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La par condicio elettorale (quella vera e quella immaginata)

Vittorio Roidi il . Diritti, Informazione, Istituzioni, Politica, Società

Par condicio, a cosa serve, a chi si applica. Guido Crosetto, 59 anni, di Cuneo, già democristiano e berlusconiano, poi fra i fondatori di Fratelli d’Italia, partito guidato da Giorgia Meloni, ha redarguito in diretta un giornalista che lo interrogava durante un’intervista televisiva. Quella domanda il giornalista non la doveva fare, non si doveva permettere. Voleva schierarsi o forse metterlo in difficoltà?

Ecco un politico che, come molti altri, non sa o finge di non sapere cos’è la par condicio e quali regole si applicano nel periodo della campagna elettorale. A lui piacerebbe, a quanto pare, che per un po’ si sospendesse la libertà di stampa o meglio ancora che le interviste le facessero i conduttori tv, quelli che guidano i programmi di intrattenimento. No, qui ci sono i giornalisti, che hanno il dovere di cercare la verità e dunque di fare domande e, se occorre, di incalzare l’intervistato, sempre, anche in periodo elettorale.

Maggio 2000

La par condicio fu introdotta dalla legge n. 28 dell’8 maggio 2000: per promuovere la parità nella corsa elettorale dispose che alle aziende televisive e radiofoniche fosse impedito favorire una lista o un’altra, dando a qualcuna più risalto, voce e spazio, rispetto alle altre. Previde sanzioni anche pesanti per quelle televisioni e quelle radio, ad esempio, sorprese ad applicare tariffe diverse per un partito rispetto ad un altro.

Ogni volta che vengono convocate le elezioni l’Agcom (sentita la Commissione parlamentare di vigilanza) emette un Regolamento (ora valido anche per ciò che viene trasmesso on line). Sono norme e paletti che riguardano la comunicazione politica elettorale, come le Tribune e i programmi durante i quali ciascun partito che partecipa alla consultazione ha uno spazio preciso per illustrare esporre i propri programmi, talvolta con video e audio prodotti in proprio, talaltra tramite domande e sollecitazioni proposte dalla stazione che metterà in onda la trasmissione.

Non c’è par condicio per i programmi giornalistici (Tg e Gr) che continuano a lavorare in autonomia, anche se le loro aziende devono anch’esse rispondere a criteri e obblighi di equidistanza. Le tv e le radio rispondono sempre al Parlamento, in particolare la Rai che gode di un contratto stipulato con lo Stato, che le ha affidato un compito di servizio pubblico. L’impresa (mai un giornalista) che fa un’informazione elettorale squilibrata può essere punita dalla stessa Agenzia per le comunicazioni.

Nessuna limitazione

Non ci sono obblighi per la carta stampata, se non per gli spazi di “pubblicità elettorale” vera e propria. Le imprese sono private e l’articolo 21 della Costituzione resta il cardine: la libertà di stampa non ha limitazioni. Un quotidiano fa un articolo o una pagina, su un partito o su un candidato. Nessuno lo può redarguire. Per i giornalisti vale l’articolo 2 della legge professionale, che dispone il diritto-dovere della libertà, irrinunciabile disse il legislatore.

Restano naturalmente le regole stabilite dalla deontologia. Il diritto di cronaca e quello di critica sono garantiti dalla legge. E per fortuna l’Ordine non è stato creato per calcolare il numero delle righe, né i sostantivi o gli aggettivi usati a proposito di questo o quel politico.

Il diritto di critica non scompare durante la campagna elettorale. La sanzione può arrivare solo se è stata falsata la realtà, o se è stato commesso un reato (un insulto, una diffamazione). Se il giornalista ha scritto la verità, la sua critica è libera. Rischia naturalmente chi ha l’abitudine di mischiare il fatto con il commento, perché il racconto può apparire influenzato dal linguaggio e questo può confondere il lettore. Il quale (a parte un possibile procedimento disciplinare da parte dell’Ordine) è sempre lì, è lui a giudicare.

Se, ad esempio, un quotidiano non si mostra equidistante fra i partiti in lizza può non apprezzarlo e non comprarlo, ma non può aspettarsi che applichi alcuna par condicio. La ragione è semplice, basta un caso pratico. Se il capo di un partito stipula un accordo con un altro partito e poi lo strappa, nessuno può pensare di applicare un criterio che non sia quello del quanto “fa notizia”. Che è soggettivo, certo.

Pertanto quante righe e quanto risalto avrà quell’episodio lo stabiliranno i giornalisti, per fortuna. Anche in campagna elettorale, anche se la pubblicazione di quel fatto potrà addirittura incidere sulle scelte di voto e anche se a qualche politico non piacerà. Lo dicono le leggi di questo paese. Che gli uomini e le donne che vogliono entrare in Parlamento dovrebbero conoscere.

Fonte: Professione Reporter

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