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La magia della scrittura. Così Paola si è ricordata del sussidiario “Cervino”

Nando dalla Chiesa il . Cultura, Giovani, Memoria, Società

E chi l’ha detto che scrivere non serve più a niente, che oggi contano le immagini e cinque parole?

Queste “Storie”, a me, dicono il contrario. Non solo perché dopo la denuncia della settimana scorsa la Liguria ha finalmente avuto il garante dei detenuti (e bravo a Ferruccio Sansa per il suo sciopero della fame); ma anche per gli effetti più impercettibili che mi arrivano talora da alcune memorie.

Un anno fa, ad esempio, dedicai la rubrica a un bel libro delle elementari dell’Italia del boom economico, “Cervino” si chiamava, spiegando che se ogni laureato sapesse quel che c’era in quel sussidiario il nostro paese sarebbe oggi molto più istruito. Ebbi diverse lettere intrise nella malinconia per quella cultura scolastica.

Ora mi ha scritto una lettrice, Paola Argiolas, la cui vita ha nel “Cervino” un punto di riferimento incalcolabile, e che si è ricordata di quanto ansiosamente avesse cercato da bambina di averne una copia. Di quanto quell’episodio sia rimasto conficcato nella sua memoria, “filo conduttore di tutta una vita”.

Racconta così: “Ero in quarta elementare e volevo sostenere l’esame di ammissione alla prima media” per recuperare l’anno perso per problemi di salute. “I miei genitori avrebbero dovuto comprare il ‘Cervino’ necessario per la preparazione all’esame, ma… non avevano i soldi! La mia grande speranza di continuare gli studi si interruppe lì…per colpa di quel libro che non ho mai dimenticato, quel libro che oggi potrei permettermi, e di cui non ho mai dimenticato il nome: Cervino! Ma quella bambina non si è fermata, la voglia di imparare le ha dato una forza che pochi riuscivano a capire”. Fino alla laurea.

“Giocavo con le bambine della mia età e si parlava di tante cose”, continua, “ma quando si andava nell’argomento scuola loro continuavano a parlare, mentre io restavo zitta: non avevo niente da dire perché non faceva parte del mio mondo. Ricordo che nell’appartamento sopra la mia casa abitava una ragazza che frequentava l’istituto per ragionieri e che la notte aveva l’abitudine di studiare a voce alta. Io, nel buio della mia camera, chiudevo gli occhi e mi concentravo nell’ascolto di ciò che lei ripeteva per infinite volte, con la grande speranza di imparare qualcosa…”. Arrivata ai 14 un’amica disse a Paola che nella scuola elementare S. Satta (la stessa frequentata fino alla quarta) c’era la possibilità di dare un esame per ottenere la licenza elementare.

“La prova di italiano consisteva in una lettera ad un’amica. Non ho mai dimenticato le parole di un’insegnante: ‘Lei scrive bene, potrebbe dare l’esame per la licenza media’”. L’occasione giunse verso i vent’anni, quando Paola venne a sapere che presso la scuola statale si sarebbe tenuto un corso accelerato per la licenza media. Non se lo fece ripetere. E passò con il giudizio di “distinto”.

Poi il matrimonio, la maternità, il lavoro come impiegata. Fino al corso serale per ragionieri, cinque anni dalle 17 alle 22. Superato anche quello. Così a 53 anni Paola Argiolas si iscrisse all’università di Cagliari. Treno al mattino alle 6.10. Sfruttando la legge che prevede le 150 ore di assenza per motivi di studio diventò dottoressa in Scienze dell’amministrazione.

I complimenti del figlio (“mamma sono orgoglioso di te”) chiusero una storia, quasi una fiaba d’altri tempi, con l’unico rimpianto di non aver avuto potuto scegliere perché, “nel caso, avrei fatto il liceo classico”.

“L’incontro con l’articolo del ‘Fatto Quotidiano’”, spiega ora Paola, “mi ha riportato alla mente tante sensazioni vissute nell’infanzia e nell’adolescenza, e ha spiegato e confermato quello che è sempre stato il mio pensiero sull’importanza dell’istruzione”.

Poi, rivolta a me: “Tu non lo sapevi, ma stavi raccontando la mia storia, e (forse) anche quella di chissà quanti altri”. La magica importanza della scrittura, appunto.

* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 21/11/2022


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