi.

Il calcio non può cambiare il mondo, ma può spiegare che il mondo può essere cambiato.

Fonte: Articolo 21

*****

Mondiali in Qatar. Il calcio è ancora uno sport?

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link