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A chi importa di Nino e Ida Agostino? Trent’anni dopo solo pezzi di verità e la memoria che vacilla

Davide Mattiello il . Giustizia, Mafie, Memoria, Politica

Doveva essere una giornata di festa ed invece si è trasformato in un giorno di morte e dolore infinito.

Il 5 agosto del 1989 la famiglia Agostino, presso la casa di Villa Grazia di Carini, si sarebbe ritrovata per festeggiare il compleanno di Flora e non un compleanno qualsiasi: il diciottesimo. Nino, agente di Polizia, aveva chiesto di cambiare turno, lavorando al mattino per essere poi libero, e con Ida, da poco sposata ed in attesa del loro primo figlio, era arrivato puntuale.

La trappola era stata messa a punto: la “vedetta” che doveva avvertire degli spostamenti di Nino, i killer a bordo di una moto potente e poi la via di fuga, l’auto che li avrebbe portati via, la moto data alle fiamme, addirittura il traffico tempestivamente bloccato per evitare la scocciatura di eventuali testimoni.

Dovevano uccidere lui soltanto, ma ammazzarono anche Ida che aveva tenuto gli occhi aperti e non si era fatta di lato, anzi. La madre, il padre ed il fratello di Nino presenti, che impazziscono di dolore. La corsa disperata in ospedale per tentare di salvare almeno lei, lui resta a terra e sarà circondato da un cordone di Polizia, colleghi che nel frattempo sono arrivati. La mamma, Augusta, che cerca di coprire il corpo con un lenzuolo pulito.

Da allora sono passati più di trent’anni, Augusta non c’è più, Vincenzo non si è ancora tagliato la barba, qualche pezzo di verità è stato cavato fuori a fatica ed è nero come il carbone, qualche presunto complice è morto, qualcun altro si è salvato dal banco su cui poteva essere imputato.

Depistaggi e segreti di Stato (anche se formalmente non ce ne sono) stanno lì, piantati, come spaventapasseri orribili e danno l’indicazione di girare alla larga, come se non ci fosse più niente da vedere.

Ed è proprio questo il punto che più mi interessa: di chi è la memoria di questi fatti? Di chi è la ricerca della verità? Sicuramente dei famigliari sopravvissuti ad un dolore a cui è legittimo domandarsi se sia umano sopravvivere. Sicuramente ad associazioni che meritoriamente custodiscono la prima e si fanno interpreti del bisogno della seconda. E poi? Forse basta. Pare infatti che non pesino nel discorso pubblico, segnatamente politico e che soprattutto non abbiano più la forza di orientare le scelte istituzionali.

Certo, si organizzano e si celebrano puntualmente delle sonore commemorazioni, che hanno quanto meno il pregio di salvaguardare nel calendario repubblicano questi fatti. Ma a parte questo, cosa c’è? Cosa c’è, per esempio, nella campagna elettorale che porterà al voto del 25 settembre? I leader, per dire, intervengono sulla questione fiscale, chi in un modo e chi in un altro, ma qualcuno li ha sentiti impegnarsi a liberare l’Italia da quelle tasse odiose che sono il racket e l’usura? I leader, sempre per dire, parlano di diritti civili (chi in un modo e chi in un altro), ma qualcuno li ha sentiti impegnarsi perché le donne ed i minori (sono migliaia!) che vivono nell’incubo di famiglie mafiose, possano essere riscattati?

E per tornare al punto di partenza, qualcuno li ha sentiti impegnarsi affinché lo Stato garantisca il diritto alla verità, di cui sono in primis portatori vittime e famigliari, ma del quale dovrebbe reclamare l’effettività ogni cittadino italiano che abbia a cuore la democrazia?

In tal senso mi ha colpito l’appello che Salvatore Borsellino ha sentito il bisogno di lanciare, proprio dalla colonna di questo blog, a Giuseppe Conte perorando la ricandidatura di Giulia Sarti, preoccupato di salvaguardare nel prossimo Parlamento un presidio di competenza e di intraprendenza sul fronte dell’antimafia.

Non mi ha sorpreso l’appello in sé: ho avuto la possibilità di lavorare con la Sarti nella XVII Legislatura e ne conosco il valore. Piuttosto mi ha colpito che l’appello fosse sottoscritto, oltre che da Salvatore Borsellino (e tanto basterebbe!), da una serie di altre personalità di indubbia credibilità che rappresentano, in vario modo, esattamente l’urgenza di cui sopra e cioè che restino “forza” politica il bisogno di verità e la intransigente volontà con la quale vanno mantenuti tutti gli strumenti che continuano a servire contro mafie e corruzione. Li elenco: Paola Caccia, Piero e Pasquale Campagna, Angela Gentile Manca, Stefano Mormile e Fabio Repici. Non è mai troppo tardi e non lo è nemmeno al 5 di agosto, però il tempo non può più essere sprecato.

Torno infine a Nino ed Ida, massacrati in una Italia crudele che si preparava alla resa dei conti del 1992-1994, e non trovo parole migliori per dedicare loro un pensiero, di quelle scure e desolate che si trovò dentro Peppino Impastato, quando scrisse:

“Lunga è la notte
e senza tempo.
Il cielo gonfio di pioggia
non consente agli occhi
di vedere le stelle.
Non sarà il gelido vento
a riportare la luce,
né il canto del gallo
né il pianto di un bimbo.
Troppo lunga è la notte,
senza tempo,
infinita.”

Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello

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